Cap.
10
Che la moglie ama
grandemente il marito
Giovanni Stobeo nel Sermone
71, vituperando le donne, si sforza di mostrare che quelle non amino i mariti
loro, dicendo egli per sentenza di Euripide che la donna è sempre grandissima
nimica del marito; e se pur aviene che ella l’ami, dice egli che ciò ella fa
per forza, della quale sentenza egli fa autore Simonide. Terenzio poi, e ivi
Donato, nella quinta Comedia, atto 2, scena prima, dice che tutte le donne
ugualmente sono contrarie a li mariti. Le qual favole e manifeste bugie loro
quanto siano repprobate da gli istorici di fede dignissimi voglio che ora siano
manifeste.
Scrive San Girolamo, nel lib. 1 Contra
Gioviniano, che una vergine figliuola di Demetrione principe di Areopagiti,
udita la morte di Leostone suo marito, si uccise dicendo che, quantunque ella
fosse del corpo intatta, nondimeno s’ella fosse sfor[36v]zata pigliar
un altro per marito quasi ingannerebbe il secondo, essendosi maritata con la
mente al primo.
Qual maggior segno e fede
d’amore verso il marito si può vedere di quella, che si legge nel lib. Della
pudicizia delle moglie, d’una concubina di Alcibiade morto? Imperoché
Alcibiade, essendo stati vinti li Ateniesi, fuggì a Farnabazo, il qual avendo
ricevuto danari da Lisandro principe di Lacedemoni lo fece uccidere; e essendo
stato portato il capo di quello a Lisandro in testimonio della morte essequita,
il resto del corpo giacea, secondo il precetto di Lisandro, non sepelito. Ma
ella sola, contra il comandamento del crudelissimo nimico, fra gli estrani e
soprastandole il grandissimo pericolo, sepelì il corpo, facendogli quello onore
che ella puoté, preparata di morire per il marito morto, quale ella avea
grandemente amato vivo.
L’amor di Didone quanto fosse
grande verso il morto Sicheo suo marito, Vergilio lib. 4 dell’Eneida dicendo:
[37r]
Quello
che prima ebbe il mio dolce amore
quello
lo servi dopo morte ancora.
Della quale Didone anco così si
legge nel lib. Della pudicizia delle moglie: «Didone sorella di
Pigmalione, addunato molto oro e argento, navigò in Africa, e nel medesimo
luoco edificò Cartagine città grandissima, e essendo addimandata per moglie dal
re Iarba per un poco di tempo differì le nozze, e edificata una pira in onore di
Sicheo, suo marito morto, più tosto volse ardere che maritarsi. Donde che una
casta donna edificò Cartagine, e la medesima città finì nella lode della
castità: imperoché la moglie di Asdrubale vedendo che, presa e accesa la città,
ella era da essere fatta pregione da’ Romani, presi da ogni lato i figliuoli
piccioli, si trette liberamente nell’incendio della sua casa»; questo si legge
nel lib. Della pudicizia delle moglie.
Un altro grandissimo segno
d’amore d’una moglie verso il suo marito referisce San Girolamo dicendo Contra
Gioviniano [37v] che Valeria, nobilissima donna romana, essendo
morto Servio suo marito, non volea maritarsi in alcuno altro uomo, e essendo
ella pregata che pigliasse il secondo marito, rispose che non lo potea fare
perché il primo vivea ancora; imperoché diceva ella che il suo marito viverebbe
sempre, mentre che ella vivea, nel suo cuore, dalla memoria del quale la sola
morte la potea levare.
Se Cornelia madre de i Gracchi
amasse il marito morto lo decchiara Plutarco, il qual dice che ella più tosto
elesse star vedova, per l’amore che ella portava al marito morto, che diventar
regina maritandosi in Tolomeo.
Ignazio, nella pistola che egli
scrisse Agli Antiochesi, essortando le donne ad onorare e amare i suoi mariti,
e per segno di riverenza che esse non abbino ardire di chiamar quelli per il
nome loro proprio, ma ‘signori’, dice: «Quella Sara santa donna moglie di
Abramo dimostrò quanto onore e amore ella portasse al marito, perciò che
[38r] ella, come è scritto nel Genesi cap. 18, volendo nominare
il marito non disse ‘Abramo’, ma disse ‘Signore mio’; il che conferma Pietro
nella Pistola 1, cap. 3, dicendo che ella lo chiamava suo signore». Alle
qual cose è conforme quello che il re Iarba, appresso di Vergilio lib. 4 dell’Eneida,
dice di Didone, chiamando Enea ‘signore’ in luoco di ‘marito’, così dicendo:
Ella
è fatta schiva
di
nostre nozze, e ha per suo signore
Enea
nel regno caramente accolto.
Per questa causa parimente
Bersabé, mostrando insieme l’onore e l’amore verso il re David suo marito, non
lo nominò ‘marito’ ma ‘signore’, dicendo «Signor mio e re dei re, tu giurasti»
etc.: lib. 1 de li Re, cap. 3.
Lucrezia romana ancora per tal
fatto mostrò onorare molto e amare il marito chiamandolo ‘signore’,
quando ella appresso Ovidio, de’
Fasti lib. 2, disse: [38v]
Bisogna
mandare al signore or ora
di
nostra mano la tessuta vesta.
Il simile facea la madre di San
Clemente, la quale amando e insieme onorando Faustiniano suo marito, lo
chiamava ‘signore’: Clemente, lib. 9 cap. ultimo delle Recognizioni.
Megistona parimente, come scrive
Plutarco nel libro Delle donne illustri, è molto lodata anco per questo,
perché ella chiamava Timoleone suo marito ‘signore’.
Alceste amò con tanto amore
Admeto re di Tessaglia suo marito che, essendo egli gravissimamente amalato e
l’oracolo avendo detto che egli recuperarebbe la sanità s’alcuno de li suoi
amici volesse per lui morire, ella sola, ricusando gli altri tal pietà, morì
per acquistare la vita al marito: Giovinale Satira 6, Stazio lib. 3
delle Selve, Ovidio, Marziale e Valerio Massimo.
Tanto fu l’amor di Penelope
verso il suo marito Ulisse che, essendo egli assente, ella per lo spacio di
venti anni servò [39r] la castità, né mai da mile proci che quella
voleano per sua moglie puoté essere vinta né corrotta: Ovidio nelle Pistole,
Properzio lib. 2, Strozza il padre.
Mentre che in Tebbe si
celebravano le essequie di Capaneo morto, Evadne sua moglie saltò nel fuoco nel
quale si abbrucciava il marito: Ovidio, 3° lib. De arte amandi, Strozza
il padre, Alberto de Eib nella Orazione delle donne illustri.
Protesilao, sotto il cui imperio
furono Antrone, Filaca e Larissa città di Tessaglia, primo de li Greci fu
ucciso sotto Troia da’ Troiani; il che avendo inteso Laodamia, in solazzo
dell’affanno e del dolore del marito morto desiderò di vedere l’ombra di
quello; il che avendo ella impetrato, morì in braccio di quella: Properzio,
Ovidio.
Porzia figliuola di Catone,
avendo inteso che Brutto suo marito era stato ucciso nei campi filippici, non
[39v] avendo ella armi con le quali ella potesse uccidersi per il
ricevuto dolore del morto marito, gittandosi in bocca le braggie ardenti
s’affogò, non volendo più vivere dopo la morte del suo marito: Valerio Massimo
lib. 4 cap. 6.
Ipsicratea fu in ogni pericolo
della guerra compagna e fidelissima scorta al re Mitridate suo marito, e lo
seguitò armata, e si tagliò i bei capelli e bionde treccie per poter meglio
portare l’elmo: Alberto de Eib nella Orazione delle donne illustri, e
Valerio Massimo lib. 4 cap. 6.
Il Sasso grammatico dice che
Gunilda fu una certa donna la qual, vedendo l’essequie di Asmondo suo marito,
con le proprie mani s’uccise.
Giulia figliuola di Cesare e
moglie di Pompeio, avendo vista la vesta di suo marito imbrattata del sangue
d’alcuni li quali appresso Pompeio s’aveano feriti, da subita paura presa e
quasi morta [40r] cadete in terra, e per tal perturbazione fece il
parto immaturo: Plutarco, Alberto de Eib nella Orazione delle donne illustri
e Valerio Massimo lib. 4 cap. 6.
Artemisia regina di Caria,
essendo restata viva dopo Mausolo suo marito, visse sempre in perpetuo pianto e
dolore, dal qual finalmente vinta e atterrata, con la morte seguitò il marito;
dell’amore della quale verso quello assai abastanza ne fa fede la miracolosa
sepoltura la quale ella fece a lui morto, e parimente le ceneri di quello da
lei bevute: Valerio Massimo lib. 4 cap. 6.
Cama si maritò in Sinorito;
Sinorige giovine potentissimo s’innamorò di quella, e avendo fatto uccidere
occultamente Sinorito, cominciò solecitar Cama per averla per sua moglie. Ella,
acciò che potesse vendicare la morte del marito, dissimulò il dolore e li dete
speranza delle nozze; finalmente ella fece venire Sinorige a sé nel tempio
della dea [40v] Diana, sì come che ella volesse che quella fosse
testimonio del suo matrimonio; e stando ella appresso all’altare, sì come che
ella volesse sacrificare alla dea, bevete il veleno in una tazza preparato, e
poi anco ne dete a Sinorige. Il quale avendo bevuto, ella adorando la dea
disse: «Io ti chiamo in testimonio che io son vissuta dopo la morte di Sinorito
mio marito solamente per questo giorno», nel qual cioè ella avea fatta la
vendetta del marito con la propria mano: Plutarco nel lib. Delle donne
illustri, e nel lib. Della pudicizia delle moglie.
Ma qual maggiore amore si può
ritrovare dell’amore delle donne de’ Minii verso i mariti loro? Imperoché
essendo stati quelli ricevuti da’ Lacedemonii nella sua città, e dopo molti
giorni, insoperbiti, avendo essi voluto occupare il regno loro, i Lacedemoni
sentenziarono che tutti fossero decapitati, e perciò, pigliati, furono posti in
pregione. Ma le moglie dei detti Minii, le quali anco esse erano cittadine, e
delle prime [41r] de’ Spartani, impetrarono da’ Lacedemoni (36)
d’entrare nella pregione per causa di parlare ciascuna di esse con i mariti
suoi, non pensando quelli inganno alcuno in esse. Le quali entrate nella
pregione, avendo date le vesti che aveano a li mariti, pigliarono quelle di
essi mariti; per la quale astuzia i mariti, di abito muliebre vestiti, come che
fossero stati le donne, uscirono fuori della pregione e acquistarono la salute
loro per meggio delle moglie. Di questo è autore Plutarco nel lib. Delle
donne illustri, Erodoto in Melpomene e Valerio Massimo nel lib. 4
cap. 6.
Laonde per questi essempi è
manifesto che non solo la moglie ama il marito, ma anco ama più quello che se
stessa.
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