Cap.
17
Che le donne non
sono timide né paurose, anzi sono
animose e anco
atte all’armi e alla guerra
Scrive Giovanni Stobeo, per
sentenza di Euripide in Medea, che la donna è paurosa, di forze picciole
e nel vedere [86r] l’armi timida. Vergilio parimente, lib. 9, e Ovidio
nella prima Pistola che è intitolata Penelope a Ulisse, chiamano
le donne pavide e non atte alla guerra, e il medesimo Ovidio nell’Arte
d’amare parimente le chiama timide. Seneca poi, nella tragedia intitolata Ottavia,
dice che la natura ha negata la forza alla donna acciò che ella non fosse
invincibile; ma se ciò sia vero o falso gli essempi delle donne valorose a
pieno lo dimostreranno.
La moglie di Stratone Regolo,
vedendo il marito che con le proprie mani si volea uccidere acciò che egli non
fosse fatto pregione da li nimici, e riguardando egli il pugnale con
grandissima timidità e viltà d’animo, aspettando la venuta de li nimici, ella
trasse di mano quello al spaventato marito e l’uccise, e poi, se stessa
uccidendo, si pose sopra quello: questo è scritto nel lib. Della pudicizia
delle donne.
Ma passiamo oltre e vediamo le
valorose imprese [86v] delle donne nelle armi: Minerva, per altro nome
Pallade, prima di tutti insegnò, come dice Cicerone, lib. 3 Della natura de
li dei, voltare il ferro in armi, coprire il corpo di quelle, l’arte del
combattere e tutte le leggi della guerra. Di questa ragionando il Boccacio,
lib. 5 Della genealogia de li dei, cap. 78, citando l’autorità di
Cicerone, dice che per queste cause ella fu chiamata da alcuni Bellona e
sorella di Marte e guida del carro di quello, come pare attestare Stazio
dicendo:
Con
sanguinosa man Bellona rege
i
feroci destrier e batte e sferza.
Ma si può dire che, per quanto
mostrano le loro imagini, fosse tra loro questa differenza, che Minerva
mostrasse l’accorto provedimento, il buon governo e il saggio consiglio che
usano i prudenti e valorosi capitani nel guerreggiare, e Bellona l’uccisioni,
il furore, la strage e la rovina che nei fatti d’armi si [87r] vegono;
per che la tengono i poeti auriga e guida, come è detto di sopra, del carro di
Marte, e sparsa per il più di sangue: Vicenzo Cartari nel lib. dell’Imagini
de li dei.
Non mancò di tal virtù bellicosa
Diana vergine, sorella d’Apollo, la qual fu, come dice Cicerone lib. 3 Della
natura de li dei, sopra l’altre di tal nome dignissima. Questa, come
referisce Felippo Bergomense nelle sue Croniche, lib. 3, valorosamente
con l’arco uccise Orione figliuolo di Nettuno, il quale cercava di levarle
l’onore; di questo è anco autore Servio nel Vergilio, e Giovanni
Boccacio, lib. 11 cap. 19 Della genealogia de li dei, con i quali tien
Omero nella Odissea.
Artemisia, regina de gli
Alicarnasei, anco ornatissima di gagliardezza virile, audacia e disciplina
militare, ornò molto il suo nome di molti trionfi, impercioché morto il marito,
come narra Erodoto [87v] e Giustino lib. 3 dell’Epitome, da
nessuna necessità costretta, ma da generosità d’animo commossa, andette nella
guerra contra i Rodiani e quelli spogliò della armata loro, domò l’isola e
nella città pose la sua statua. Questa anco, come dice il sudetto Felippo
Bergomense nelle sue Croniche, lib. 5, venne in aiuto del re Serse contra i
Greci e fra i primi capitani pugnò valorosamente.
Semiramis, regina de gli Assiri,
dopo il re Nino suo marito morto regnò anni quaranta due, e non contenta del
suo regno aggionse a quello la Etiopia; passò poi in India, dove nessuno altro,
eccetto Alessandro Magno, ebbe ardire de [88r] intrare, e fece
crudelissime guerre e edificò molte cittadi: questo referisce Felippo
Bergomense nel lib. 3 delle sue Croniche; il medesimo si legge nella Istoria
scolastica 7, appresso Nicolò Lirense sopra il 9° cap. del Genesi
sopra la parola Et ingentia facta peregit.
Pithadora, regina di Ponto,
ricevuto che ella ebbe il regno, fece molte guerre in Ponto, alle quali per le
sue virtù i Tiberini e i Caldei insino in Colchide si sottoposero; questa donna
certo fu segnalata, come scrive Felippo Bergomense, lib. 7 delle sue Croniche.
Cleopatra, regina dell’Egitto,
avendo dopo la morte di Cesare fatto amicizia con Antonio, oltre il regno di
Soria e della Arabia ebbe ardire ancora di sperare il regno romano; donde che,
prese l’armi con Antonio, condosse l’essercito contra Augusto e Agrippa, genero
di quello; la fortuna della quale alle volte fu dubiosa: questo referisce il
sudetto Felippo nel lib. 7 e il Casseneo, parte 2, considerazione 8 della Gloria
del mondo. [88v] Mania overo Manica, regina di Egitto, dopo la
morte del marito pigliando il governo delle sue genti, per la grandissima
eccellenza dell’animo suo accresciute le sue forze, fu molto temuta da’ Romani
e in molte guerre abbassò le forze loro; questa regina ancora rovinò i confini
de’ Palestini e de gli Arabi e molte altre città: Felippo Bergomense lib. 9, e
Guielmo di Benedetto nella sua Repetizione, cap. Rainutius, nella dizione Duas habens filias, nel
principio Extra de testamentis.
Camilla, regina de’ Volsci, dalla infanzia istessa
dal padre Metabone fu allevata e nodrita nelle selve, e fatta grande, sprezzate
le cose donnesche, cominciò usar l’arco e ferire animali; alla cui virtù virile
aggionse lo studio della virginità. Finalmente, nata la guerra fra Turno e
Enea, si pose con i Rutuli e fu condutrice de uomini a cavallo; la virtù della
quale cantò Vergilio lib. 7 dicendo: [89r]
Dopo
questi vi gionse anco Camilla
delle
genti de’ Volsci alta guerriera,
guidando
seco cavaglieri e altre
squadre
d’arme lucenti. Ella le mani
non
avea feminili alla canocchia
avezze
o a i lanifici di Minerva,
ma
la dongella usata era patire
dure
battaglie, e col veloce corso
d’i
piedi suoi passato avrebbe i venti.
Ella
volato avria sopra le cime
di
non toccate biade, senza offesa
alle
tenere spicche punto fare,
con
lieve corso, over per mezzo il mare
caminata
sarebbe quando è quieto,
e
non avrebbe le veloce pianti
d’acqua
bagnate.
Di questa anco narra Felippo Bergomense lib. 4 delle sue Croniche,
e Guielmo nel sopra detto luoco.
Tomiri, regina de’ Sciti, udita
la morte delli suoi e dello [89v] unico suo figliuolo, poste da parte
le feminili lagrime, condosse Cirro, potentissimo re de’ Persi, alle stretture
de li monti, e ivi valorosamente combattendo lo privò di vita insieme con
duecento milia soldati: di questo magnanimo fatto è autore Erodoto lib. 1, dove
egli non la chiama regina de’ Sciti ma regina de’ Messagetti; nondimeno che i
Sciti s’intendino per li Messagetti lo dimostra Strabone nel lib. 2; questo
anco è descritto dal sudetto Guielmo nel sopra detto luoco e dal Casseneo nella
Gloria del mondo.
Zenobia, regina de’ Palmerini,
dopo la morte di Odoardo suo marito prese l’imperio suo in Soria, né dubitò
pigliar l’armi contra Aureliano imperatore, dal quale ella finalmente fu vinta
e condotta in trionfo; il quale, essendoli dato a biasimo che egli trionfasse
d’una donna, disse: «Io non mi vergogno trionfare d’una donna la quale sia
ornata di virtù più che virile»: Felippo Bergomense [90r] lib. 8 delle
sue Croniche e Guielmo nel sopra detto luoco, Flavio Vopisco e Trebellio
Pollione di questo sono autori. Calepino nondimeno dice che questa Zenobia fu
una donna che, avendo origine da li re d’Egitto, fu ornatissima di lettere
latine e greche, e nelle cose della guerra ella fu celebratissima; questa,
avendo superata Sapore re de’ Persi, finalmente vinta da Aureliano imperatore
fu condotta a Roma in trionfo; la quale in grandissimo onore divenne vecchia, e
da lei fu denominata la famiglia Zenobia.
Clelia, vergine romana, essendo
stata data per ostaggio a Porsena re di Etrusci che con l’essercito assediava
Roma, una notte passò il Tevere a nuoto, per il qual fatto preclaro Porsena si
levò dall’assedio: di questo fatto narra Valerio Massimo, lib. 3 Della
fortezza, dove egli dice che ella per tal segnalato fatto è da essere
preposta a gli uomini; il Casseneo e Guielmo di questo anco sono autori.
[90v]
Giudith, donna ebrea, troncò con
bellissima astuzia il capo a Oloferne, nimico grandissimo de gli Ebrei, laonde
le fu detto per Ozia gran sacerdote: «Tu sei benedetta, figliuola, dal tuo
Signore Idio altissimo sopra tutte l’altre donne sopra la terra, perché oggi
egli così ha aggrandito il tuo nome che mai si partirà la lode fuori della
bocca de gli uomini»: Giudith cap. 13.
Iahel, pur donna ebrea,
valorosamente uccise Sisara ficcandoli un chioddo con un mazzo nella tempia del
capo: nel lib. de li Re, cap. 4 nel fine.
Valasca, fatta regina de’ Boemi,
avendo fatta una congiura con l’altre donne di tuore il principato a gli
uomini, fu condutrice e capo di grossissimo essercito, e uccisi gli uomini,
messe in libertà tutte le femine, di modo che molti anni regnarono a guisa
dell’Amazoni senza uomini: di questo è autore il Volaterrano nella Geografia.
[91r]
Atalanta, cacciatrice di Arcadia
assuefatta a lanciare dardi e tirrar d’arco, assaltò valorosamente un cinghialle
di grandissima paura a tutta la provincia e quello uccise: Pontano lib. 3 Delle
stelle.
Delbora, gran guerriera, dominò
gli Israelitti, quali spesse volte difese dalle scorrerie de’ vicini, e la
republica e imperio loro aggrandì de varii onori: Felippo Bergomense lib. 4.
Asbite è cantata da Sillio
Italico, lib. 1, per donna nell’armi essercitatissima; e nel lib. 2 dice il
medesimo di Tiburna sagontina.
Elerna, figliuola di Giano,
morto il padre, successe nel regno di quello, e senza aiuto del marito resse
uomini fortissimi: Casseneo parte 2 considerazione 8.
Le donne laconiche faceano gli
uffici de gli uomini, essercitandosi nelle scuole, nella guerra e nella
[91v] caccia: il Casseneo.
Le donne bellovace, dal lungo
assedio di Carlo duca di Borgognoni fatigate, difesero le mura e, dalle scale
battutti nelle fosse i nimici, riportarono a li suoi le insegne di quelli:
Casseneo.
Le donne di Aquileia, avendo
Massimino imperatore romano assediato Aquileia, in quello assedio furono di
tanta grandezza d’animo che, essendo mancati a li suoi nervi e corde da tirrare
le saette, si tagliarono i capelli del capo e di quelli fecero corde agli
archi, donde che poi il senato a gloria loro dedicò un tempio a Venere calva:
Felippo Bergomense lib. 8, Lattanzio Firmiano lib. 1 cap. 20; Gregorio Giraldo
dice che fu Roma assediata da’ Francesi, carte 553, e ivi cita Lattanzio
Firmiano e Vegezio Renato De re militari lib. 4.
Nella presa di Calcide, città di
Eubea, la quale ora è chiamata Negroponte, furono ritrovate molte donne armate
morte nel fatto d’arme di essa città: Felippo Bergomense lib. 12.
Una giovanetta lesbia, rotta una
parte de li muri dall’[92r] impeto de’ nimici, acquistò la salute a li
suoi cittadini che si davano in fugga, perciò che ella prima de tutti si pose
inanti all’impeto e a li dardi de li nemici per la difensione delle istesse
mura: Casseneo parte 2 considerazione 8 della Gloria del mondo.
Amalasonta, regina de’ Goti,
signoreggiò appresso Ravena, scacciò della Italia i Borgognoni e li Tedeschi
che davano il guasto a’ Genovesi: Felippo Bergomense lib. 9 e il Volaterrano.
Maria Puteolana, della città di
Puzzoli, città di Campagna, di virtù bellica fu molto ornata; ella era molto
assuefatta alle fatiche insino dalla sua giovanezza, si astenneva dal vino,
mangiava poco, sprezzava rocche, lino, fusi, lana e altre cose donnesche, si
delettava molto d’archi, de dardi, d’armi, di rotelle, d’elmi, di celate e de
cose tali; assai volte vegghiava le notti intiere né dormiva mai se non
sforzata dal sonno, e questo al scoperto e in terra, appoggiando il capo sul
scudo in vezze di capezzale, e stava fra armati; il che quantunque dimostri
segno [92v] di poca onestà, nondimeno ella non ebbe mai a cuore altra
cosa maggiore che lo studio della verginità, nella quale ella perseverò insino
alla morte sprezzando l’ornamento del corpo; per le qual cose ella divenne
bellicosissima: il Casseneo parte 2 considerazione 8.
Bona lombarda, valorosa
guerriera, da giovanetta nelle selve attendea con cani a pigliar fiere; si
maritò in Brunorio parmeggiano e valente cavagliero, quale ella in tutti i
pericoli accompagnava; questo essendo stato una volta posto in pregione da
Alfonso re di Sicilia, ella, per amore del marito, a guisa di cavallo pegaseo
corse per le poste a ritrovare diversi prìncipi e signori, per aver da quelli
lettere di favore e aiuto per la salute del marito, il che ella poi ottenne:
Casseneo nel sudetto luoco.
Giovanna, giovane francese,
regnando Carlo settimo re, essendo entrati Inglesi nella Francia e rovinando
d’ogni intorno il paese e già, dal prospero vento [93r] di fortuna
aiutati, promettendosi ogni cosa, essendo le cose de’ Francesi disperate,
s’appresentò a Carlo, e facendo animo a li Francesi isbigottiti, ella, prima de
tutti intrando nel campo, non prima cessò di essortar li suoi e di combattere
che scacciasse li nimici e riportasse la vittoria: questo si legge appresso
Guaguino nelle sue Croniche lib. 10, e di questa fa menzione Felippo
Bergomense lib. 15, dove egli dice che Carlo settimo, re de’ Francesi, ricuperò
per il favore e valore di questa giovane il perduto regno.
Isabetta, moglie di Ferdinando
re d’Aragoni e regina di Spagna, di quanto valore ella fosse nell’armi e quanti
popoli ella soggiogasse reducendoli alla fede cristiana lo descrive appieno
Felippo Bergomense lib. 17.
Martesia e Lampedone, quale furono prime regine
dell’Amazone, di quanta virtù e valore fossero nell’armi è stato detto dal
sudetto Felippo Bergomense [93v] nel lib. 2, dove egli dice che la
forza loro fu tale che, sprezzato il comerzio de gli uomini, sole
signoreggiarono, e la sua libertà difesero lungo tempo, e la maggior parte
dell’Europa potentemente dall’armi loro fu soggiogata, e anco molte città
dell’Asia occuparono: Giovanni Ravisio parte 1.
Pentesilea regina dell’Amazoni,
sprezzati gli uffici e opere donnesche, fu sempre intenta a quelle cose che
s’aspettano a uomini forti e di onore; ella favoreggiò i Troiani contra i
Greci, e fu guida e capo di squadroni di cavalli: della quale, oltre i molti
altri scrittori, così Vergilio lib. 1 dell’Eneida disse:
Pentesilea
furibonda, e i scudi
hanno
a guisa di lune. Ella di mezzo
a i
fier soldati di valor s’accende,
e
con dorati cintoli tenea
sotto
la svelta e ignuda mamma avinto. [94r]
Magnanima
guerriera prende ardire
vergine
al par d’uomini andarne.
Melopodia, regina parimente
delle Amazoni, valorosamente pugnò con Teseo: Plutarco.
Mirina, anco essa regina
dell’Amazoni, ebbe nel suo essercito trenta milia soldati a piedi e due milia
cavalli: Diodoro Sicolo lib. 4.
Ippolita, regina di dette
Amazone, essendo, sì come l’altre, assuefatta alla guerra, ebbe ardire pigliare
l’armi contra Teseo, dal qual poi per il suo valore fu presa per moglie: della
quale fa menzione Properzio e il Casseneo.
Arpalice quanto fosse presta e
veloce nel liberare il padre dalle mani del nimico lo descrive Servio nel lib.
1 di Vergilio dell’Eneida, quando esso Vergilio, parlando di Venere
madre di Enea, la fa simile a questa Arpalice, dicendo: [94v]
Arpalice
di Tracia, e che leggiera
e
veloce nel corso l’Ebro passa.
Titula o pure, come altri
vogliono, Filotida serva romana, di quanta lode ella sia degna non mai si
potrebbe dire; imperoché i Latini e i Volsci, avendo congionti gli esserciti
loro insieme e avendo fatti impeto contra Romani, e avendogli addimandato
vergini cittadine, o per avere occasione di guerra o pure per causa
d’accrescere la sua prole, ella disse a li primi della città che mandessero lei
a li nimici e altre serve, e massimamente quelle che fossero belle e di aspetto
civile, a guisa di nobili spose ornate, dicendo ella che farebbe che tal cosa
fosse la rovina de li nimici; al cui consiglio avendo i Romani ubedito, ella
insieme con l’altre giovani andete nel campo de’ nimici per fare un fatto
segnalato e maggior [95r] di quello che da donna si potesse sperare.
Imperoché avendo ella veduta che i Latini, oppressi dal sonno e dal cibo,
dormivano, senza pericolo e dubio alcuno prima li levò l’armi, poi ella ascese
sopra d’un altissimo fico e con una facella accesa in mano, sì come ella era
convenuta con i Romani, dete il segno a quelli: per il quale i Romani, uscendo
con le sue genti, che stavano attente e vigilanti, assalirono i nimici e molti
di quelli uccisero e riportarono, per il valore e ardire d’una giovanetta, la
vittoria: Plutarco nella Vita di Camillo, e Macrobio.
Ma poi che abbiamo dimostrato il
valore delle donne, resta mo’ che mostriamo la timidità degli uomini, nel qual
fatto si conosceranno appieno le bugie degli scrittori che hanno in questa
parte detto male delle donne.
Artemone greco divenne così
timido e di animo vile che [95v] lungo tempo stete rinchiuso in casa,
avendo duoi servi quali sempre tenevano sopra il capo di quello un scudo di
ferro acciò che non li fosse caduta cosa alcuna nociva sopra di quello; e
s’alcuna volta egli fosse stato sforzato uscir di casa, egli era portato in
lettica coperto.
Aristogitone fu un certo
Ateniese il quale sempre avea in bocca Marte, né mai d’altro parlava che d’armi
e di guerra, acciò che egli paresse e fosse tenuto bellicoso; ma questo valente
uomo, avendo una volta inteso che si preparava l’essercito e si facea gente per
andare alla guerra, fingendo essere amalato si legò una gamba e, con un bastone
andando in publico, fingea essere zoppo, il che vedendo Focione e conoscendo
l’astuzia di quello, disse con alta voce: «Aristogitone è zoppo!»: il Testore
nella 2ª parte.
Non manco timido e poltrone di
costui fu Taurea cam [96r] pano, imperoché, avendo egli provocato con
minnacievoli e superbe parole a duello Claudio Asello soldato romano, poi che
venero allo atto del combattere, subito dando egli de’ speroni al cavallo si
levò di sotto e fuggì in Capua: il medesimo Testore ivi.
Ch’anticamente alcuni uomini
fossero timidi e pieni di paura lo dimostra Aristotele, quando egli dice che
gli uomini di quelli primi secoli si persuadeano che questo cielo, quale essi
vedeano essere sopra di loro, fosse sostenuto dalle spalle di Atlante; donde
che, s’egli si fosse tolto di sotto, che quello sarebbe con grandissima rovina
caduto in terra e avrebbe oppresso ogni uno; e che questo non solamente fu
detto da li poeti ma anco da li fisici fu affermato. Plutarco, nel lib. Della
faccia che appare nel tondo della luna, cita un certo Fenace, il quale
temea che la luna non cascasse in terra, e che avea [96v] compassione
a quelli che erano sotto quella, sì come sono gli Etiopi e li Taprobani; questo
medesimo egli temea della terra e del cielo, s’egli non fosse stato sostenuto
dalle colonne di Atlante. Di tal cosa anco si legge appresso Donato nella
comedia di Terenzio 3, nell’atto 4, scena 3, sopra quel detto di Terenzio «Quid
si nunc coelum ruat?».
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