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Vincenzo Sigonio
La difesa per le donne

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  • Cap. 23   Che le donne non sono iattabonde né ambiziose
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Cap. 23

 

Che le donne non sono iattabondeambiziose

 

Andrea Tiraquello, nella Legge nona congiogale numero 30, dice che è cosa propria de la donna il lodarsi e il vantarsi sempre; e in questo proposito egli riferisce un proverbio che dice: «Tu ti lodi a guisa di donna». E nella medesima Legge, numero 28, dice che esse sono ambiciose, e questo per sentenza di Cornelio Tacito, il qual nel lib. 3 dice che la stirpe delle donne è ambiciosa. Le qual cose se fossero vere, non so per qual causa li scrittori che hanno scritto de simili vici non nominassero e tassassero anco [110v] particolarmente alcuna donna, sì come tassano e notano molti uomini de tali vici; imperoché fra mile uomini iattabondi e ambiciosi apena ritroviamo una donna che di tal vicio sia macchiata: ma vediamo se si ritrovino uomini iattabondi e ambiciosi.

Darete, come si legge nel lib. 5 di Vergilio, fu un certo uomo glorioso, il qual nei giocchi e certami quali celebrò Enea in Sicilia in onore di suo padre Anchise, si gloriava molto nel mostrare le braccia e si vantava grandementi lodando le sue forze.

Scrive il medesimo Vergilio, lib. 9, che Numano, qual fu un certo Rutulo, si iattava molto e riprendeva li Troiani dicendo che non erano atti alla guerra e che erano effeminati.

Similmente, appresso il medesimo Vergilio lib. 12, Murrano era uno che molto si gloriava della sua nobiltà.

Marziale si ride di Sosibiano, il quale era talmente glorioso che chiamava suo padre «signore», essendo egli servo. [111r]

Nevio, poeta comico, quanto egli fosse glorioso lo dimostra Gellio dove scrive l’epitaffio fatto da quello sopra la sua sepoltura.

Domiziano si vantava nel senato che egli avea dato lo imperio al padre e al fratello e che essi avevano restituito a lui quello; si rallegrava essere chiamato «signore» e «dio», donde che Eusebio dice: «Domiziano primo comandò che egli fosse chiamato signore e dio, per il che fu istituito da lui che né in scritto né per parole di qual si volesse uomo altrimente egli fosse nominato».

Suffeno fu un poeta goffissimo, il qual molto si gloriava e molto si tenea buono delle sue opere, le quali nondimeno erano goffissime: Catullo.

Alessandro Magno talmente era iattabondo e glorioso che egli volea esser chiamato figliuolo di Giove Amone e essere anche chiamato Dio: Q. Curzio, e Eliano Sparziano lib. 2.

Annone non era manco glorioso di questi, perciò che egli solea [111v] nodrire e allevare uccelli a’ quali egli insegnava questa voce: «Annone è dio», e poi lasciava volare quelli dove essi voleano, acciò che dapertutto mandassero fuori tal voce: questo è scritto appresso l’autore de gli Adagi.

Adriano imperatore fu così desideroso di fama e fu così ambicioso che dete libri, scritti da sé medesimo della sua vita, a suoi liberti quali pubblicassero quelli sotto il nome loro: Eliano Sparziano.

Nerone fu talmente mosso dalla vana gloria e dalla ambicione che pensava egli farsi immortale, donde che chiamò il mese d’Aprile Nerone e ordinò che Roma fosse chiamata Neropoli: Svetonio.

Goliath filisteo quanto si vantasse si può conoscere dalle sue parole, quando egli diceva al popolo ebreo: «Chi vuol combatter meco si faccia inanti»: lib. 1 de li Re cap. 17.

Ma chi più si vantava e gloriava di Aman? Il quale, invitato da Ester, chiamò i suoi amici e la sua moglie e espose a quelli la grandezza delle sue ricchezze e de’ suoi figliuoli, e molte altre cose piene di iattanza; ma il giorno seguente egli fu impiccato: Nicolò Annapo cap. 100. E di questi basti per ora.

 

 




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