Che le donne non sono
incostanti né mutabili
Scrive Vergilio, lib. 2 dell’Eneida,
che la donna è cosa varia e mutabile. Tibullo parimente, lib. 3, dice che la
mente delle donne è mutabile. Calfurnio poeta nella Egloga 3 scrive che
la donna è più mobile del vento. E Seneca, scrivendo A Gallione de li casi
fortuiti, dice che nessuna cosa è così mobile come è la volontà delle
femine.
La [115r] sentenza de’
quali quanto sia falsa, gli essempi della costanza delle donne, provata anco
nei tormenti, chiaramente lo dimostrano, perciò che è molto lodata da li
istorici Leena, quantunque meretrice, la qual, crucciata insino alla morte da
li tiranni, non manifestò mai i consigli di Armodio e di Aristogitone del
tirannicidio; laonde gli Ateniesi, volendo onorare quella per tal fatto, acciò
che non paresse che onorassero una meretrice, fecero un animale del nome di
quella, e acciò che fosse intesa la causa dell’onore, lo fecero senza lingua:
Plinio lib. 7 cap. 23 e lib. 34 cap. 8, e anco ne fa menzione Pausania lib. 1, trattando
Delle cose d’Ateniesi, e Tertulliano nell’Apologetico cap. 49; il
medesimo afferma Lattanzio Fermano lib. 1 cap. 20. Ma anco il medesimo si legge
che fece una giovane pitagorica, perciò che, essendo ella sforzata con tormenti
da un tiranno, che ella [115v] manifestasse un segreto, acciò che ella
non potesse rivelare quello (ancora che ella fosse stata vinta da li tormenti)
con li denti tagliandosi la lingua sputò quella, sì come avea fatta Leena,
nella faccia del tiranno: questo è scritto da Santo Ambrosio nel lib. Delle
vergini.
Epicarmi ancora, donna libertina
nominata nella congiura contra Nerone, non puoté mai essere vinta da tormenti
alcuni, che ella manifestasse li congiurati, anzi più tosto ella vuolse morire
che manifestar quella; ma tutti quelli che erano consapevoli di tal congiura,
condotti a li tormenti, subito, non aspettando i tormenti, scoprirono la
congiura e manifestarono molti amici e parenti: di questo è autore Cornelio
Tacito nell’Istoria di Augusto lib. 18, e Andrea Tiraquello nella 9ª Legge
congiogale, numero 100.
Referisce il medesimo Cornelio Tacito nel sudetto
lib. 18 che, li soldati di Otone depredando un certo luoco detto Bintimiglio,
una donna detta Ligo avea nascosto un suo [116r] figliuolo e, credendo
i soldati che insieme con quello ella avesse nascosto danari, comminciarono
tormentarla acciò che ella manifestasse il figliuolo; ma ella, mostrandogli il
ventre, dicea che ivi egli era nascosto, né mai per tormenti alcuni ella puoté
esser vinta, che manifestasse quello.
Quintilia anco, donna per la sua
bellezza amabile, per comandamento di Gaio Caligola tormentata e crucciata,
acciò che, per forza de tormenti vinta, ella manifestasse i compagni della
congiura di quello (la quale si dicea che era preparata contra di esso
Caligola), essendo condotta ali tormenti, calcando col suo piede sul piede de
li congiurati significò che essi si dovessero confidare e che non dovessero
temere cosa alcuna per li tormenti che ella fosse per patire; e quello che ella
avea significato, in effetto dimostrò sprezzando li tormenti, da quali di modo
ella fu stracciata e fatta brutta, essendo prima per la sua bellezza cara e
grata a tutti, [116v] che ancora da li suoi amatori ella era
risguardata senza piacere alcuno; laonde Caligola la liberò e le donò molti
danari: Gioseffo lib. 19 dell’Antichità, cap. 1 nel fine.
San Girolamo, scrivendo A
Innocenzio di una donna la quale sette volte fu tormentata, referisce che
un giovine, non essendo tormentato così crudelmente come ella, confessò (ancora
che falsamente) aver commesso l’adulterio, e che perciò egli fu condennato alla
morte, ma che la donna costantemente sopportò i tormenti e quelli vinse né
confessò cosa alcuna. Ma di questo sia detto assai.
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