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Vincenzo Sigonio
La difesa per le donne

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  • Cap. 27   Che il marito non debbe battere la moglie
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Cap. 27

 

Che il marito non debbe battere la moglie

 

Ippolito Marsiliense, sopra la Legge prima, colonna ultima, ff., De quaestionibus›, dice che quella Glosa è molto notabile, che dice: «O mariti, non temete, ma senza paura alcuna battette, percotete, ferite, con mano, [117r] con pugni, con bastone, con legno e con corda la moglie». La qual Glosa non è dubio che non sia da esser biasimata e sprezzata, e che parimente quelli uomini che si governassero sì come ella dice non fossero degni di grandissima riprensione, perciò che, come si legge appresso Vergilio, lib. 2 dell’Eneida:

 

Nessun nome o fama

memorabil s’acquista in punir donna

merta il vincitor lodepregio.

 

La qual sentenza, communemente parlando delle donne, nondimeno molto si referisce alle moglie. E che sia vero che non si debbia battere le mogliemalamente trattarle, lo manifesta Plutarco nella Vita di Catone Censorino, il quale, quantunque avesse provato moglie cativa, fastidiosa e soperba, nondimeno egli affermava che, ciascuno che battesse o mal trattasse la moglie, egli non altrimente che s’avesse viciato il simolacro de Dio dovea essere dapertutto perseguitato e maladetto.

E acciò [117v] che questo chiaramente si conosca essere verissimo, San Paolo, scrivendo A li Colossensi cap. 3, dice: «O mariti, amate le vostre moglie né vogliate essere amari e crudeli verso quelle». Laonde Roberto teologo, nella Lezzione 54 la quale egli scrisse Nella Sapienza di Salomone, dice che il marito debbe regere la moglie mansuetamente, non con tirannica austerità ma con parole, e non con bastonate, non con soperbia, ma con dolcezza. E prima di lui San Giovanni Grisostomo, Nella Pistola di San Paolo A li Corinti, nella Omelia 26, dice: «La moglie non debbe essere battutta, imperoché questa è l’ultima ignominia, non di lei la quale è battutta, ma di quello che la batte»; e séguita dicendo: «E voi mariti, di questo vi avertisco, che non sia alcuno così gran peccato, il qual vi spinga a battere la moglie; ma che dico: la moglie? Neanche la serva. Imperoché, s’all’uomo è di grandissima ignominia battere la serva, molto maggiore sarà levare la mano contra la libera; e questo [118r] si può conoscere da li legislatori de’ Gentili, quali non vogliono che quella che sia stata battutta dal marito abiti più con quello, sì come che egli sia indegno di avere più conversazione con lei; perciò che è grandissima ingiuria far dispiacere e ignominia a quella, sì come a serva che ti è compagna in tutto il tempo della tua vita e in tutte le cose ti è congionta. Per il che tal uomo, se uomo è da essere detto più tosto che fiera, si può dire simile a quello che amazza il padre e la madre: perché se siamo commandati lasciare il padre e la madre per causa della moglie, non per fare a quelli ingiuria ma per adempire la divina legge, e questo a gli istessi padri è tanto grato che essi, lasciati, referiscono grazie, e ciò con molto studio lo dimostrano, a che modo non sarà segno di estremma sciocchezza ingiuriare quella per causa della quale Dio ha comandato che s’abandoni il padre e la madre?». E poco di poi così séguita [118v] dicendo: «Ma tu dirai che la moglie a ciò te incita: considera che la donna è vaso debole e che tu perciò sei fatto capo di quella, acciò che tu sopporti la imbecilità di quella che ti è soggietta». Parimente più a basso così egli scrive: «Ogni volta che qualche cosa di fastidioso accaderà in casa, e se la moglie farà qualche peccato, consola quella né volere accrescere la tristezza e il dolore; imperoché, quantunque tu voltassi ogni cosa sottosopra, tu non averai cosa che ti sia più a noia che non avere in casa la moglie che ti voglia bene. Donde che, se i fastidi iscambievolmente sono da essere sopportati, molto maggiormente quelli della moglie: s’ella è povera, non volere rinfacciarla; s’è pazza, non volere essere soperbo contra quella ma sii più modesto, perciò che ella è tuo membro e ambedue sete fatti una medesima carne; ma se è ubriacca e iraconda, bisogna dolersi e non adirarsi e pregare Dio, e ammonirla e aiutarla col consiglio e sforzarsi con tutte le forze acciò che ella sia liberata da passione tali; [119r] perché se tu la batterai, tu esaspererai il male, perciò che l’asprezza si leva con la mansuetudine e non con altra asprezza. Oltre di ciò, considera che mercede tu sii per avere da Dio, per che, potendo battere quella né ciò faci per timore di Dio ma pacientemente sopporti molti vici di quella temendo le leggi (quale non permettono che si scacci la moglie per causa di qual si voglia vicio che sia in lei), tu riceverai grandissima mercede; e inanti la mercede guadagnerai molte cose, imperoché tu farai quella molto più ubediente e tu, per causa di quella, molto più mansueto diventerai».

Questo medesimo ancora era figuratamente comandato dagli antichi teologi de’ Gentili, per gl’istitutti de’ quali quelli che sacrificavano a Giunone non usavano il fele nei sacrifici, ma quello, cavato dalla vittima, sepelivano appresso all’altare: per la qual cosa si dimostrava che l’ira, [119v] la còllera, l’odio e l’amaritudine doveva essere separata dal marital consorzio; imperoché Giunone è la presidente delle nozze e significa la unione della vita del marito e della moglie: della qual cosa è autore Plutarco nel lib. de li Precetti congiogali, e Eusebio, Della preparazione evangelica lib. 2 cap. 1. Per il che il Romano Pontefice nel cap.› 1 Extra de his qui vi metusve causa fiunt, chiama un certo «tiranno» perché egli crudelmente trattava la moglie.

Plutarco ancora, nel lib. quale egli scrisse Dell’allevare i figliuoli, avertisce i padri che istruiscano i figliuoli ne gli onorati essercizii non con battitture ma con ammonizioni e ragioni. E il simile dice Terenzio negli Adelfi, atto 1 scena 1, imperoché le battitture più tosto s’appartengono a li servi che a li liberi. E M. Varrone nel lib. 1 cap. 20 Dell’agricoltura dice che si debbe comandare a li servi, che più tosto siano costretti ad ubedire per le parole che con le battitture. Donde che, se quello [120r] avertisce questo de li liberi, e questo de li servi, che diremo della moglie, la quale è una carne, un corpo e una anima col marito, e la quale è stata fatta da una delle coste dell’uomo, e non del piede, acciò che non paresse che ella dovesse essere soggietta e serva dell’uomo, sì come è stato notato da li dottori? e Santo Ambrosio, lib. 5 cap. 7 dell’Essamerone, dice all’uomo: «Tu non sei signore della donna ma marito; tu non hai tolto una serva ma una moglie; Dio ha voluto che tu sii suo governatore». Anzi che le leggi dicono che il marito e la moglie sono compagni: LeggeAdversus, cap.De crimineexpilataehaereditatis›; e nel principio della Bibia, nel Genesi cap. 3, Adamo, parlando della moglie, dice: «La donna la qual mi hai data per compagna».

Plauto parimenti, nella comedia intitolata Sticho, scrive che le moglie sono compagne de li mariti.

Ma che sia anco cosa indegna e di biasimo grande battere la moglie, di qui si vede, perché l’imperatore Teodosio e Valentiano statuirono che quella donna che [120v] provasse essere stata battutta dal marito potesse ripudiare quello: LeggeConsensu, cap. De repudio›, per la quale legge la Glosa, nel cap.Sicut alterius 7, quaestio› 1 par voler significare che, quantunque il marito possi correggere la moglie, nondimeno non s’intende battendola, ma in altro modo; il che seguita Alessandro nel Consiglio 15, dopo il principio, lib. 4.

Oltre di questo non si legge che alcuni quasi di quelli che sono stati tenuti dotti uomini e sapienti mai abbino battutti le sue moglie, quantunque fossero moleste, fastidiose e intolerabili, ma più tosto avere o dissimulato overo amorevolmente corretti i vici di quelle?

Scrive Giulio Capitolino che M. Antonino, filosofo e imperatore romano, il qual superò tutti i prencipi di bontà, dissimulò gli adulterii di Faustina sua moglie.

Ma Socrate, il qual fu giudicato da Apollo sopra tutti sapientissimo, moderatamente e sapientemente sopportò le molestie, le villanie e le ingiurie della moglie Santip [121r] pe; il quale, essendo stato dopo le molte villanie da quella con acqua immonda bagnato, altro non disse se non questo: «Io sapea che doppo questi tuoni venirebbe la piova»; il che, oltre li molti altri autori, anco lo referisce San Girolamo Contra Gioviniano lib. 1. Ma Seneca, nel lib. quale è intitolato Quomodo in sapientem non cadit iniuria, scrive che Socrate solamente rise, essendo sguazzato da Santippe.

Della medesima racconta Laerzio, che egli rispose ad Alcibiade, che lo riprendeva perché più modestamente di quello che si convenia egli sopportava le ingiurie e le molestie della moglie, dicendo: «Ma dimmi, tu non tolleri lo strepito dell’ocche?»; e dicendo lui che l’ocche li faceano l’uuove e li pavari, li disse che Santippe li facea i figliuoli. Ma Gellio, lib. 1 cap. 17, narra che altrimenti egli rispose, dicendo che Santippe moglie di Socrate fu molto fastidiosa, stizzosa e piena d’ira e di molestie il e la notte, laonde Alcibiade, maravigliandosi di queste [121v] cose, addimandò a Socrate per che causa egli non cacciasse fuori di casa una donna così rabbiosa, cui egli rispose dicendo: «Perché, sopportando tal donna in casa, mi assuefaccio e mi essercito a sopportare più facilmente, fuori, le ingiurie e molestie altrui».

Il medesimo Gellio anco ivi soggionge la sentenza di Varrone nella Satira Menippea, la quale egli scrisse Dell’ufficio del marito, in questo senso: «Il vicio della moglie è da essere levato via overo sopportato; chi leva via il vicio della moglie, fa quella più commoda, chi lo sopporta fa se stesso megliore».

Ma, per ritornare a Socrate, Plutarco, nel lib. Del repprimere l’iracondia, dice che Socrate, avendo per sorte condotto seco a mangiare Eutidemo che ritornava dalla palestra, Santippe, essendosi levata su irata e avendo detta molte villanie al marito, e finalmente avendo tratta sottosopra la mensa, e Eutidemo irato levandosi e avendo [122r] cominciato partirsi, Socrate li disse: «Ma poco fa non è accaduto in casa tua che una gallina, volando su la mensa, ha fatto il medesimo, noi però non si adirassimo?» Per il che non bisogna resistere alla moglie con le botte, ma con amorevolezza, sì come dice Ovidio, lib. 3 delle Elegie, prima per le cause sudette, poi massimamente per questa, perché, essendo la moglie battutta dal marito, l’amor congiogale si convertisce in odio immortale, di modo che la moglie tanto s’incrudelisce verso il marito che spesse volte procura la morte di quello.

Finalmente, acciò che io conchiuda, le moglie non sono da essere corrette con bastonate, ma con piacevolezza e con parole maritali, acciò che io usi le parole del Giurisconsulto nella Leggeultima›, ff., Si quis aliquemtestariprohibet›. Imperoché, come dice Bernardo Silvestre, quale molti istimano San Bernardo, in quella Pistola, la quale egli scrisse a un certo Raimondo Delle cose famigliari, la mala moglie più tosto col riso che col [122v] bastone è da essere castigata. E Plutarco, nei Precetti congiogali, dice che gli antichi collocavano Mercurio appresso Venere perché il piacere matrimoniale par avere molto di bisogno di ragione e di parlar facondo e dotto, per causa cioè di componere i litigii e l’ire che per qualche accidente nascono fra il marito e la moglie.

 

Il fine

 

[123r] Gli errori della stampa si rimettono a chi sa.

 

 




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