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Vincenzo Sigonio
La difesa per le donne

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  • Cap. 8   Che le donne non sono ladre
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Cap. 8

 

Che le donne non sono ladre

 

Perché il furto è compagno dell’avarizia, quelli che hanno scritto contra le donne hanno anco detto che esse sono ladre, e l’infamia grandissima de gli uomini hanno voluto attribuire a quelle: imperoché Andrea Tiraquello, nella 9ª Legge congiogale nel numero 63, per sentenza di Esiodo dice che le donne sono ladre e che i latrocinii e furti sono proprii e particolari di quelle. Oltra questo mordace scrittore, Simonide appresso Giovanni Stobeo nel Sermone 71 dice che la donna è simile alla furace donola, la qual rubando dà molti danni a li vicini. Giovanni Boccacio poi, non manco mordace de questi, nel Laberinto dice che [22v] tutti i pensieri delle donne, tutto lo studio, tutte l’opere loro a nessuna altra cosa tendono che a rubare. Del qual cianciume loro istimo che gli uomini di sano giudicio poco si cureranno, né meno saranno per prestargli fede, ecetto però se questi malevoli non volessero pigliare il furto delle donne in quel modo che intende un certo comico in una suo comedia, nella quale dice che tutti sono ladri, e lo prova in questo modo, cioè che la terra ruba i corpi, il cielo l’anime, li mariuoli le burse e le donne i cuori; o pure se non volessero dire che le donne fossero ladre per l’essempio di Rachel, la qual rubò, come è scritto nel Genesi cap. 31 e nell’Antonina, parte 2, tit. 1 dell’avarizia, cap. 14, al padre suo Labano gli idoli, per causa di levargli l’occasione di commettere il grandissimo peccato dell’idolatria. Ma lasciando da parte questo, vediamo ora se questo brutto vicio ascritto dali malevoli scrittori alle donne è peculiare e proprio di quelle opure de gli uomini. [23r]

Si legge nel lib. 1 de li Re, cap. 30, che gli Amalechitti fecero un gran furto e rubbamento in Siceleche, dove abitava il re David con la sua famiglia, il qual era in quel tempo assente; ma intesa la cosa, esso re David perseguitò quelli e gli tolse ogni cosa e gli scacciò con grandissima furia.

Referisce Santo Agostino nel lib. 3, cap. 4 Della città di Dio, che un certo corsalle preso da Alessandro Magno e interrogato per qual causa con tanti latrocinii egli molestava il mare, con libera voce gli respose dicendo che per quella medesima causa e ragione che egli perseguitava tutto il mondo, egli molestava il mare. Ma perché egli con un picciolo naviglio ciò facea, egli era chiamato corsalle e ladro, e perché Alessandro perseguitava tutti con una grossa e grande armata e infinita moltitudine di gente, egli era chiamato re e imperatore; [23v] imperoché non era differenza alcuna tra loro, se non perché la necessità sforzava il corsalle, e la cupidità e avarizia grande Alessandro. E che Alessandro Magno fosse ladro, oltre questo anco lo dimostra Giovanni da Valenza nella sua Summa nel capo della giustizia, e l’Antonina, parte 2, tit. 1 dell’avarizia, cap. 12.

Ladri furono, come è scritto nel libro de’ Giudici cap. 7 e cap. 8, Oreb, Zeb, Zebec e Salmana capitani de’ Madianiti; ma da Gedeone solo con trecento soldati furono uccisi con gli esserciti loro, quali erano cento e venti milia, perciò che la mano di Dio favorisce quelli che castigano i ladri.

Racab e Baana furono prìncipi di ladroni, e avendo essi uccisi Isboseth figliuolo di Saul, e portando il capo di quello al re David, credendo essi fare cosa grata a quello, furono per commandamento di esso re David uccisi, e tagliategli le mani e [24r] piedi li fece impiccare sì come meritano i ladri: lib. 2 de li Re cap. 4.

Dionisio siracusano non solo fu ladro ma anco sacrilego, il qual spogliò e rubò le chiese e sacri altari: Valerio Massimo, Strozza il padre.

Brenno capitanio di Francesi, entrato nel tempio di Apollo per rubar e spogliar quello, per l’ira di quello s’uccise: Valerio Massimo.

Fulvio, avendo rubato e portato in Roma dal tempio di Giunone Lacinia alcune pietre di marmore, divenne pazzo: Valerio Massimo.

Il tempio di Salomone fu saccheggiato dal re Nabucodonosore, il quale, con l’essercito di Caldei presa la città di Gierusaleme e rovinate le mura di quella, rubò i vasi del tempio: lib. 4 de li Re cap. ultimo.

Il medesimo tempio fu saccheggiato per Antioco nel tempo di Macabei, quando esso Antio[24v]co rubò e portò in Antiochia mile e ottocento talenti tolti fuori del detto tempio; e oltre il latrocinio e sacrilegio che egli avea commesso, non si vergognò, il scelerato, profanar quello con meretrici e altre cose illicite; per il qual scelerato fatto egli poi morì violentemente: lib. 2 de li Macabei, cap. 6.

Parimente Tito e Vespasiano prìncipi romani, avendo presa e rovinata la città di Gierusalemme, spogliarono il suddetto tempio: Gioseffe Della guerra di Giudei.

Caco fu figliuolo di Volcano e fu un ladrone il quale stando nel monte Aventino nascosamente rubava gli armenti e per la coda strassinava quelli nella sua spelonca, acciò che il furto non fosse conosciuto né ritrovato; ma Ercole lo prese, l’uccise e gli disfece la spelonca: Vergilio lib. 8.

Spartaco fu un certo ladro e principe di ladroni, il qual avendo messo insieme una grossa compa[25r]gnia di ladri e mariuoli fuggitivi, fece con i Romani guerra; ma il scelerato fu vinto poi da Publio Crasso: Lucano lib. 2.

Gli Argivi anticamente furono avuti grandissimi e eccellentissimi ladri, laonde quando volemo intendere alcuni eccellenti ladri dicemo per proverbio ‘ladri argivi’: l’Autore degli Adagi.

Mercurio è fatto da li poeti ladro e dio de li ladri, e anco da Lattanzio Fermano è chiamato ladrone, dicendo egli: ‘Mercurio che cosa ha lasciato egli alla memoria sua se non la memoria delle sue fraudi?’.

Attaba e Numenio furono due così eccellenti ladroni, che si dice per proverbio, quando vogliamo significare che due uomini tristi e ribaldi sono insieme, ‘Attaba e Numenio’: Diogeniano appresso l’Autore degli Adagi.

Nerone spogliò le provincie, spogliando anco in Roma li templi di quelle cose le quali erano state consecrate dal [25v] popolo nei trionfi: Cornelio Tacito.

Dionisio siracusano spogliò i sacri templi de li dei e con parole ridicolose moccandosi di quelli; imperoché, sì come è scritto appresso Valerio Massimo, avendo egli spogliato il tempio della dea Proserpina in Locri e avendo bonissimo vento, ridendo disse a gli amici: «Vedete forsi quanto buona navigazione è concessa da li dei a li sacrilegi?». Il medesimo Dionisio, avendo spogliato del pallio d’oro Giove Olimpio e avendo vestito quello d’uno di panno, disse pur burlandosi di Giove che nell’esta’ il pallio d’oro era grave e ne l’inverno che egli era freddo; ma che il pallio di panno era più atto e conveniente all’uno e all’altro tempo. Il medesimo levò la barba d’oro a Esculapio dicendo che non si convenea che il figliuolo avesse la barba e il padre fosse sbarbato. Oltre di ciò egli levò de li templi le mense d’oro e d’argento; spogliò ancora le statue delle corone e tazze che teneano in mano. Di questo scelerato oltre gli altri anco ragiona Cicerone nel 3° lib. Della natura de li dei. [26r]

Gaio Verre rubò la Sicilia levando via le statue de li dei e gli ornamenti delli templi, per il che Cicerone lo paragona a Dionisio.

Sambico ladrone spogliò il tempio di Diana in Elide e, non volendo confessare il sacrilegio, per un anno continuo da crudelissima infermità fu insino alla morte crucciato; laonde nacque il proverbio che dice ‘Patir maggior male di Sambico’, volendo cioè significare ‘patir grandissimi incommodi e calamità’: questo è scritto ne gli Adagi. Ma di questo sia detto assai.

 

 




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