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Vincenzo Sigonio La difesa per le donne IntraText CT - Lettura del testo |
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Cap. 15
Che le donne non sono meretrici, anzi sono castissime
Scrive Laerzio, nella Vita e costumi de’ filosofi, che Secondo filosofo udì dire che ogni donna era meretrice e impudica; e che Adriano imperatore addimandandogli che cosa fosse la donna, scrisse (perciò che egli non voleva parlare) che ella era il vaso dello adulterio. A cui pare accostarsi Alesside appresso Giovanni [70v] Stobeo nel Sermone 71, dicendo che non è animale più sfacciato della donna. Né molto da questi mordaci scrittori par discostarsi Menandro poeta dicendo, come si legge nel sudetto Sermone, che la donna è di natura sfrenata. Ma più chiaramente il medesimo Alesside nel sudetto luoco par significare, dicendo che non è muraglia, non è pecunia overo altra cosa tanto difficil da servare quanto è la donna. A cui accostandosi Euripide disse, appresso il sudetto Giovanni Stobeo nel Sermone 72, che in vano s’affaticchiamo volendo custodire la donna, essendo cioè la donna di natura, come dice Ippocrate nel detto Sermone 72, libidinosa. Per le qual cose forsi Giovanni Boccacio ha detto nel suo Laberinto cose di questa materia tanto nefande contra l’onestà donnesca che nessuno che ami la verità già mai le potrà leggere né udire se non con grandissimo stomaco e dispiacere. Con tutti questi anco tiene Ovidio nel Lib. senza [71r] titolo, dicendo che quella donna è casta la quale non è stata pregata da alcuno, e se la vergogna non ritien quella, che ella prega l’uomo: le quali ignominiose calonnie quanto siano aliene dal vero gli essempi delle donne caste e pudiche lo manifestano. Scrive il Volatterrano nella Geografia che una certa giovanetta per nome Baldacra, di nazione bassa e oscura, quantunque ella avesse de bisogno di molte cose per causa della sua povertà, nondimeno non volse mai far copia del suo corpo a Otone imperatore, quantunque egli le promettesse e le volesse dare grandissimi doni. Penelope figliuola de Icaro non puoté mai, per alcune persuasioni di proci, esser corrotta, stando assente per spacio di venti anni Ulisse suo marito: Properzio lib. 3, Ovidio lib. 3 delle Elegie e Claudiano e molti altri. [71v] Dafne figliuola di Peneo fu di modo studiosa della sua castità che mai volse acconsentire ad alcuno né ad Apollo istesso quantunque bellissimo: Ovidio lib. 1 Metamorfosi. Biblia over Bilia, moglie di Diullo romano, il qual nella guerra navale fu il primo che trionfasse, fu di tanta pudicizia che era norma e specchio nel suo secolo di somma castità: San Girolamo, e nel lib. Della pudicizia delle moglie. Lucrezia romana, per causa del ricevuto stupro da Tarquinio Soperbo e per la violata pudicizia, con la morte volontaria vendicò tal sceleranza: Livio lib. 1 Ab urbe condita. Sofronia donna romana, non potendo fuggire la violenza e il stupro di Decio, prese col consenso del marito il coltello e s’uccise: Eusebio. Zenobia, regina de’ Palmerini, fu di tanta castità che non pur col marito si mischiava se non per generare figliuoli: Trebellio Pollione e Guidone Bituricense, lib. De pudicis et impudicis. Etelfrida, regina d’Inghelterra, dopo il primo figliuolo, sempre [72r] s’astenne dal marito: Volateranno. Sulpicia, figliuola di Patercolo, per sentenza delle matrone romane fu giudicata pudicissima donna: Plinio lib. 7, Valerio Massimo lib. ultimo cap. 8. Scrive Cornelio Tacito che Ponzia donna romana mai puoté né con preghi né con promesse esser persuasa di voler commettere l’adulterio con Ottavio tribuno della plebe, anzi più tosto volse essere da quello uccisa. Le donne Chie furono di tanta castità che mai s’udì dire che appresso loro fosse accaduto né adulterio né stupro alcuno: Plutarco Delle virtù delle donne. Siritha, figliuola di Sivaldo re de’ Dani, fu di tanta pudicizia che, essendo ella da molti per la sua rara bellezza addimandata per moglie, mai ella volse guardare alcuno: il Sasso lib. 7. Dria, figliuola di Fauno, di maniera fuggì e sprezzò l’aspetto e presenza de gli uomini che mai fu vista apparere in publico, per il che fu vietato [72v] che nessuno maschio andasse alli sacrifici di quella: Plutarco. Già fu tanta castità nelle donne padovane che mai andavano in publico se non con la faccia coperta: Rodigino lib. 7 cap. 17. Ippo, donna greca presa da’ corsalli, accorgendosi che essi le voleano tuore l’onore e la verginità, la notte si gittò nel mare a capo chino, e più tosto volse morire onesta nell’acque che vivere impudica fra le donne: Valerio Massimo lib. 6 cap. 1. Le moglie di Teutonici, fatte pregioni da Mario, pregarono quello che volesse mandarle in dono alle vergini vestali, affermando che sariano simili a quelle nel servare la castità; il che esse non avendo impetrate, fu cagione che la seguente notte tutte s’impiccarono: Valerio Massimo lib. 6 cap. 1 e San Girolamo nella Pistola a Geronzia. Giudith donna vedova, essendo di nuovo stimolata al nuovo matrimonio, oppose contra l’ornamento suo il cilicio, contra la libidine il digiuno, contra il [73r] sonno le vigilie e contra l’occio la fatica: M. Antonio Sabellico ne gli Essempi. Anna, figliuola di Fanuelle, fatta vedova doppo il settimo anno del suo matrimonio, insino a gli anni ottanta quattro visse castissimamente: M. Antonio Sabellico nel sudetto luoco. Timoclia, donna tebana, essendo stata violata per forza da un certo barbaro principe de’ Traci, si vendicò della ricevuta ingiuria a questo modo: ella, dissimulando l’odio, disse a questo barbaro che ella sapea un luoco dove era un tesoro, e fu menato da quella a un profondissimo pozzo quale era nella parte più segreta della casa; al quale essendo venuto il barbaro, e inchinatosi sopra quello per cercare ove era il tesoro, fu da Timoclia, che stava di dietro a quello, a capo chino gettato nel pozzo e coperto di pietre e sassi: Marco Antonio Sabellico ne gli Essempi. Ciane, vergine siracusana, avendo molto per male essere [73v] stata violata dal padre ubriacco, pigliando quello per i capelli lo strassinò appresso un altare e ivi in luoco di vittima l’uccise: Plutarco nei Paralleli. Medolina anco, vergine romana, essendo stata dal padre ubriacco nelle tenebre violata, acciò che ella conoscesse il suo violatore, trasse un anello di dito a quello, e la mattina, conosciuto ch’era stato il padre, quello medesimamente uccise appresso l’altare: Plutarco. Teano, donna pitagorica, vestendosi una volta la vesta e avendosi denudato un braccio, disse a uno che libidinosamente quello guardando avea detto: «O che bello braccio», «Egli non è però publico»: Plutarco nei Precetti congiogali. Attila, re di Panonia, oppugnando Aquileia, Dugna donna nobilissima, acciò che non patesse cosa alcuna inonesta da quella fiera gente di Attila, subito che ella intese che la città era presa da quello e che li nimici erano intrati dentro, [74r] si precipitò giù da una altissima torre nel fiume Natissa e con memorabil fine della sua vita terminò la paura di perdere la pudicizia: Paolo Diacono, lib. 15 Delle cose de’ Romani. Avendo gli trenta tiranni d’Atteniesi uccisi nel convito Fedone, comandarono che le figliuole vergini di quello venessero a sé e che, secondo il costume de meretrici, si spogliassero ignude e sopra il pavimento insanguinato del padre ballassero e scherzassero; le quali, per un pocchetto dissimulato l’abito del dolore, vedendo che quelli erano ubriacchi, uscendo di quel luogo sì come che andassero a far i bisogni della natura, abbracciate insieme si gettarono in un pozzo, acciò che non solo non perdessero la virginità loro ma né anco fossero vedute ignude: questo si legge nel lib. Della costanza delle vergini. Scrive Eusebio, nel lib. 8 della Ecclesiastica Istoria [74v] nel capo 12, che quattro giovane nobilissime e bellissime, si detero la morte per non perdere la virginità, due gettandosi in un fiume e l’altre due in mare. Li Spartiati e Messenii lungo tempo fra sé ebbero amicizia strettissima, di modo che, per causa di certi sacrifici loro, iscambievolmente si mandavano le sue vergini; donde che, avendo voluto una volta i Messenii violare cinquanta vergini de’ Spartiati, nessuna di tanto numero acconsentì al stupro, ma tutte volentieri per servare la pudicizia morirono; per la qual cosa nacque una grande e lunghissima guerra, e finalmente dopo lungo tempo Mamertia città fu rovinata: nel lib. Della costanza delle vergini. Eusebio ancora, nel lib. 8 della Ecclesiastica istoria cap. 17, scrive che Dorotea, vergine alessandrina bellissima e nobilissima, più tosto elesse la morte che voler perdere la sua pudicizia. Aristoclide, tiranno di Orcomeno, amò grandissimamente Stimfalide, vergine bellissima; la quale, essendo fuggita [75r] dopo la morte del padre al tempio di Diana e tenendo abbracciato strettamente il simolacro di quella né potendo per forza alcuna esser da quello staccata, nel medesimo luoco ella fu uccisa; per la cui morte tutta l’Arcadia fu commossa da tanto dolore che, pigliando l’armi, fece la vendetta della morte della vergine: nel lib. Della costanza delle vergini. Dicono i scrittori greci, come si legge nel lib. Della costanza delle vergini, che una giovane tebana, sforzata da uno di Macedonia, per un pocchetto dissimulato il dolore uccise il violatore della sua verginità, mentre che egli dormiva, e poi se stessa; a tal che ella non volse vivere dopo la perduta castità e onor suo, né prima morire che avesse fatta la vendetta di se stessa. Nicanore, avendo vinto e superato Tebe, fu dall’amore d’una sola vergine, che egli fece pregione, superato; donde che egli, desiderando aver quella per moglie [75v] (il che ella dovea aver molto grato) s’accorse egli che nelle menti caste più era istimata la verginità che il regno; per il che essendosi ella uccisa acciò che non fosse stata superata da quello, egli tenendola nelle sue braccia la pianse molto: nel lib. Della costanza delle vergini. Chi potrebbe mai con silenzio lasciar da parte sette vergini milesie? Le quali, guastando con impeto grandissimo Francesi ogni cosa, acciò che esse non ricevessero qualche cosa inonesta da li nimici, fuggirono quella con la morte, lasciando essempio a tutte l’altre vergini che alle oneste menti più debbe essere a cuore la pudicizia che la vita: nel lib. Della costanza delle vergini, e Guidone Bituricense, lib. De pudicis et impudicis. Sono alcune isole nelle quali sono donne che abitano sole senza comerzio alcuno de uomini; alcuni pensano che esse vivano secondo il costume delle Amazoni, ma chi più prudentemente considerano la cosa, dicono che sono vergini solitarie, come sono appresso di noi le monache [76r] e come erano appresso gli antichi le vergini vestali overo alla Bona dea consecrate. A certi tempi dell’anno uomini vanno a quelle, non per causa inonesta ma, mossi a pietà, per lavorare i loro terreni e orti, acciò che esse possino mantenersi: di questo è autore Pietro martire; dice il medesimo autore che nessuna sa che cosa sia il congiongersi con uomo insino che ella non si mariti, e s’altrimente accadesse, è cosa scelerata e indegna e merita la morte; donde che in quelle donne è castità maravigliosa. È cosa giusta dire delle vergini di Locri, le quali, essendo mandate secondo il costume loro a Troia per anni circa mile, mai s’udì che nessuna fosse stata polluta: nel lib. Della costanza delle vergini. Si legge che è un luoco in Beozia dove due giovane detero alloggiamento in casa sua a due giovini suoi amici essendo assente il padre loro, e essendo esse state la notte sforzate da quelli per causa del vino che essi [76v] aveano bevuto, s’uccisero l’una e l’altra, non volendo vivere dopo la perduta loro pudicizia: nel lib. Della costanza delle vergini. Gisella, sorella di Enrico 2° re, era sopra tutte le giovane nel suo tempo bellissima, per la qual bellezza ella era desiderata e bramata da tutti i prìncipi e signori; finalmente il re di Ongheria cercò di averla per moglie, la quale li dete la repulsa s’egli, lasciato il culto della idolatria, non si batteggiava e insieme con tutto il suo regno egli non veniva alla fede di Cristo; donde che il re accettò il partito e fu detto Stefano, e egli insieme con tutto il suo regno per amore di questa bella e castissima vergine si fece cristiano: questo anco si legge nel lib. Della costanza delle vergini. Si legge nel lib. intitolato Specchio de gli essempi che una certa giovane, più nobile di virtù che di sangue, eletta per sposa da Gismondo re di Lotaringhia, fuggì a un altare e, sprezzata la regal corona, entrò [77r] in un monastero: distinzione 9, essempio 21. Nel medesimo lib. nella sudetta distinzione, essempio 22, si legge che una certa giovane, temendo i pericoli della verginità, si tagliò il naso e le labra, le quali nondimeno miraculosamente ella recuperò dalla Madre del nostro Signore. Una altra certa giovane, vedendo che un certo signore era innamorato nei suoi belli occhi, ella si cavò quelli e li mandò al sudetto signore, contenta più tosto perdere gli occhi che la pudicizia: nel sudetto lib., dist. 9, essempio 23. Vergini infinite, avendo intese che erano da essere stuprate e svergognate dal Soldano, tutte con le proprie mani si tagliarono il naso: nel medesimo lib., dist. 9, essempio 24. Una altra giovane, quantunque serva ma bellissima, essendo e con preghi e con danari solecitata dal suo signore nelle sue inoneste voglie, più tosto elesse bollire [77v] in una caldara piena di pegola bolliente che, facendo copia a quello del suo corpo, perdere la verginità e castità sua: nel medesimo lib., dist. 2, essempio 66. Una donna nobilissima e due sue figliuole bellissime, essendo state condotte da soldati in Antiochia, dove esse erano per perdere la castità e pudicizia loro, fingendo voler far quello che ricerca il corpo, i soldati alquanto da quelle si discostarono; per la quale occasione e commodità si gettarono in un fiume e più tosto volsero morire in quello che inoneste vivere fra gli uomini: nel sudetto lib., dist. 4, essempio 70. Ma avendo noi infin qui mostrato assai sufficientemente (acciò che non sempre ragionamo di questa materia) che le donne sono castissime e più istimano la castità e pudicizia sua che la vita istessa, vediamo per il contrario i molti inonesti e libidinosi fatti degli uomini scelerati; quali intesi che averemo, poi faciamo giudicio se i scrittori maldicenti e contrarii al nome e sesso feminile abbiano scritto il vero in questa materia dell’onestà e pudicizia delle donne. [78r] In prima dunque dico che Aiace (per cominciar da questo), figliuolo di Oilo, fu tanto libidinoso che non puoté contenersi che non violasse Cassandra figliuola del re Priamo nel tempio della dea Pallade; per il qual fatto il scelerato fu dalla istessa dea fulminato in mare insieme con molti altri Greci: Vergilio lib. 1 della Eneida. Scrive Plutarco nella Vita di Cicerone che Publio Clodio, oltra le stuprate sorelle, si vestì in abito feminile e entrando fra le publiche ceremonie della Bona dea, adulterò Pompeia figliuola di Pompeio. Vittorino tiranno, il qual nel tempo di Galeno resse la Francia, per causa della sua libidine fra le matrone fu ucciso: Trebellio Pollione. Demetrio, figliuolo di Antigono, volse sforzare Democle giovinetto bellissimo, donde che il meschino, non potendo per le sue forze giovenili a quello resistere e dalle mani del scelerato fuggire, si gettò in un gran caldaro d’acqua bolliente e in quello più tosto morì che acconsentire al tiranno; il medesimo Demetrio [78v] fu talmente notato di libidine che spese per sfogare quella 250 talenti d’oro: Plutarco. Non si vergognò Caligola imperatore inonestamente amare le sue due sorelle, le quali poi anco sottopose a’ suoi servi; non finirono poi anco le sceleranze di questo ribaldo imperatore in questi nefandi fatti ma, passando più oltre, egli tolse Orestilla moglie di Gaio Pisone e fra il spacio di due anni la ripudiò e la mandò in essilio; tolse poi Lolia Paolina a Gaio Memmio e, dopo, quella in breve tempo scacciò, proibendo che mai più ella amasse uomo alcuno; amò egli poi Cesonia, la qual spesse volte egli mostrò ignuda a’ suoi amici. Si dice che egli inonestamente amò M. Lepido e M. Nestore pantomimo, e altre nefande cose si legge di questo scelerato, che troppo offenderebbono le caste orecchie, s’io volesse raccontarle: queste sudette sono scritte fra gli altri da Svetonio nella Vita di esso Caligola. Comodo, imperatore non manco ribaldo di Caligola, [79r] amò inonestamente le sorelle e permesse che le sue concubine alla sua presenza fossero da li suoi amici stuprate: Lampridio nella Vita di quello. Il medesimo Comodo stava inonestamente con trecento sue concubine e con altri trecento giovinetti: il medesimo Lampridio ivi. Chelderico, re de’ Francesi, per causa della sua gran libidine verso le matrone fu cacciato del regno, benché poi egli ritornasse in quello: Volaterrano. Gordiano il giovine, il qual regnò insieme col padre, tutto fu dedito alla libidine; egli ebbe ventidue concubine e da ciascuna di quelle ebbe tre e quattro figliuoli, donde che egli era chiamato Priamo del suo secolo, e da alcuni altri, per detestazione della sua libidine, Priapo guardiano de gli orti: Giulio Capitolino. Uguzio, principe de’ Fiorentini, fu amazzato dali cittadini per la sua sfrenata libidine verso le donne loro: Volaterrano. [79v] Serse, re de’ Persi, di maniera era immerso nella libidine che egli dava grandissimi premi a quelli che ritrovavano nuovi piaceri libidinosi: Cicerone lib. 5 delle Toscolane e Valerio Massimo. Appio Claudio, uno deli magistrati del decemvirato, non avendo potutto né con parole né con premio avere Verginia, giovane plebeia ma bellissima, ebbe quella per forza; la qual cosa fu cagione di levare il magistrato del decemvirato, sì come gli re furono scacciati di Roma per causa di Lucrezia stuprata: Livio, e Cicerone lib. 2 Delle leggi. Tigillino fu un certo ribaldo di vita molto disonesta, il quale perciò ottenne molti favori da Nerone: Cornelio Tacito lib. 17. Ostio fu un certo principe, nel tempo di Augusto, di vita inonestissima e alla libidine deditissimo; per la quale libidine fece cose tanto brutte e inoneste che non sono da essere né scritte né dette: Seneca lib. 1 delle Questioni naturali. Nerone, oltre gli innumerabili altri suoi vici, anco di [80r] libidine fu molto notato, imperoché il ribaldo amò Rubria vergine vestale, né in questo finì la sua libidine, perciò che anco amò la madre inonestamente; facea, il scelerato, anco ligare uomini e donne ignude ad alcuni legni acciò che egli avesse maggior diletto nel mirare quelli. Si maritò il poltrone in Dotiforo, sì come anco egli avea fatto in Sporto suo liberto: queste cose sono scritte da Tranquillo, e della mostruosa e sfrenata libidine di questo ribaldo abondantemente anche scrive Cornelio Tacito nel lib. 17. Ma chi non averebbe veduto volentieri Sardanapalo re de gli Assirii vestito in abito feminile, avendo deposto l’abito regale e lasciata la cura del regno solo per provare meglio i piaceri libidinosi? Chi non giudicherà che egli fosse stato più tosto degno d’un laccio che della corona regale? Di questa bestia scrive Trogo Pomponio lib. 1 e Cicerone lib. 5 delle Toscolane. Un altro fatto d’un giovinetto atteniese, qual potremo chiamare balordo e affatto fuori di seno, si legge appresso [80v] Celio Rodigino nel lib. 7, cap. 32, il quale è questo: era in Atene una statua della Fortuna; il giovine del qual ragionamo di maniera amò quella che più volte l’abbracciava e la bacciava, laonde di giorno in giorno per causa di detta statua il poverello dileguandosi andete al senato, pregandolo che li volesse concedere quella perché egli era preparato di dargli una grandissima quantità di danari; nella qual cosa avendo egli avuto la repulsa dal senato, appresso quella con le proprie mani s’uccise; laonde si può vedere se costui era niente libidinoso, amando una statua. Antonio Caracalla fu di tanta libidine che, non avendo risguardo né a leggi né a costumi, non si vergognò pigliar per sua moglie Giulia sua madregna: Elio Sparziano. Orfeo, come scrive Celio Rodigino lib. 8 cap. 30, fu inventore della libidine che s’estingue col fuoco, laonde, sprezzando egli le donne, fu dalle menadi ucciso: Ovidio, Metamorfosi, lib. 10. Cesare sarebbe stato ornato di tutte quelle cose che si convengono [81r] a un perfetto uomo, se egli avesse avuto più a cuore la pudicizia; ma di modo ebbe quella in pocca stima che Curione il vecchio, in una sua orazione, lo chiamò uomo di tutte le donne e donna di tutti gli uomini: donde che Svetonio, nella Vita di quello, lo riprende molto di libidine. Bagoa, giovinetto persiano, fu amato inonestamente da Alessandro Magno, donde che Orsino, uno de’ Persi, uomo nobilissimo, dando molti presenti ad Alessandro e agli amici di quello, niente mai donò a Bagoa; e essendogli addimandata la causa, rispose che egli amava e onorava gli amici di Alessandro, ma non le meretrici: Celio Rodigino lib. 8 cap. 30. Scrive Valerio Massimo, Delle morti non volgari, che Pindaro, principe de’ poeti lirici, fu ritrovato morto nella scuola in braccio a un putto quale egli amava grandemente. Giustino nel lib. 22 dice che Agatocle, tiranno di Sicilia, nella sua giovanile età fu del suo corpo inonestissimo e impudicissimo in tutti i modi. [81v] Pausania, capitanio de’ Lacedemoni, amò inonestissimamente Argillo giovine bellissimo: Celio Rodigino lib. 16 cap. 62. Ma quanto fosse ribaldo Proclo imperatore quindi si vede, perché egli si gloriava che in quindeci giorni egli avea tolto la verginità a cento vergini di Sarmazia, le quali erano state prese da lui nella guerra: Flavio Vopisco e M. Antonio Sabellico ne gli Essempi. Non minore scelerato di costui fu Eliogabalo imperatore, impercioché egli avea numero infinito di ruffiani e de giovini de inonestissima vita: di questo è autore Lampridio. Ma chi potrà mai con buon stomaco leggere la vita di Augusto imperatore? Imperoché il ribaldone solea stare fra dodeci putte e altri tanti putti inonestamente; similmente, sprezzata la moglie Scribonia, amò Livia, e essendo egli di grandissima lussuria coperto, nondimeno severamente castigava quelli che fossero stati di tal vizio notati: Sesto Aurelio. [82r]. Tiberio Cesare, come scrive Tranquillo, non fu manco scelerato de gli altri sudetti imperatori, perciò che egli fece cose tanto inoneste e impudiche che vergogna troppo grande sarebbe scriverle. Domiziano parimente non vuolse essere da manco delli altri scelerati imperatori, perché egli del continuo essercitò la libidine, alle volte nuotò fra le meretrici né si vergognò, il traditore, sforzare la figliuola del fratello: Svetonio e Giovinale Satira 2. Aristotele, che tien il nome del primo filosofo, fu sì fattamente immerso nella libidine che a una meretrice egli faceva sacrificio sì come a uno idolo: di questo è autore il Mirandola nelle Annotazioni sopra i suoi Inni. Ercole parimente di tal vicio è stato molto notato da li scrittori, perché dice Giovanni Francesco Mirandola e Teodorito Cirenense che egli in una sola notte sforzò cin[82v]quanta vergini. È poi scritto da Ovidio nelle Pistole che egli, deposto l’abito virile, la mazza e la spoglia del leone, stava vestito da donna sotto la disciplina di Omfale, con le donne filando e facendo gli uffici doneschi; per il che si può comprendere se libidine fosse in lui, avendo egli perso per causa di quella il cervello. Una ribalderia grandissima fece Paride troiano, il quale sotto pretesto d’amicizia usò il tradimento a Menelao re di Grecia e li menò via Elena sua moglie; ma il traditore pagò la pena di tal sceleranza, perché egli insieme con tutta la sua progenie e con il regno troiano andete a fuoco e fiamma; Vergilio, Darete Frigio e altri. Scrive Ovidio, lib. 6 Metamorfosi, che Tereo, re di Tracia, non si vergognò stuprare Filomena, figliuola di Pandione, re di Atene, e sorella di Progne sua moglie. Claudio Cesare non fece vergogna a gli altri scelerati, ma egli pagò il dacio delle sceleranze, perciò che per forza egli [83r] vuolse la figliuola del fratello, ma poi da quella fu velenato: Sesto Aurelio. Nitteo, re d’Etiopia, stuprò la figliuola Nittimene: Ovidio lib. 2 Metamorfosi; né mancano altri scelerati che hanno commessi il sacrilegio e incesto per la sua innata e sfrenata libidine ma, per non dire più di questi, vediamo anco la sceleragine de’ ruffiani. Si legge ne gli Adagi che Crobilo fu un certo ruffiano sceleratissimo, il quale del continuo tenea due meretrici in casa a guadagno, per causa delle quali egli tirava in casa molti giovini e li rubbava poi; donde che nacque un proverbio, che quando vogliamo significare due compagni ribaldi e scelerati dicemo: «la compagnia di Crobilo». Marziale parimente scrive che Latino, mimo di Domiciano, fu di modo scelerato ruffiano che la moglie propria egli dava a guadagno, né mai stava con altri che con adulteri; ma anco lasciamo questi scelerati e passiamo ad altra materia.
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