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Vincenzo Sigonio
La difesa per le donne

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  • Cap. 26   Che le donne non sono incostanti né mutabili
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Cap. 26

 

Che le donne non sono incostanti né mutabili

 

Scrive Vergilio, lib. 2 dell’Eneida, che la donna è cosa varia e mutabile. Tibullo parimente, lib. 3, dice che la mente delle donne è mutabile. Calfurnio poeta nella Egloga 3 scrive che la donna è più mobile del vento. E Seneca, scrivendo A Gallione de li casi fortuiti, dice che nessuna cosa è così mobile come è la volontà delle femine.

La [115r] sentenza de’ quali quanto sia falsa, gli essempi della costanza delle donne, provata anco nei tormenti, chiaramente lo dimostrano, perciò che è molto lodata da li istorici Leena, quantunque meretrice, la qual, crucciata insino alla morte da li tiranni, non manifestò mai i consigli di Armodio e di Aristogitone del tirannicidio; laonde gli Ateniesi, volendo onorare quella per tal fatto, acciò che non paresse che onorassero una meretrice, fecero un animale del nome di quella, e acciò che fosse intesa la causa dell’onore, lo fecero senza lingua: Plinio lib. 7 cap. 23 e lib. 34 cap. 8, e anco ne fa menzione Pausania lib. 1, trattando Delle cose d’Ateniesi, e Tertulliano nell’Apologetico cap. 49; il medesimo afferma Lattanzio Fermano lib. 1 cap. 20. Ma anco il medesimo si legge che fece una giovane pitagorica, perciò che, essendo ella sforzata con tormenti da un tiranno, che ella [115v] manifestasse un segreto, acciò che ella non potesse rivelare quello (ancora che ella fosse stata vinta da li tormenti) con li denti tagliandosi la lingua sputò quella, sì come avea fatta Leena, nella faccia del tiranno: questo è scritto da Santo Ambrosio nel lib. Delle vergini.

Epicarmi ancora, donna libertina nominata nella congiura contra Nerone, non puoté mai essere vinta da tormenti alcuni, che ella manifestasse li congiurati, anzi più tosto ella vuolse morire che manifestar quella; ma tutti quelli che erano consapevoli di tal congiura, condotti a li tormenti, subito, non aspettando i tormenti, scoprirono la congiura e manifestarono molti amici e parenti: di questo è autore Cornelio Tacito nell’Istoria di Augusto lib. 18, e Andrea Tiraquello nella 9ª Legge congiogale, numero 100.

Referisce il medesimo Cornelio Tacito nel sudetto lib. 18 che, li soldati di Otone depredando un certo luoco detto Bintimiglio, una donna detta Ligo avea nascosto un suo [116r] figliuolo e, credendo i soldati che insieme con quello ella avesse nascosto danari, comminciarono tormentarla acciò che ella manifestasse il figliuolo; ma ella, mostrandogli il ventre, dicea che ivi egli era nascosto, né mai per tormenti alcuni ella puoté esser vinta, che manifestasse quello.

Quintilia anco, donna per la sua bellezza amabile, per comandamento di Gaio Caligola tormentata e crucciata, acciò che, per forza de tormenti vinta, ella manifestasse i compagni della congiura di quello (la quale si dicea che era preparata contra di esso Caligola), essendo condotta ali tormenti, calcando col suo piede sul piede de li congiurati significò che essi si dovessero confidare e che non dovessero temere cosa alcuna per li tormenti che ella fosse per patire; e quello che ella avea significato, in effetto dimostrò sprezzando li tormenti, da quali di modo ella fu stracciata e fatta brutta, essendo prima per la sua bellezza cara e grata a tutti, [116v] che ancora da li suoi amatori ella era risguardata senza piacere alcuno; laonde Caligola la liberò e le donò molti danari: Gioseffo lib. 19 dell’Antichità, cap. 1 nel fine.

San Girolamo, scrivendo A Innocenzio di una donna la quale sette volte fu tormentata, referisce che un giovine, non essendo tormentato così crudelmente come ella, confessò (ancora che falsamente) aver commesso l’adulterio, e che perciò egli fu condennato alla morte, ma che la donna costantemente sopportò i tormenti e quelli vinse né confessò cosa alcuna. Ma di questo sia detto assai.

 

 




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