Capitolo
VI
L'IMPOSSIBILITÀ DI OLTREPASSARE
LA CONTRADDIZIONE
La filosofia
riconobbe in ogni tempo la necessità di ammettere alcune contraddizioni, onde
poi vincere le altre oltrepassandole. Dopo Kant sperasi di scoprire il vero per
la forza stessa dell'assurdo; il concetto di oltrepassare la contraddizione
preme le scuole della Germania, e l'ultima di esse, quella di Hegel, è lo
sforzo più grande per domare ogni dilemma col disprezzo anticipato della
logica.
Non ci è dato
di penetrare al di là della contraddizione, e ogni tentativo su questa via
incontrerà sempre due ostacoli insuperabili. Dapprima il punto di partenza sarà
arbitrario, in eterno. Quando la logica è soppressa, l'uomo trovasi solo nella
varietà delle cose e delle idee: come dunque scegliere un punto di partenza?
Coll'ipotesi. Che l'ipotesi sia una storia sacra come quella del peccato di
Adamo, che sia figlia di un'estasi, che si riduca ad una nozione dialettica,
quale sarebbe la compenetrazione dell'essere col non-essere; l'origine, il
punto di partenza sarà sempre arbitrario, e quindi si progredirà senza
direzione. La filosofia si ridurrà ad un gioco più o meno ingegnoso e
terribile, in cui la vittoria resterà, non alla verità, ma al più forte, voglio
dire a colui che avrà sorpassato gli altri nella potenza di affascinare col
misticismo o d'intervertire ogni concetto per mezzo della dialettica.
In secondo
luogo, lo sviluppo della filosofia, della contraddizione sarà arbitrario come
il punto di partenza. Tolta la logica, non abbiamo più guida, non havvi più
processo, nè progresso; si erra a caso; il freno stesso dell'impossibile
scompare; quindi la filosofia della contraddizione sarà grande a forza di
assurdità, camminerà sfrontatamente colle religioni, o colla fede, o
coll'estasi, o con una dialettica di sua invenzione, senza che regola alcuna
possa governarla. Non potrà nemmeno dirsi che la filosofia della contraddizione
si sviluppi; sarà obbligata di ricominciare di continuo il suo lavoro:
arbitraria nel punto di partenza, lo sarà altresì in ogni suo punto, sempre
strascinata dal capriccio delle analogie.
I due vizi
del punto di partenza e dello sviluppo rinvengonsi nella filosofia di Hegel,
benchè mascherati con maravigliosa destrezza. Hegel vide che la filosofia non
poteva progredire se non identificava la logica colla materia della logica, se
l'istrumento che giudica non si compenentrava colla cosa giudicata. Egli
intese, d'altronde, che questa compcnetrazione doveva invadere l'universo,
perchè se limitata, la scienza era vinta, l'istromento si separava dalla
natura, e ogni vero conquistato poteva vedersi intervertito. Il
sillogismo hegeliano identifica dunque la natura e la logica, compenetra it
movimento logico col materiale; vuol conoscere e fare nel tempo stesso tutto
quanto esiste: svolgesi colla forza stessa dei contrari, afferma e invoca la
loro ripulsione reciproca. Il suo primo termine è una tesi, e questa tesi ci
conduce fatalmente all'antitesi che vien concepita nello stesso momento. Il
finito e l'infinito, la causa e l'effetto, la luce e le tenebre, tutti i
contrari non sono essi indivisibili, correlativi, simultanei? Dunque stabilito
un termine, Hegel passa al termine opposto, che lo nega, vi passa fatalmente la
contraddizione trovasi organizzata, l'antitesi distrugge la tesi. Collo stabilire
l'infinito, si concepisce il finito, si passa al finito, e il finito nega
l'infinito. Giunto all'antitesi, Hegel nega l'antitesi stessa, nega la
negazione, e ristabilisce così il primo termine, che non è più il primo, ma
bensì il primo modificato, il primo in azione, il primo operante; in una
parola, il termine in cui il sillogismo e la materia del sillogismo, sempre
identificati, creano un nuovo oggetto. Tale è il processo dell'hegelismo.
Hegel prende
il punto di partenza nella nozione più evidente e più primitiva, quella
dell'essere; e sembra difatto, che non si possa accusarlo di partire da una
ipotesi arbitraria. Hegel stabilisce a primo termine del suo sillogismo
l'essere, passa fatalmente al non-essere il quale concepito nel medesimo tempo
che l'essere, ne è l'antitesi naturale. Poi nega l'antitesi, dicendo: il
non-essere non esiste. Ora, se il non-essere non esiste, che ne risulta? ne
risulta l'essere il primo termine, ma l'essere modificato, dice Hegel, dalla
negazione del non-essere, e quindi l'essere non assoluto, non vuoto, che fu
distrutto dal non-essere, ma l'essere che diventa, il diventare. Il diventare,
alla sua volta ci conduce all'antitesi; è la qualità che, negata dalla
diversità, riproduce il diventare modificato, e trasformato in un nuovo
termine, l'essere limitato. Così, partendo dall'essere con una serie di trinità
che si concatenano, Hegel spiega la natura, l'uomo, la storia, Dio; per lui
l'universo non ha secreto alcuno; egli sa perchè la terra gira intorno al sole,
perchè gli esseri organizzati si succedono gli uni agli altri nella storia del
globo. Nulla sfugge al suo sillogismo hegeliano.
I due
inconvenienti della filosofia della contraddizione si manifestano patentemente
nell'hegelianismo. Il suo punto di partenza è arbitrario, il suo sviluppo non è
uno sviluppo.
Il sillogismo
hegeliano stabilisce una tesi, e passa ad una tesi opposta e fin qui la logica
non è punto oltrepassata, essa trionfa; Hegel ne accetta la critica, e mostra
che tutto è contraddittorio, che le nozioni si presentano per dilemmi, e che
ogni cosa trovasi avvolta ne' contrari. Qual'è il momento in cui il sillogismo
di Hegel oltrepassa la logica e crea una filosofia della contraddizione? è il
momento del terzo termine, quando negasi l'antitesi per ristabilire la tesi
modificata. Ma negando l'antitesi devesi ritornare alla tesi pura e semplice, e
per conseguenza al primo termine del sillogismo, senza che un nuovo essere
possa sorgere dal conflitto della tesi e dell'antitesi. Stabilite voi l'essere?
Sia; l'essere è dato; l'antitesi del non-essere si presenta immediata, la
contraddizione sorge figlia della natura. Hegel la prova colla forza della
logica, e in ciò egli resta sotto l'impero della maniera abituale di ragionare.
Hegel non vi si sottrae se non negando il non-essere. Ora, quando la filosofia
di Elea ha negato il non-essere, fu dichiarato esservi un solo ente, il tutto
formare una sola cosa; il primo termine del sillogismo hegeliano ha dovuto
restar solo. Hegel, deducendo dalla negazione del non-essere il diventare,
aggiunge artificialmente un nuovo termine a due termini che non lo contengono.
Il diventare non è l'essere, nè il non-essere, nè la loro sintesi; le nozioni
logiche dell'essere e del non-essere si limitano ad accusarlo di contraddizione.
Nel tempo stesso il diventare si distingue talmente da questa contraddizione,
che ne rimane separato per sempre, com'è separato dalle qualità, dal limite,
dal tempo, dallo spazio e da tutti gli altri fenomeni. Il sillogismo hegeliano
mette in evidenza una contraddizione, e quando vuole oltrepassarla negando la
negazione, si riduce ad un movimento artificiale, a una astuta disposizione di
termini, in cui il terzo termine sembra generato, e in cui la generazione è
interamente arbitraria.
Un hegeliano
dirà: «Non sono io, è la natura che inventa l'artifizio e che oltrepassa la
contraddizione. Potete voi negarmi il fatto del diventare? potete voi negarmi
la contraddizione del diventare? I termini di questa contraddizione non sono
essi l'essere e il non-essere? il non-essere non contiene egli la sua propria
negazione? Confessate dunque che il diventare è la sintesi dell'essere e del
non-essere; riconoscete il fatto della natura, che si sviluppa oltrepassando la
contraddizione.» Io accordo l'artifizio della natura, e nego l'artifizio
hegeliano. La natura si manifesta coi fenomeni; ogni fenomeno sotto l'impero
della critica è in contraddizione con sè stesso e cogli altri fenomeni. Quando
ho scoperto: 1° il fenomeno, 2° le
sue contraddizioni, tutto è scoperto, e le contraddizioni, conducono a dilemmi,
in cui il sì e il no restano eternamente immutabili. Ecco l'artifizio della
natura. Quello di Hegel consiste nel combinare, nel concatenare le
contraddizioni; crea un processo fantastico per forzarle a spiegare i fenomeni
creandoli. Qui tutto è inventato, tutto fittizio. Io non so se fra le
contraddizioni che si svolgono intorno al diventare debba scegliere quella
dell'essere e del non-essere, piuttosto che quella del limite e della qualità,
o della qualità e della sostanza, o dell'uno e del multiplo; tutte
contraddizioni egualmente distinte e separate dal diventare. Io non so se
l'essere e il non-essere si combinano realmente nel diventare, se lo creano per
un miracolo, o se, al contrario, è il diventare che crea questo miracolo
dell'essere e del non-essere nel mio intelletto. D'altra parte, io so che,
negando il non-essere, resta solo l'essere, come negando l'essere resta solo il
non essere. La contraddizione dialettica trovasi nell'essere, che rende
impossibile il non-essere, il diventare e tutti i fenomeni: la contraddizione
trovasi nel non-essere, che rende impossibile il diventare e tutta la natura:
la contraddizione trovasi nel diventare, che mente all'essere, al non-essere,
come alla sostanza, alla qualità, al limite, a tutto. Il sillogismo hegeliano
non concatena mai le contraddizioni, non contiene mai la ragione che suggerisce
la scelta de' suoi termini; la sua negazione della negazione deve farlo
retrocedere all'affermazione primitiva. Quando Hegel dice che la sintesi è
l'affermazione prima modificata, dice, in sostanza, ch'essa è la stessa
senz'essere la stessa, che le rassomiglia e che ne differisce; l'incertezza di
questo ritorno equivoco, lungi dall'oltrepassare la contraddizione, la
conferma, benchè apra l'adito a mille analogie artificiali ed arbitrarie. Se
credete alla logica, la prima metà del sillogismo hegeliano è vera, l'essere si
concepisce col non-essere, che lo distrugge; e accettata la logica, essa vi
condanna a rifiutare come spuria e fantastica la seconda metà del sillogismo,
dove il primo termine è lo stesso e non è lo stesso; e dove la contraddizione
che annienta due contrari, crea per un miracolo d'inconseguenza, una nuova
affermazione. Se non credete alla logica, potete accettare la seconda metà del
sillogismo hegeliano, ammettere clic la sua conclusione è il primo termine
identico e non identico; vi è permesso di dire che l'annientamento reciproco di
due contrari crea un nuovo fenomeno: sciolto da ogni dovere verso la logica,
siete assolutamente libero; ma in tal caso la prima metà del sillogismo è
stravagante e insensata, per ciò stesso che trovasi rigorosamente dettata dalla
logica, che ne esprime il più rigoroso risultato.
Si dirà
ancora: «La natura cambia; non potete impugnare che il cambiamento si attua
negando uno stato anteriore, e che una serie di cambiamenti si traduce in una
serie di negazioni, le quali si negano successivamente fra loro. Ma che fate
voi quando negate una negazione? Ristabilite l'affermazione primitiva, il fatto
primordiale, che troverete modificato perchè la natura cambia. Dunque la natura
cambia, essa stabilisce un primo termine; cambia ancora; seguitela, la vedrete
negare il secondo termine; accade un terzo cambiamento; seguite sempre la
natura, essa ha negato la negazione anteriore; dunque dovete cercare e scoprire
nel terzo cambiamento le traccie dell'affermazione primitiva. Questo è il
movimento della natura, questo è il processo del sillogismo hegeliano.» La
distanza è grande tra la negazione dialettica e la negazione positiva. La prima
è una contraddizione pura e semplice; il sì e il no si stabiliscono e restano
eternamente, quindi la negazione dialettica è sterile, è il non-essere che si
oppone all'essere, il finito che si oppone all'infinito, la libertà che si
oppone alla fatalità. Negando la negazione dialettica, si ristabilisce
l'affermazione; negando il non-essere, si ristabilisce l'essere; sopprimendo il
finito, resta l'infinito; togliendo il non-uomo ritorna l'uomo. Nulla di più
naturale; soppresso l'uno de' termini di un dilemma, l'altro trionfa. Al
contrario, la negazione positiva stabilisce una cosa nuova; non è più una mera
negazione, nega una cosa sostituendole un'altra. La negazione positiva oppone
al feto il neonato, al neonato il fanciullo, al fanciullo l'adolescente,
all'uomo il cadavere, al cadavere la cenere del sepolcro. Qui la negazione
della negazione non ritorna mai al punto di partenza. Direte che la cenere d'un
sepolcro è l'uomo ristabilito e modificato? direte che l'uomo è il feto ristabilito
e modificato? Sarebbe far giuoco di parole, e dare in vuoti sofismi. Dunque il
sillogismo hegeliano si sviluppa in aria, e la natura si sviluppa coi fatti; il
sillogismo hegeliano è metafisico, e la natura è fisica: il sillogismo
hegeliano opera sul vuoto, sulla negazione delle antitesi; la natura opera
sulle realtà, emettendo tesi sempre nuove, voglio dire creando esseri sempre
nuovi.
Il sillogismo
hegeliano ha il solo merito di svelare la contraddizione dialettica. In
sentenza dialettica, la contraddizione incede a testa alta nella natura: Hegel
ed egli disdegna, degrada la logica, la condanna a strisciare per terra dal
simile al simile. Tratta dal sillogismo della natura, la logica è ridotta a
scorrere sul piano inclinato di ogni tesi; arrestata dall'urto dell'antitesi,
deve scorrer di nuovo sul nuovo termine. Il sillogismo della natura la sospinge
sulle sue linee traversali; essa perviene, senza saperlo, attraverso al sì e al
no, a sintesi inaspettate, emergenti da contraddizioni incessanti. L'artifizio
del sillogismo hegeliano finisce adunque per disconoscere il diritto della
logica e l'universalità della critica. La logica non si lascia degradare dal
sillogismo hegeliano; tocca ad essa il dominarlo, il degradarlo: nel sillogismo
hegeliano vi è un primo, un secondo e un terzo termine; nella logica non havvi
ne primo, nè ultimo; tutti I termini sono eguali: nel sillogismo hegeliano
havvi una affermazione ed una negazione, una tesi ed un'antitesi; dinanzi alla
logica non havvi negazione nè affermazione, nè tesi nè antitesi, perchè a
vicenda la negazione ha diritto di figurare come affermazione, l'antitesi come
tesi. Nel sillogismo hegeliano vi ha processus, progresso e creazione; e
la logica gli oppone il regresso, la decadenza e l'annientamento: dinanzi ad
essa nessun principio, nessun progresso, nessun metodo. Hegel ha disconosciuta
la logica, e la logica intervertirà l'hegelianismo.
Nel fatto
l'hegelianismo è arbitrario nel punto di partenza. Il sillogismo hegelianodeve
cominciare da una tesi: dove la prenderà? quale principio sceglierà? Le tenebre
o la luce, il freddo o il caldo? Hegel sceglie l'essere. Perchè incominciare
dall'antitesi dell'essere e del non-essere, invece di scegliere quella del bene
e del male? L'essere, si dirà, è la nozione più semplice: rispondo, ch'essa è
altresì la nozione più vuota. Voi supponete che la natura passi dal meno al
più, dall'imperfetto al perfetto, dalla potenza all'atto, dall'uovo alla
gallina: mi è permesso di pensare che la natura passi dalla gallina all'uovo,
dall'atto alla potenza, dal perfetto all'imperfetto, dal più al meno. In questo
caso il punto di partenza sarebbe l'essere il più perfetto, una natura edenica,
da cui il mondo attuale deriverebbe per una degenerazione successiva che
potrebbe continuare all'infinito, e riuscire con la perdita delle sue qualità
alla semplice esistenza, al solo essere, ad una mera possibilità. Non
opponetemi i progressi del globo, la testimonianza della geologia, e quella
della storia naturale, la serie degli animali che s'innalzano di grado in grado
per riuscire all'uomo. Non mi si opponga il progresso della storia umana, che
passa dallo stato selvaggio ad un incivilimento senza limite assegnabile. La
questione non è questa; non si tratta di alcuni fatti oscuri, equivoci, confinati
in un angolo dell'universo, nel nostro misero pianeta; la questione hegeliana è
metafisica, incomincia prima dell'origine del globo, prima della materia, nel
seno dell'eternità; non finisce colla terra, e oltrepassa ogni previsione
possibile. Noi siamo in presenza dell'immensità, dell'ignoto; il regresso è
possibile come il progresso. Se la terra non è antica potrà invecchiare, deve
raffreddarsi; la fisica può predire il giorno in cui sarà rappresa del gelo
della morte; si può supporre che gli astri si spegneranno, si deve supporlo.
Perchè dunque scegliere il punto di partenza nell'essere eguale al nulla,
piuttosto che in una natura perfetta? perchè supporci figli d'un progresso
continuo, mentre forse siamo figli d'una degenerazione, d'una decadenza progressiva
che condurrà la natura all'essere indeterminato eguale al nulla? Gli antichi
partivano dal perfetto per giungere all'imperfetto: interprete di un sentimento
moderno, Hegel parte dall'imperfetto per arrivare al perfetto; gli antichi
sacrificavano l'uomo alla natura, i moderni sacrificano la natura all'uomo; il
dogma del progresso si è sostituito al dogma della caduta; il nostro dogma è
più utile, più morale, più umano. Ma l'interesse dell'uomo è egli l'interesse
della natura? Ecco la questione.
Arbitrario
nel punto di partenza, l'hegelianismo deve esserlo nel suo sviluppo. Ad ogni
istante Hegel deve creare un terzo termine, che rappresenti la trasfigurazione
della tesi negata dalla sua antitesi; mai non prosegue il suo lavoro, ma lo
ricomincia incessantemente. Tutto il sistema consiste in una grande trinità, in
un immenso sillogismo: nel primo termine vien posto l'essere metafisico; nel
secondo, l'essere opponendosi a sè stesso, cioè la materia e tutte le sue
leggi; finalmente, la negazione della negazione conduce all'uomo, in cui
l'essere (o Dio) finisce per acquistare la coscienza di sè stesso. I progressi
di questa coscienza sono quelli della storia, che s'incorona collo stesso
hegelianismo, il quale dà all'uomo la coscienza d'esser Dio. Il sublime e
l'avventato s'intramettono così nella conclusione: il sublime è la religione
dell'umanità, l'avventato è la deificazione dell'uomo: forse v'ha alcun che di
vero, e certo un grand'atto di fede; ma questo vero è l'ignoto, la fede si
perde nel nulla. Tutto il sistema forma adunque un unico sillogismo, che si
prova colla sintesi dei contrari, e in cui la conclusione è ignota: qual'è
adunque il risultato dello hegelianismo? la sintesi dei contrari, cioè la
contraddizione universale, e la conclusione nell'ignoto, cioè l'assenza del
vero.
Niun
filosofo, tra i moderni, ha eguagliato il genio di Hegel; niuno è stato di lui
più ardito, più preciso, più infaticabile nella invenzione metafisica: siamo
presi d'ammirazione nel considerare questo uomo, che, senza ristarsi mai, si
apre la via a traverso l'impossibile; egli è sempre solo, ed esce sempre grande
da una lotta disperata; egli è sempre vittorioso tanto da renderci attoniti.
Pure la forza dell'hegelianismo sta tutta non nella metafisica, ma
nell'interpretazione della storia. Quando Hegel cerca il sillogismo del moto
della terra o l'antitesi che crea i minerali, il suo procedere è sofistico, e
qualche volta puerile; ma quando spiega Socrate, il Cristo, la riforma di
Lutero, la rivoluzione di Francia, allora sale a grandezza sublime. Ma d'onde
questa grandezza? Non dal sillogismo hegeliano, non dall'arte di oltrepassare
le contraddizioni dialettiche, ma dalle contraddizioni positive. Per esse la
natura si sviluppa, il pensiero si estende, il vero trionfa del falso; per esse
non havvi sintesi, non ritorno a una tesi precedentemente negata; havvi solo la
cieca necessità, la quale sacrifica il debole al forte; e poco importa che ciò
venga dalla forza della pietra, della spada, o del pensiero trionfante per
mezzo degli uomini o dei popoli.
Su questo
campo Hegel non è più metafisico, è fisico, storico; segue l'evidenza; il suo
sillogismo, lungi dal soccorrerlo, lo imbarazza, lo svia, è la fonte prima di
tutti i suoi errori nella filosofia della storia. Gli fa separare i momenti del
pensiero secondo il caso dei continenti, delle guerre, delle razze, dei
fortuiti eventi, gli fa sostituire cavillosi concetti alle transizioni che gli
mancano. La logica opprime il titano che la vuoi vinta.
Se adunque
una filosofia, stando alla logica, è cosa impossibile, la filosofia, in onta
alla logica, è impresa insensata; il pensiero non potrà mai svincolarsi dalla
contraddizione che scaturisce sotto il peso della ragione.
|