Capitolo
III
LA LOGICA SOGGIOGATA DALLA
RIVELAZIONE
Al suo apparire la
rivelazione soggioga la logica. Scegliamo esempio: un albero appare; è una
rivelazione primitiva e inesplicabile che, manifestandosi, s'impadronisce delle
forme logiche. L'albero costringe l'identità a provare la sua esistenza, si
vale dell'identità per distinguersi da tutte le altre cose, ed a riclamare
tutte le conseguenze inerenti alla sua individualità. Ne risulta che l'albero è
identico con sè stesso; che lo spazio da lui occupato non sarà occupato da
altri corpi; che le sue qualità sono sue, distinte da quelle degli altri
oggetti, e che non sarà possibile di affermarle e negarle nel tempo stesso. Poi
l'albero s'impadronisce della seconda forma della logica. Ha una figura, una
estensione; si può contare il numero de' suoi rami, delle sue foglie; esso
adunque ci offre numeri e figure; dunque si potrà paragonare matematicamente
con altri alberi, con altre cose egualmente suscettive di essere numerate e
misurate. Quindi tutte le equazioni possibili tra le proprietà geometriche e
numeriche di quest'albero, e le stesse proprietà degli altri oggetti.
Finalmente l'albero è una sintesi di più qualità, per conseguenza ci presenta
più termini; è verde, pesante, flessibile, ecc., e questi son termini di
proposizioni naturali che possono diventare elementi del sillogismo. È così che
un oggetto qualunque s'impadronisce della logica; è così che la logica,
soggiogata dalla rivelazione sensibile, genera tutte le cognizioni sensibili.
Da sè la logica non conta, non agisce, non ha verun officio, e non è se non
sovvertitrice; considerata come l'irradiazione delle cose sensibili, come
l'istrumento della natura, esprime la fatalità dell'esperienza, e impone alle
cose di essere ciò che sono.
Stando alla
logica, nulla può cominciare, nulla può finire; ogni oggetto deve essere
eterno. Le cose sono esse eternamente ciò che sono? Non interroghiamo la
logica, ma sibbene l'apparenza; sono le cose stesse che devono dominare la
logica. Le cose mutano, s'alterano; l'alterazione discende, lo concedo, dalle
regioni dell'impossibile; ma appare, dunque è; e devesi considerare come un
fenomeno, cioè come una cosa. Qui il nascere, il perire il moversi, ogni
metamorfosi fa le funzioni di un atto unico, che dev'essere preso nella sua
totalità. A questa condizione l'alterazione si impadronisce della logica, e
signoreggia le tre forme dell'equazione, dell'identità e del sillogismo.
Manifestandosi qual fatto, l'alterazione si distingue per l'identità da tutti
gli altri fatti, è ciò che è; l'uomo che muore non risana; la terra che gira
non è immobile; e così l'istessa identità difende il fatto dall'alterazione.
Sarà esso eterno? ogni cambiamento sarà sempre per durare? stiamo di continuo
all'apparenza, alla rivelazione; essa pone il fatto dell'alterazione; ci dice
quando il fatto comincia, ci dirà quando finisce; ci insegnerà quando il mobile
si ferma, quando la vita cessa, quando l'uomo perviene all'età della ragione.
Vogliam noi oltrepassare l'apparenza, esser più forti dell'intuizione?
cerchiamo noi l'ora, il minuto in cui l'adolescente diventa uomo? Mancando
l'apparenza percettibile, ci sarà forza interrogare la logica astratta; dovremo
cercare di discernere l'apparizione della ragione in un momento indiscernibile,
e in questo momento noi troveremo che l'uomo ha e non ha la ragione, e diremo
che l'ultimo minuto dell'adolescenza avrà dato la ragione all'adolescente. Così
cadremo nel sofisma del cumulo. Aderiamo dunque all'apparenza, questa ci dà
l'alterazione, la fa essere; e quest'essere ha il diritto di dominare
l'identità, reclamando tutte le conseguenze dell'esistenza. Anche l'equazione è
dominata dal fatto dell'alterazione; il cambiare, il muoversi sono soggetti a
una misura, a una direzione; ci offrono diverse quantità, possono tradursi in
figure; quindi cadono sotto la legge della figura, quindi si impadroniscono
dell'equazione. Da ultimo, l'alterazione ha le sue qualità; il moversi, il
vivere, il morire ci danno più termini analoghi alle qualità, ai termini
dell'albero, del sasso, dell'animale; e l'alterazione può entrare co' suoi
termini nel sillogismo, e dominarlo.
L'apparenza
ci rivela i rapporti fra le cose nel modo stesso con cui ci rivela l'esistenza
e l'alterazione dei fenomeni. Le cose influiscono le une sulle altre, si mescono,
si confondono, si separano; e questo è un fatto nel tempo stesso incontestabile
e inesplicabile. Quando lo si vuol spiegare, si oltrepassa l'apparenza, si
resta senza dati, cade in balia della logica, e, lungi dallo spiegare il
rapporto, si ricade a negarlo. Secondo la logica, nessun oggetto può uscire di
sè, quindi nessuna cosa può influire su altre cose, quindi il rapporto riesce
logicamente impossibile.
Scuotiamo il
giogo anticipato della logica, aderiamo all'apparenza: i rapporti fra le cose
discendono dalle regioni dell'impossibile, ma non sono da noi inventati, ci
sono imposti; e la loro evidenza si manifesta nelle affinità chimiche, nelle
influenze vitali, nell'urto, nelle attrazioni della natura. Dunque i rapporti
sono, la logica deve obbedire: e il rapporto s'impadronisce della triplice
forma dell'identità, dell'equazione e del sillogismo. I rapporti esistono, e
per l'identità si distinguono tra loro: si distinguono da tutti gli altri
fenomeni, e reclamano le conseguenze logiche della loro esistenza. Così
l'attrazione è ciò che è, non potrebbe essere e non essere nel tempo stesso;
non è l'affinità chimica, non l'attrazione vitale dell'amore. Ogni influenza
esercitata da un oggetto è una forza. Che s'intende per forza? la potenza di
muovere, di spostare, di trasformare; ora, il moto cade sotto il calcolo; tra
le forze havvi eguaglianza e ineguaglianza, e pertanto i rapporti dominano
l'equazione. Infine, i rapporti sono proprietà, sono termini; sono dunque
elementi che hanno diritto di mostrarsi nel sillogismo, per guidarci verso
nuove conclusioni.
Egli è dunque
evidente che l'apparenza è nell'essere, nell'alterarsi, nell'influire;
costituisce il nostro solo ed unico a priori, sul quale si fondano tutte
le scienze; la natura pone la base, la logica dà l'edificio; noi non abbiamo in
nostro arbitrio nè la base, nè la costruzione.
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