Capitolo
VII
LA RIVELAZIONE DELLA MATERIA
I nostri
sensi non percepiscono se non materie minerali, vegetali, solide, liquide,
aeriformi, fluide, imponderabili: la materia propriamente detta non è se non il
genere delle materie; ma appare tostochè una materia si vede.
Considerare
la natura sotto l'aspetto della materia, torna lo stesso che considerarla sotto
l'aspetto di un genere, di un'astrazione, e precisamente sotto l'aspetto della
quantità, fatta astrazione dalle qualità. Un metro cubo assolutamente pieno
sarà sempre la stessa quantità, la stessa materia: cento libbre di peso, siano
esse oro o ferro o pietra, sono sempre cento libbre di materia.
Mentre la
materia rimane inalterabile, le forme, le qualità, cambiano; gli esseri,
nascono, periscono, si trasformano; un mondo permanente nella quantità diviene
successivamente mille mondi diversi nelle qualità. Questo appare, questo è, nè
altro sappiamo.
La metafisica
della materia incominciò dal primo tentativo per sciogliere le antinomie che
sovrastavano alla rivelazione materiale. Nei primi giorni della filosofia si
chiese già qual fosse la materia che generava tutti gli esseri. Il cambiamento
destava maraviglia, e se ne cercava il principio che restava, quale il termine
che desse l'equazione o la deduzione delle metamorfosi della natura. Talete
pensò che la materia è l'acqua, e che l'acqua trovasi nel fondo di tutti gli
esseri. Essa inumidisce i germi, feconda la terra colle piogge, coi fiumi, coi
laghi; la terra stessa è un deposito dell'acqua; evaporandosi, l'acqua genera
l'aria, alimenta il fuoco; quando il freddo l'assorbe, genera i metalli, che sono
liquidi consolidati. Dovunque l'acqua dispensa la vita alla superficie della
terra, come nel fondo dell'Oceano e intendiamo come Talete vedesse la forza
generatrice dell'acqua in tutti i fenomeni; essa sembrava rivelargli il
sillogismo occulto di tutte le metamorfosi.
S'incontra
un'obbiezione, primo cenno d'una critica che ignora sè stessa: perchè
l'apparenza dell'acqua deve signoreggiare tutte le apparenze? Invece di esser
causa, perchè non sarebbe l'effetto d'altra materia più sottile, più variabile,
più penetrante? Di là i sistemi d'Anassimene e di Diogene d'Apollonia: ivi
l'aria succede all'acqua, invade l'universo, crea il freddo, il caldo, si
condensa; i gradi di densità formano gli elementi; essa nutre la vita, la
governa. Onde meglio spiegare il mondo, Diogene d'Apollonia vuole l'aria
intelligente e ragionevole; non è più l'aria atmosferica, essa sa molte
cose, è quasi un Dio. La genesi del mondo per mezzo dell'aria, dedotta di
fenomeno in fenomeno, rendeva ragione della terra, del pensiero, dell'uomo.
La critica
s'avanza d'un passo: l'aria, domanda essa, è realmente la materia universale? è
il più forte, il più sottile degli elementi? non havvi forse un momento in cui
la forza dell'aria vien superata da una materia più vivificante? Si; havvi il
fuoco, ed il fuoco succede all'aria nel sistema di Eraclito. Il fuoco, ardendo
e spegnendosi con misura, genera tutto; il fuoco è nel moto, nella vita, nella
morte di tutti gli esseri. Esso è creatore e divora i suoi parti; Giove si
trastulla quando fa il mondo, e la guerra eternamente rinnovata dal fuoco che
si riaccende, costituisce l'armonia. Se tutte le dissensioni degli Dei e degli
uomini avessero fine, tutto perirebbe, perchè l'alto, il basso, l'acuto, il
grave fanno l'armonia, e la vita esce dalla antitesi del maschio e della
femmina. Sostituito all'aria intelligente di Anassimene e di Diogene
d'Apollonia, il fuoco di Eraclito diveniva la mente dell'universo, che l'anima
scintilla del fuoco eterno, imprigionata nel corpo, può sola divinare.
La critica
distrugge anche il fuoco di Eraclito come l'aria di Anassimene. Non havvi
ragione perchè una materia primeggi su tutte le altre, perchè un'apparenza
domini tutte le apparenze. La scelta del principio materiale era arbitraria. Nè
il principio rimaneva fedele alla sua stessa apparenza; l'acqua di Talete non
era più l'acqua; l'aria di Anassimene, e soprattutto di Diogene d'Apollonia,
non era più l'aria; e il fuoco d'Eraclito, non era quel fuoco che ci scalda.
Trovavasi sempre fallita la deduzione dalla materia alle diverse metamorfosi
della materia; Eraclito stesso lo sentiva, non passava da un fenomeno all'altro
se non per la lotta dei contrari, per la contraddizione, per la negazione della
scienza, per la negazione del suo principio, il quale, già chimerico per sè,
cessava sempre di essere quello che era. Così la creazione e la distruzione
della qualità non era spiegata, ma solo verificata ed erasi verificato
l'impossibile secondo la logica. Ora, la logica reclamava, al contrario, una
materia permanente, costante; non concedeva la deduzione se non subordinata
alla condizione di mostrar sempre lo stesso principio in tutte le conseguenze.
Bisognava dunque una nuova materia per sottrarsi alle contraddizioni che
attribuivansi all'impotenza de' filosofi. La materia persistente, fissa, sempre
identica, trovasi presso i filosofi della scuola meccanica, presso
Anassimandro, presso Anassagora, presso Empedocle. Il primo non vuol più, come
Anassimene, dedurre le diverse materie da una materia unica; egli ammette una
diversità primitiva nel seno degli elementi; la sua vera materia è la
confusione, il caos; la sua genesi del mondo non è più creatrice, è un lavoro
di mescolanza e di separazione, Anassagora dice apertamente, che nulla nasce,
nulla perisce, tutto è nella materia, tutto in ogni germe, in ogni omeomeria,
e l'ordine sorge dalla confusione universale in forza d'una separazione, in
cui il filosofo greco invoca per la prima volta l'intervento di un'intelligenza
posta fuori dalla materia. Lo stesso caos, la stessa confusione formano la
materia d'Empedocle; colla differenza, che presso di lui il lavoro si attua in
forza dell'odio e dell'amore.
Il caos non
resiste alla critica: la confusione esclude la separazione; la separazione
esclude la confusione: se due cose si fondono, la logica vieta di distinguerle;
la distinzione è pure una creazione, anch'essa genera qualità nuove, che escono
dal nulla. Era mestieri d'un'uscita a questa contraddizione, ch'era presa per
una contraddizione dei filosofi, e la nuova uscita fu l'atomo di Democrito,
l'atomo che non nasce, non perisce, che fissa la materia nella sua quantità
inviolabile, e la cui variazione si riduce al rapporto, alla figura, alla
disposizione. L'atomo appagava la logica, e in pari tempo riproduceva la
contraddizione più forte e più aperta. E in qual modo l'atomo è desso
percepito? Vien supposto, ma non appare; trascende l'apparenza; il nostro senso
non percepisce che le immagini
(εί̉δωλα), che si staccano dagli
atomi, o piuttosto dagli atomi combinati. La materia è dunque un'ipotesi
imaginata per ispiegare le variazioni del mondo: ma l'atomo spiega il
cambiamento con una materia che non cambia: spiega l'apparire delle qualità
variabili, con una materia invariabile; spiega la fusione, l'individuazione, la
vita con una materia, le cui parti rimangono disunite, senza azione continua.
Per render ragione del cambiamento, Talete avea cercato la materia del
cambiamento; per render conto della diversità delle materie, Anassimandro avea
posto il caos; per uscire da una confusione impossibile, proclamavasi l'atomo:
e l'atomo dava una formale mentita alla natura, la rendeva impossibile.
Quando
Platone ed Aristotele ebbero ben intesa la contraddizione, la metafisica della
materia subì una compiuta rivoluzione. Era convenuto che la materia rendeva
impossibile la formazione e la distinzione degli esseri; era convenuto che la
quantità fissa, che chiamasi acqua, aria, fuoco, caos, omeomeria, atomo,
rendeva impossibile la diversità delle cose: era evidente che prima di tutto
bisognava render ragione di ciò che appare, della diversità, del cambiamento,
dell'alterazione, della vita, della ragione. Fu dunque spogliata la materia di
tutte le qualità; le si tolse persino la quantità determinata e invariabile, e
s'inventò una nuova materia in nessun modo materiale, che fu confinata tra il
non essere e lo spazio, come un'astrazione, come una mera possibilità.
L'equazione dell'universo doveva trarsi da altri principj, dai tipi, dalle
essenze, da Dio. Giusta Platone, la materia è la combinazione del grande e del
piccolo: Aristotele la definì il non-essere in atto, e l'atto in potenza;
l'assioma che nulla nasce, nulla perisce, fu trasferito agli altri principi, ai
tipi, alle essenze, a Dio; quasi non restò alla materia altro officio se non
quello di render possibile la distruzione e la morte. Se i corpi si dissolvono,
se gli esseri si corrompono, in sentenza di Aristotele e di Platone, si è che
sono uniti alla materia, corrosi dal nulla; questo nulla li rende visibili,
pure li condanna dall'origine a scomparire per ritornare alle loro regioni
invisibili, in cui nulla nasce, nulla perisce. Tale fu la materia per il corso
di duemila anni; indigente, avida d'una forma per apparire, ridotta alla mera
inconsistenza, alla condizione per cui le forme possono scomparire, essa non
contò per nulla; la fisica venne compiutamente soverchiata dalla metafisica. I
fenomeni sono governati dall'astrazione; ciò che appare da ciò che mai non
appare; l'invenzione è surrogata ai fatti, vivesi nel mondo del peripatetismo,
frammisto qualche volta al platonismo.
Nel
decimosesto secolo la critica riprende il suo impero. Telesio svela tutte le
contraddizioni della fisica di Aristotele, mostra l'assurdo della materia senza
qualità, senza quantità, eguale al nulla. Bisognava una nuova materia. Telesio,
Campanella, Gassendi cercano, finalmente Bacone scopre e l'addita là dove essa
è, nella materia. «Noi dobbiamo sottomettere,» egli dice, «il nostro intelletto
alle cose, e Platone sottomette il mondo a' suoi propri pensieri; Aristotele sottomette
gli stessi pensieri alle parole; egli inventa una materia la quale è la materia
delle discussioni, e non quella del mondo. La materia non è informe, nè
astratta, nè possibile; la materia, la forma, il moto si uniscono; haec tria
nullo modo discerpenda.» Per noi Bacone è il rivelatore della
materia, da lui comincia la fisica moderna; egli è il messia del mondo
materiale; Telesio, ch'egli chiamava il primo degli uomini nuovi, era solo un
precursore, non aveva visto la necessità di sottoporre l'intelletto alle cose,
non aveva dedotto da questa necessità il dovere di accettare la materia quale
appare indivisibile dalle sue trasformazioni, non aveva proclamata la natura
come rivelazione materiale. Egli staccava ancora dalla materia il freddo, il
caldo; trasformavali in principi incorporei, deduceva il mondo dall'eterna
guerra che si fanno nel seno dei corpi; in altri termini, egli era metafisico,
cercava equazioni, deduzioni e i suoi principj stavano ancora al di là
dell'apparenza, in un calore, in un freddo diversi dal calore e dal freddo
della materia. Bacone arresta la metafisica, la detronizza; vuole che la fisica
incominci col fatto della materia formata ed attiva. Pure Bacone non sospettava
che tale fatto fosse la più grave delle contraddizioni, non sospettava che
quella metafisica da lui spregiata non avesse la sua ragione d'essere se non
negli sforzi de' filosofi per sottrarsi a tale contraddizione.Non giungendo a
discernere la contraddizione critica dalla positiva, non valse a difendere la
sua propria rivelazione contro i metafisici, i quali ben valevano ad intendere
la contraddizione della materia formata e attiva, vale a dire determinata e
indeterminata, immobile e mobile, figurata e senza figura, estesa ed inestesa.
Quanto Bacone era superiore ai metafisici proclamando il regno dell'apparenza,
altrettanto era loro inferiore ignorando le antinomie dell'apparenza; la
metafisica non poteva soffermarsi dinanzi alle pretensioni d'un novatore
inconscio della propria forza; l'insegnamento di Bacone, riservato a' fisici,
si trovò differito il diritto d'insegnare appartenne ancora agli uomini che
conoscevano le contraddizioni della materia.
Quando
Descartes cercò l'equazione dell'universo, non mancò di accusare
d'inconsistenza la materia; e poichè dopo Telesio, dopo Gassendi, dopo i
progressi della fisica, l'antinomia presentavasi sempre più forte. Descartes
egli rinnovò l'atomismo; egli che prendeva per primo ed unico dato il pensiero,
poi l'essere, Dio, lo spirito, come poteva dedurre dal proprio principio l'atomo
esteso, mobile, poi il corpo e l'azione e la reazione degli esseri corporei?
L'atomismo di Descartes rimase qual episodio staccato dal sistema, in
contraddizione col principio cartesiano; quest'episodio fondavasi sopra
un'ipotesi in cui la materia diveniva eguale allo spazio, e mobile per servire
di punto di partenza ad una nuova serie d'equazioni naturali affatto estranee
alle equazioni del pensiero, le quali si fermavano neI mondo dello spirito.
L'atomismo cartesiano chiarì solamente: 1° che non havvi equazione, nè transito
logico dal pensiero all'estensione, dallo spirito al corpo, 2° che non havvi
neppure passaggio logico dagli atomi invariabili e distinti alla formazione de'
corpi variabili e continui. Laonde due problemi: l° in qual modo si può transire
dal pensiero al corpo? 2° in qual modo si può transire dal corpo variabile e
continuo agli elementi che lo compongono? Due risposte erano necessarie; le due
risposte furono due sistemi.
1° In qual
modo si può passare dal pensiero al corpo? Malebranche dimostra che non havvi
passaggio. L'oggetto materiale è fuori del pensiero, non può toccarlo, lo
spirito non può trasmettergli alcuna impressione, alcun'immagine, la visione
del mondo è impossibile: che è adunque? è la visione delle cose in Dio, il quale
è il creatore dell'impossibile. Berkeley si spinge più oltre: neppure in Dio,
egli dice, noi vediamo la materia; dunque essa è un nostro pregiudizio, non
esiste.
2° In qual
modo si può passare dal corpo variabile e continuo a suoi elementi? L'elemento del
corpo, risponde Leibniz, non può essere un corpo; nel qual caso
l'interrogazione si ripeterebbe all'infinito; dunque l'elemento del corpo non è
corporeo, non è esteso, non è un atomo, è un punto indivisibile, una monade,
un'anima. La monade, dominante, costituisce il corpo, lo fa uno e distinto;
dominata, è l'elemento del corpo, lo fa multiplo e continuo. Rimane a sapere
come si possa passare dalla monade dominante alla dominata; in altri termini,
come l'uno si congiunga col multiplo, il finito coll'infinito, l'esterno
coll'interno; problemi che si traducono l'uno nell'altro: Leibnitz risponde
traducendoli tutti nel problema dell'io in relazione colle cose che percepisce
senza poterle toccare, nè esserne tocco. L'io è in sè, vede in sè l'universo,
l'universo corrisponde alla sua visione per un'armonia prestabilita:
istessamente, ogni oggetto è un io, una monade, che può divenir l'io e più che
l'io, e intanto fa l'oggetto in sè, per sè, non ha parti, non si estende alle
parti; le altre monadi rispondono al suo impero, e si dispongono in modo di
simular le parti corrispondendo a tutto in forza di un'armonia prestabilita.
Così si formano il continuo e il discreto, l'uno e il multiplo, l'infinito
potenziale e il finito fisso, il tutto e le parti, per cui la materia vive di
pensieri in ogni monade, e fuori delle monadi non è materia.
Dove siamo
giunti? Siamo giunti alla visione in Dio, alle anime, a Dio o dovunque piaccia,
ma certo fuori dell'apparenza, oramai accusata e convinta d'essere falsa e
assolutamente impossibile. Qui la metafisica della materia non è nemmeno la
metafisica della materia, è la scienza di ciò che non esiste, di ciò che non
appare, di una moltitudine di entità in contraddizione colla realtà, e
apertamente in contraddizione con sè stessa.
Dopo
Malebranche e Leibniz la metafisica venne disprezzata, lo scherno oltrepassò la
confutazione, i suoi rappresentanti subirono il martirio della derisione. Fu
deciso ch'era mestieri attenersi al buon senso; e lo stesso Kant
accordava poi lettere patenti che sanzionavano la satira volteriana ispirata
dal buon senso contro la metafisica della materia. Oggi possiamo oramai
accettare la rivelazione naturale di Bacone, e sottomettere l'intelletto
alle cose; noi sappiamo quando e come le cose sottomesse all'intelletto,
sottomesse alla logica, diventano teatro della contraddizione universale;
sappiamo quando e come questa contraddizione presa per l'errore di un giorno,
di un uomo, di una scuola, ha sospinto lo spirito umano nell'evoluzione
metafisica e questa finisce coll'universalizzare, col dimostrare l'eternità dei
dilemmi, e la necessità di sottoporre la logica alla rivelazione naturale.
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