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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE PRIMA   LA RIVELAZIONE DEGLI ESSERI
      • Capitolo VIII   LA RIVELAZIONE DELLE MATERIE
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Capitolo VIII

 

LA RIVELAZIONE DELLE MATERIE

 

Lo stesso materialismo è una vera metafisica. Quando il fisico dice che la visione è l'effetto della luce che cade sull'organo della vista, divien metafisico, se questa descrizione è da lui tenuta come una spiegazione. Per far ritorno alla metafisica, non è necessario tornare al fuoco d'Eraclito, all'aria d'Anassimene, all'acqua di Talete; basta imitare Darwin, e porre nella contrazione il principio della sensibilità e del moto; basta imitare Cabanis, e porre il pensiero in una secrezione; se al primo passo una simile metafisica si riduce ad un errore positivo, se le sue contraddizioni sono affatto personali e positive, al secondo passo esse si confonderanno colle contraddizioni critiche e coi dilemmi eterni. Il perchè noi esporremo le apparenze della materia.

La prima apparenza della materia non trovasi nelle qualità che variano. ma nella persistenza di una quantità determinata, che si mostra nella resistenza, nella mobilità, nell'estensione e nella figura. Qui la materia rivelasi come un'estensione che resiste, che si move, come uno spazio solido distinto da uno spazio vuoto: quando abbiamo detto che tale apparenza è un quantum inalterabile, un genere in cui havvi equazione tra il genere e la somma degli individui tutti indiscernibili e indistinti gli uni dagli altri, il nostro potere di conoscere e di astrarre tocca l'estremo suo limite. È lecito dare un nome alle parti della materia considerate in questa prima apparenza, è lecito di chiamarle atomi, purchè si confessi che l'atomo è una astrazione della mente, un modo di dimenticare tutte le qualità della materia, tranne l'estensione, la mobilità, la resistenza e la figura.

La seconda apparenza della materia è la diversità delle materie prime; spetta alla chimica il noverarle. L'atomo è passivo, sì passivo che può essere concepito come un oggetto il quale riceve il moto; le materie sono attive e dotate di proprietà: l'atomo è per in riposo, la sua facoltà di ricevere il moto non suppone il moto, le materie agiscono, e non hanno che ad essere per dare il moto. Le parti delle diverse materie, considerate nella diversità loro, chiamansi non più atomi, ma molecole: quante sono le materie, altrettante le classi delle molecole. Non havvi proprietà alcuna che sia comune a tutte le molecole: nemmeno il peso, nemmeno l'attrazione può essere concessa a tutte le molecole: se i corpi gravitano gli uni verso gli altri, alla gravitazione resiste l'apparenza opposta delle forze centrifughe. Gli astri conservano le loro distanze rispettive, non si avvicinano, non tendono a fare un tutto unico e compatto: se l'attrazione fosse legge naturale delle molecole, se la forza centrifuga fosse l'effetto d'un impulso, di uno slancio accidentale i mondi finirebbero a concentrarsi; l'attrazione, benchè affievolita dalle incommensurabili distanze, avrebbe avuto l'eternità per operare il concentramento di tutte le materie. Le molecole differiscono dunque secondo le materie alle quali appartengono. Quante sono le materie o le classi delle molecole? Nessuno potrà dirlo mai; la chimica potrà sempre suddividere le materie conosciute, e scoprire nuove materie sconosciute. Quante sono le proprietà di una materia determinata, per esempio, dell'ossigeno? È impossibile indovinarlo; nuovi oggetti posti in contatto coll'ossigeno potrebbero provocare in esso la manifestazione di nuove proprietà; dunque nulla di definito; il possibile in tutta la sua estensione s'apre dinanzi ad ogni molecola.

La terza apparenza della materia è il germe, principio di organizzazione dal seme più informe fino all'animale più complicato. Ogni molecola è essa un seme, un germe? può essa divenirlo? Nessuno può rispondere; l'origine dei semi è indiscernibile. Egli è certo che tutte le specie d'animali e vegetali formano di continuo nuovi germi, è certo che se ogni specie non incontrasse ostacoli estranei alla sua moltiplicazione, potrebbe assimilare l'universo: i germi che essa produce e che periscono per miriadi, sono essi formati o preformati? Esciamo noi dal seme de' nostri padri o dal seme della eternità? L'apparenza è per la prima alternativa, la logica per la seconda; ma la logica non ha diritto alcuno, sul noto, sull'ignoto: la stessa ragione che vieterebbe al seme di essere formato, gli vieterebbe di svilupparsi. Ogni sistema sull'eternità dei germi è parto della metafisica. Le masse delle materie inerti e inanimate, come la sabbia o il granito, sono esse spoglie d'ogni vitalità, o sono semi, o semi in potenza, o molecole che attendono il giorno della vegetazione o della vita? Ci è impossibile di rispondere, l'apparenza è muta. La impossibilità di rispondere continua quando si tratta di sapere se ogni seme ferma il suo sviluppo in una classe determinata di esseri, o se può oltrepassare la propria classe progredendo indefinitivamente. Platone, Aristotele, Cuvier stavano per la prima alternativa; i filosofi della scuola jonia e Lamarck stavano per la seconda: la questione non può essere decisa, l'apparenza non la decide. Che diventa il germe nel momento della sua dissoluzione? Si scioglie; se volete che rimanga, che si conservi a dispetto dell'apparenza, se lo volete immortale, proclamate l'assioma che nulla nasce, nulla perisce, l'assioma della logica che vieta alla rosa di spuntare e che le vieta di perire, che rende il mondo impossibile.

Crederemo noi all'esistenza degli esseri immateriali? Sì, quando si rivelano e si percepiscono; no, se gli esseri immateriali sono l'opera della nostra intelligenza. Io non vedo altri esseri immateriali, tranne gli esseri indivisi dalla stessa materia: vedo i generi; l'uomo, l'animale, la rosa, la pietra, cose intangibili, ma esistenti; e quando non vi sono più uomini, rose, pietre, il genere scompare cogli individui. Vedo altresì l'unità di ogni individuo organato, unità immateriale, intangibile quanto il genere, benchè io possa toccare le diverse parti dell'individuo; dunque ogni individuo organato è immateriale, e quando muore, cessa di essere: il disparire della sua apparenza lo uccide.

Se si tratta dell'anima umana, il ragionamento è lo stesso; l'unità dell'uomo è immateriale, deve essere riconosciuta quando appare, deve cessare quando scompare. In questo senso lo studio della natura non respinge lo spiritualismo de' teologi, ma lo utilizza; non lo confuta, ma lo rettifica. Ecco la rettificazione:

 

IL TEOLOGO.

 

 

Il vostro giudizio, la vostra volontà, la vostra coscienza attestano l'unità del vostro io; dunque è uno, indivisibile, dunque immateriale.

 

IL NATURALISTA.

 

 

Il giudizio, la volontà, la coscienza dell'animale mostrano l'io dell'animale uno e indivisibile; se mi volete immateriale, accordatemi che ogni animale lo è.

 

IL TEOLOGO.

 

 

Ma voi siete ragionevole.

 

IL NATURALISTA.

 

 

Ma l'animale pensa, ha una coscienza, paragona, giudica; il suo io è come il mio, dunque è immateriale; io non posso ammettere l'immaterialità dell'anima umana senza ammettere l'immaterialità di tutti gli animali.

 

IL TEOLOGO.

 

 

Vi accorderò l'immaterialità di tutti gli animali, almeno allora mi accorderete che l'anima dell'uomo è immateriale.

 

IL NATURALISTA.

 

 

Voglio di più; voglio che l'anima della rosa, che quella d'ogni fiore siano immateriali: difatto, rispondetemi, perchè la mia anima è immateriale?

 

IL TEOLOGO.

 

 

Lo ripeto; le nostre sensazioni si riferiscono ad un punto uno ed indivisibile; il nostro giudizio ravvicina due idee, e suppone il punto unico e indivisibile della loro cognizione: lo stesso si dica della volontà, della memoria, delle altre facoltà, tutte diverse e distinte, eppure concentrate in un punto unico.

 

IL NATURALISTA.

 

Benissimo. La congiunzione, l'identificazione di due cose, di due facoltà, ci sforzano adunque a supporre un io indivisibile; ora io vedo nel fiore più forze che cospirano, vedo una cosa unica che si diversifica e si svolge nelle foglie, nei petali, senza cessare d'essere unica e di dominare il complesso del fiore. La rosa è come un animale, essa opera; grande o tenue nel suo sviluppo, mostra l'unità di un'essenza che domina la diversità materiale; assorbe la terra, sceglie le molecole, le coordina, le orna di qualità inesplicabili: da che riservate alle anime il privilegio di identificare, di subordinare ad un punto unico e indivisibile la pluralità de' fenomeni, è forza supporre un'anima in ogni rosa.

 

IL TEOLOGO.

 

Promettete voi il paradiso alle rose?

 

IL NATURALISTA.

 

alle rose, a' teologi; ma se le anime esistono sono dappertutto, nell'uomo, nell'animale, nel fiore, nella pietra, nel cristallo, che suppone un principio dominatore, un principio che sceglie e ordina. Lo scegliere, l'ordinare, suppongono il dominare più cose ad un tempo, suppongono l'unità: fatale o volontaria, vivente o inanimata, l'unità si mostra nell'uomo come nell'animale, nell'albero come nel sasso. Quando il seme produce l'animale, l'essenza è una e indivisibile, opera fatalmente, come il seme che produce la quercia; quando l'animale vive, si sente uno come il filosofo che pensa.

 

IL TEOLOGO.

 

Voi non mi combattete: vedete le anime dappertutto; voi mi esagerate.

 

IL NATURALISTA.

 

Con questa differenza, che le mie anime sono indivise dai corpi, quando scompaiono confesso umilmente di più non sapere ove sono; di modo che in loro nome non fo male ad alcuno.

 

IL TEOLOGO.

 

Le vostre anime sono le essenze di Aristotele.

 

IL NATURALISTA.

 

No, sono fatti, apparenze indivise dai corpi, e quindi dalla materia.

 

IL TEOLOGO.

 

Esse formano le rose, i corpi; sono dunque le monadi di Leibniz.

 

IL NATURALISTA.

 

La monade di Leibnitz è un'anima separata dal corpo, un'anima che pensa sempre, che diviene un giorno una rosa, l'altro giorno un frammento di tavola, più tardi l'uomo e forse un mondo. Leibnitz affermava a buon diritto che le anime sono in tutti gli esseri; l'error suo era di darsi in balia alla logica, che lo adduceva a negare i corpi.

 

IL TEOLOGO.

 

Insegnatemi adunque a distinguere l'anima dal corpo.

 

IL NATURALISTA.

 

Il cielo me ne guardi.

 

IL TEOLOGO.

 

Dunque voi confondete l'anima col corpo.

 

IL NATURALISTA.

 

Senza dubbio: riconosco l'anima dove appare, nell'albero, nel cristallo, nel sasso, in ogni germe, in ogni molecola capace di subordinare al suo impero due o più molecole per farne un oggetto unico, o, come si dice, organizzato.

 

IL TEOLOGO.

 

Così ogni molecola, ogni seme, ogni corpo organizzato o dominante, sarà nello stesso tempo spirito e materia: e come ogni seme è materiale, potrà alla sua volta comporsi di altri semi o molecole, le quali alla loro volta saranno spirito e materia, e noi avremmo anime composte di anime.

 

IL NATURALISTA.

 

Non vi sono forse dei corpi composti di corpi? Se per caso il seme della rosa contenesse altri semi più sottili, momentaneamente inerti, ma pronti a germogliare in un ambiente più etereo, trasportati in questo ambiente non mancheranno di fiorire, e la rosa perirà.

 

 

IL TEOLOGO.

 

Avete dimenticato che l'anima è indivisibile.

 

IL NATURALISTA.

 

E voi, che il corpo è divisibile.

 

IL TEOLOGO.

 

Or ora avete esagerato il principio della indivisibilità, ed io accordava alle rose un'anima per salvare la vostra; tra me pensava esser meglio immortalizzare le rose, che lasciar morire gli uomini; adesso voi negate il principio che mi avete accordato, cioè l'indivisibilità delle anime.

 

 

IL NATURALISTA.

 

Io era nell'apparenza, e rimango nell'apparenza. Vi ho detto che la mia anima non era l'essenza di Aristotele, la monade di Leibniz, l'anima della teologia; essa riducesi all'unità indivisibile di quanto appare uno e indivisibile. Quando io costruisco un edifizio, quando io ne traccio il disegno uno e indivisibile, io sono l'anima dell'edifizio: ma chi vi dice che il disegno non possa essere l'opera collettiva di più architetti, come una leggenda imaginata da più poeti, come una religione decretata da più concilj? L'unità che pare nel seme, nel germe, può essere una specie d'irradiazione che parte da un centro realmente indivisibile; può essere altresì come la convergenza d'innumerevoli raggi che partono da tutti i punti di una data circonferenza per toccare il centro. Forse la mia esistenza risulta da un'anima ignota, che domina realmente il mio cuore e il mio cervello; forse il mio cuore e il mio cervello cospirano verso quell'unità, che chiamasi la mia anima. I due casi sono egualmente impossibili nella logica, egualmente possibili nella materia della logica; io non seguo la logica, il possibile, sto alla apparenza; riconosco l'unità dove si mostra, e quando scompare, l'anima per me scompare. Il mio spiritualismo comincia colla mineralogia, e finisce colla storia naturale dell'uomo.

 

 




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