Capitolo
VIII
LA RIVELAZIONE DELLE MATERIE
Lo stesso
materialismo è una vera metafisica. Quando il fisico dice che la visione è
l'effetto della luce che cade sull'organo della vista, divien metafisico, se
questa descrizione è da lui tenuta come una spiegazione. Per far ritorno alla
metafisica, non è necessario tornare al fuoco d'Eraclito, all'aria
d'Anassimene, all'acqua di Talete; basta imitare Darwin, e porre nella
contrazione il principio della sensibilità e del moto; basta imitare Cabanis, e
porre il pensiero in una secrezione; se al primo passo una simile metafisica si
riduce ad un errore positivo, se le sue contraddizioni sono affatto personali e
positive, al secondo passo esse si confonderanno colle contraddizioni critiche
e coi dilemmi eterni. Il perchè noi esporremo le apparenze della materia.
La prima
apparenza della materia non trovasi nelle qualità che variano. ma nella
persistenza di una quantità determinata, che si mostra nella resistenza, nella
mobilità, nell'estensione e nella figura. Qui la materia rivelasi come
un'estensione che resiste, che si move, come uno spazio solido distinto da uno
spazio vuoto: quando abbiamo detto che tale apparenza è un quantum inalterabile,
un genere in cui havvi equazione tra il genere e la somma degli individui tutti
indiscernibili e indistinti gli uni dagli altri, il nostro potere di conoscere
e di astrarre tocca l'estremo suo limite. È lecito dare un nome alle parti
della materia considerate in questa prima apparenza, è lecito di chiamarle
atomi, purchè si confessi che l'atomo è una astrazione della mente, un modo di
dimenticare tutte le qualità della materia, tranne l'estensione, la mobilità,
la resistenza e la figura.
La seconda
apparenza della materia è la diversità delle materie prime; spetta alla chimica
il noverarle. L'atomo è passivo, sì passivo che può essere concepito come un
oggetto il quale riceve il moto; le materie sono attive e dotate di proprietà:
l'atomo è per sè in riposo, la sua facoltà di ricevere il moto non suppone il
moto, le materie agiscono, e non hanno che ad essere per dare il moto. Le parti
delle diverse materie, considerate nella diversità loro, chiamansi non più
atomi, ma molecole: quante sono le materie, altrettante le classi delle
molecole. Non havvi proprietà alcuna che sia comune a tutte le molecole:
nemmeno il peso, nemmeno l'attrazione può essere concessa a tutte le molecole:
se i corpi gravitano gli uni verso gli altri, alla gravitazione resiste
l'apparenza opposta delle forze centrifughe. Gli astri conservano le loro
distanze rispettive, non si avvicinano, non tendono a fare un tutto unico e
compatto: se l'attrazione fosse legge naturale delle molecole, se la forza
centrifuga fosse l'effetto d'un impulso, di uno slancio accidentale i mondi
finirebbero a concentrarsi; l'attrazione, benchè affievolita dalle
incommensurabili distanze, avrebbe avuto l'eternità per operare il
concentramento di tutte le materie. Le molecole differiscono dunque secondo le
materie alle quali appartengono. Quante sono le materie o le classi delle
molecole? Nessuno potrà dirlo mai; la chimica potrà sempre suddividere le
materie conosciute, e scoprire nuove materie sconosciute. Quante sono le
proprietà di una materia determinata, per esempio, dell'ossigeno? È impossibile
indovinarlo; nuovi oggetti posti in contatto coll'ossigeno potrebbero provocare
in esso la manifestazione di nuove proprietà; dunque nulla di definito; il
possibile in tutta la sua estensione s'apre dinanzi ad ogni molecola.
La terza
apparenza della materia è il germe, principio di organizzazione dal seme più
informe fino all'animale più complicato. Ogni molecola è essa un seme, un
germe? può essa divenirlo? Nessuno può rispondere; l'origine dei semi è
indiscernibile. Egli è certo che tutte le specie d'animali e vegetali formano
di continuo nuovi germi, è certo che se ogni specie non incontrasse ostacoli
estranei alla sua moltiplicazione, potrebbe assimilare l'universo: i germi che
essa produce e che periscono per miriadi, sono essi formati o preformati?
Esciamo noi dal seme de' nostri padri o dal seme della eternità? L'apparenza è
per la prima alternativa, la logica per la seconda; ma la logica non ha diritto
alcuno, nè sul noto, nè sull'ignoto: la stessa ragione che vieterebbe al seme
di essere formato, gli vieterebbe di svilupparsi. Ogni sistema sull'eternità
dei germi è parto della metafisica. Le masse delle materie inerti e inanimate,
come la sabbia o il granito, sono esse spoglie d'ogni vitalità, o sono semi, o
semi in potenza, o molecole che attendono il giorno della vegetazione o della
vita? Ci è impossibile di rispondere, l'apparenza è muta. La impossibilità di rispondere
continua quando si tratta di sapere se ogni seme ferma il suo sviluppo in una
classe determinata di esseri, o se può oltrepassare la propria classe
progredendo indefinitivamente. Platone, Aristotele, Cuvier stavano per la prima
alternativa; i filosofi della scuola jonia e Lamarck stavano per la seconda: la
questione non può essere decisa, l'apparenza non la decide. Che diventa il
germe nel momento della sua dissoluzione? Si scioglie; se volete che rimanga,
che si conservi a dispetto dell'apparenza, se lo volete immortale, proclamate
l'assioma che nulla nasce, nulla perisce, l'assioma della logica che vieta alla
rosa di spuntare e che le vieta di perire, che rende il mondo impossibile.
Crederemo noi
all'esistenza degli esseri immateriali? Sì, quando si rivelano e si
percepiscono; no, se gli esseri immateriali sono l'opera della nostra
intelligenza. Io non vedo altri esseri immateriali, tranne gli esseri indivisi
dalla stessa materia: vedo i generi; l'uomo, l'animale, la rosa, la pietra,
cose intangibili, ma esistenti; e quando non vi sono più uomini, nè rose, nè
pietre, il genere scompare cogli individui. Vedo altresì l'unità di ogni
individuo organato, unità immateriale, intangibile quanto il genere, benchè io
possa toccare le diverse parti dell'individuo; dunque ogni individuo organato è
immateriale, e quando muore, cessa di essere: il disparire della sua apparenza
lo uccide.
Se si tratta
dell'anima umana, il ragionamento è lo stesso; l'unità dell'uomo è immateriale,
deve essere riconosciuta quando appare, deve cessare quando scompare. In questo
senso lo studio della natura non respinge lo spiritualismo de' teologi, ma lo
utilizza; non lo confuta, ma lo rettifica. Ecco la rettificazione:
IL TEOLOGO.
Il vostro
giudizio, la vostra volontà, la vostra coscienza attestano l'unità del vostro
io; dunque è uno, indivisibile, dunque immateriale.
IL NATURALISTA.
Il giudizio,
la volontà, la coscienza dell'animale mostrano l'io dell'animale uno e
indivisibile; se mi volete immateriale, accordatemi che ogni animale lo è.
IL TEOLOGO.
Ma voi siete
ragionevole.
IL NATURALISTA.
Ma l'animale
pensa, ha una coscienza, paragona, giudica; il suo io è come il mio, dunque è
immateriale; io non posso ammettere l'immaterialità dell'anima umana senza
ammettere l'immaterialità di tutti gli animali.
IL TEOLOGO.
Vi accorderò
l'immaterialità di tutti gli animali, almeno allora mi accorderete che l'anima
dell'uomo è immateriale.
IL NATURALISTA.
Voglio di
più; voglio che l'anima della rosa, che quella d'ogni fiore siano immateriali:
difatto, rispondetemi, perchè la mia anima è immateriale?
IL TEOLOGO.
Lo ripeto; le
nostre sensazioni si riferiscono ad un punto uno ed indivisibile; il nostro
giudizio ravvicina due idee, e suppone il punto unico e indivisibile della loro
cognizione: lo stesso si dica della volontà, della memoria, delle altre
facoltà, tutte diverse e distinte, eppure concentrate in un punto unico.
IL NATURALISTA.
Benissimo. La
congiunzione, l'identificazione di due cose, di due facoltà, ci sforzano
adunque a supporre un io indivisibile; ora io vedo nel fiore più forze che
cospirano, vedo una cosa unica che si diversifica e si svolge nelle foglie, nei
petali, senza cessare d'essere unica e di dominare il complesso del fiore. La
rosa è come un animale, essa opera; grande o tenue nel suo sviluppo, mostra
l'unità di un'essenza che domina la diversità materiale; assorbe la terra,
sceglie le molecole, le coordina, le orna di qualità inesplicabili: da che riservate
alle anime il privilegio di identificare, di subordinare ad un punto unico e
indivisibile la pluralità de' fenomeni, è forza supporre un'anima in ogni rosa.
IL TEOLOGO.
Promettete
voi il paradiso alle rose?
IL NATURALISTA.
Nè alle rose,
nè a' teologi; ma se le anime esistono sono dappertutto, nell'uomo,
nell'animale, nel fiore, nella pietra, nel cristallo, che suppone un principio
dominatore, un principio che sceglie e ordina. Lo scegliere, l'ordinare,
suppongono il dominare più cose ad un tempo, suppongono l'unità: fatale o
volontaria, vivente o inanimata, l'unità si mostra nell'uomo come nell'animale,
nell'albero come nel sasso. Quando il seme produce l'animale, l'essenza è una e
indivisibile, opera fatalmente, come il seme che produce la quercia; quando
l'animale vive, si sente uno come il filosofo che pensa.
IL TEOLOGO.
Voi non mi
combattete: vedete le anime dappertutto; voi mi esagerate.
IL NATURALISTA.
Con questa
differenza, che le mie anime sono indivise dai corpi, quando scompaiono
confesso umilmente di più non sapere ove sono; di modo che in loro nome non fo
male ad alcuno.
IL TEOLOGO.
Le vostre
anime sono le essenze di Aristotele.
IL NATURALISTA.
No, sono
fatti, apparenze indivise dai corpi, e quindi dalla materia.
IL TEOLOGO.
Esse formano
le rose, i corpi; sono dunque le monadi di Leibniz.
IL NATURALISTA.
La monade di
Leibnitz è un'anima separata dal corpo, un'anima che pensa sempre, che diviene
un giorno una rosa, l'altro giorno un frammento di tavola, più tardi l'uomo e
forse un mondo. Leibnitz affermava a buon diritto che le anime sono in tutti
gli esseri; l'error suo era di darsi in balia alla logica, che lo adduceva a
negare i corpi.
IL TEOLOGO.
Insegnatemi
adunque a distinguere l'anima dal corpo.
IL NATURALISTA.
Il cielo me
ne guardi.
IL TEOLOGO.
Dunque voi
confondete l'anima col corpo.
IL NATURALISTA.
Senza dubbio:
riconosco l'anima là dove appare, nell'albero, nel cristallo, nel sasso, in
ogni germe, in ogni molecola capace di subordinare al suo impero due o più
molecole per farne un oggetto unico, o, come si dice, organizzato.
IL TEOLOGO.
Così ogni
molecola, ogni seme, ogni corpo organizzato o dominante, sarà nello stesso
tempo spirito e materia: e come ogni seme è materiale, potrà alla sua volta
comporsi di altri semi o molecole, le quali alla loro volta saranno spirito e
materia, e noi avremmo anime composte di anime.
IL NATURALISTA.
Non vi sono
forse dei corpi composti di corpi? Se per caso il seme della rosa contenesse
altri semi più sottili, momentaneamente inerti, ma pronti a germogliare in un
ambiente più etereo, trasportati in questo ambiente non mancheranno di fiorire,
e la rosa perirà.
IL TEOLOGO.
Avete
dimenticato che l'anima è indivisibile.
IL NATURALISTA.
E voi, che il
corpo è divisibile.
IL TEOLOGO.
Or ora avete
esagerato il principio della indivisibilità, ed io accordava alle rose un'anima
per salvare la vostra; tra me pensava esser meglio immortalizzare le rose, che
lasciar morire gli uomini; adesso voi negate il principio che mi avete
accordato, cioè l'indivisibilità delle anime.
IL NATURALISTA.
Io era nell'apparenza, e rimango nell'apparenza. Vi
ho detto che la mia anima non era l'essenza di Aristotele, nè la monade di
Leibniz, nè l'anima della teologia; essa riducesi all'unità indivisibile di
quanto appare uno e indivisibile. Quando io costruisco un edifizio, quando io
ne traccio il disegno uno e indivisibile, io sono l'anima dell'edifizio: ma chi
vi dice che il disegno non possa essere l'opera collettiva di più architetti,
come una leggenda imaginata da più poeti, come una religione decretata da più
concilj? L'unità che pare nel seme, nel germe, può essere una specie
d'irradiazione che parte da un centro realmente indivisibile; può essere altresì
come la convergenza d'innumerevoli raggi che partono da tutti i punti di una
data circonferenza per toccare il centro. Forse la mia esistenza risulta da
un'anima ignota, che domina realmente il mio cuore e il mio cervello; forse il
mio cuore e il mio cervello cospirano verso quell'unità, che chiamasi la mia
anima. I due casi sono egualmente impossibili nella logica, egualmente
possibili nella materia della logica; io non seguo la logica, nè il possibile,
sto alla apparenza; riconosco l'unità dove si mostra, e quando scompare,
l'anima per me scompare. Il mio spiritualismo comincia colla mineralogia, e
finisce colla storia naturale dell'uomo.
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