Capitolo
IX
LE LEGGI DELLA MATERIA
La
rivelazione materiale è tripla, meccanica, molecolare e organica: vi hanno
dunque tre classi di leggi, le une meccaniche, le altre molecolari, le
ultime organiche.
Il movimento
scientifico si concentra nel meccanismo, si attiene alle leggi meccaniche dei
corpi. Se le proprietà molecolari e organiche sono nel loro manifestarsi
molecolari e organiche, nondimeno nella loro azione relativamente a noi non
sono se non forze, nè si misurano che colle leggi della forza e del moto
meccanico. Nel fatto tutte le forze producono finalmente lo stesso effetto: il
moto; sono equivalenti, subiscono la stessa misura; la forza del bue e quella
del pensiero si valutano egualmente dalle quantità che materialmente spostano.
La mente di Socrate fu grande perchè dominò gli uomini e le cose e trasmise un
impulso, il cui moto materiale si è propagato di generazione in generazione, da
Platone fino a Cristo, e da Cristo fino a' nostri tempi. La psicologia
verificherà la natura della forza di Socrate, solo la meccanica ne verifica
l'azione. In generale, le leggi molecolari e le leggi organiche, appena
qualificate dalle scienze naturali, sono analizzate, esaminate, cadendo sotto
il dominio della meccanica.
Siamo già meccanici
dal momento in cui incominciamo a verificare una legge molecolare o organica.
Tal legge non è se non la manifestazione, l'evoluzione di una forza inerente ad
un corpo: noi la seguiamo dividendola in più fasi o momenti: noi enumeriamo le
sue trasformazioni, non vogliamo confonderle; servi dell'apparenza, vogliamo
che l'una faccia luogo all'altra, e sia esclusa dall'altra. Ma chi verifica i
diversi momenti della forza che si manifesta? chi li distingue gli uni dagli
altri? Si è la logica, soggiogata dalla rivelazione, incatenata al fatto, che
distingue l'ossigeno dall'ossido, la ghianda dalla quercia, il feto dal
fanciullo. La logica distingue una evoluzione, considerata nella sua totalità,
da tutte le altre evoluzioni; essa vieta di affermare un'altra evoluzione, là
dove si manifesta quella dell'ossigeno, della ghianda o del feto. Questa
distinzione è assolutamente meccanica, tutta esterna; nega la ghianda quando
appare la quercia, nega il feto quando appare il fanciullo, nega un oggetto
quando fa luogo ad altro oggetto; annienta una qualità perchè l'altra possa
sorgere. Dunque l'evoluzione molecolare e organica si attua dominando la
logica, e nella logica diviene ad ogni istante una questione di essere e di
non-essere che si alternano, questione essenzialmente meccanica. Non si può
scioglierla, senza invocare la quantità, il numero, la misura; se il naturalista
descrive l'evoluzione di un genere, deve dire il tempo necessario al
germogliare, il frutto che produce; deve contare, pesare, misurare i frutti:
senza la misura tutto è incommensurato, e l'incommensurato è l'indeterminato,
il caos.
Le
dimostrazioni dei chimici e dei naturalisti sono affatto meccaniche.
Dimostrare, servirsi del sillogismo, è un mostrare che il contenuto trovasi nel
contenente; togliete la necessità de continente et contento, necessità
che afferra le cose, considerandole sotto l'aspetto della grandezza, il
sillogismo non ha più senso, non dà dimostrazione. Così il chimico quando
osserva una sostanza, è chimico; quando dichiara ciò che essa è, la classifica,
la trasporta in un dato genere, è un vero meccanico. Il naturalista è
naturalista finchè descrive. Classifica egli gli oggetti? li dispone egli in
una data serie di generi? Allora decide qual'è il genere più vasto, quale il
meno vasto, e la meccanica scioglie il problema. Il politico che ci pone in una
data classe di cittadini, il giudice che ci dichiara condannati dalla legge,
trovansi nel caso del chimico e del naturalista. Poco importa che i generi
siano oggetti immateriali, che siano intelligibili, essi sono grandezze, le
classi si determinano secondo la gradazione delle grandezze: esse guidano il
sillogismo per la necessità che fa contenere o escludere una cosa dall'altra in
forza della proporzione delle grandezze; la dimostrazione è dunque meccanica.
Quanto più
una scienza si concentra sulle grandezze o sulle quantità, tanto più s'avvicina
alla esattezza desiderata dalla scienza. La astronomia non considera gli astri
come tante quantità di una materia sconosciuta; non pensa alla materia, pensa
alle masse, al volume, al moto degli astri e dei pianeti. Essa è una meccanica
celeste, un portento d'esattezza. La meccanica propriamente detta non considera
se non le masse e i moti, sta fedele al suo dato; e quindi si svolge
coll'equazione e col sillogismo. Havvi una scienza della luce, perchè la luce
si misura come il moto: havvi una scienza del calore, perchè il calore si move
come la luce. Da ultimo, noi scopriamo una scienza in cui la materia viene
affatto dimenticata, e si valutano le sole quantità sia nel numero, sia
nell'estensione; ed è questa l'unica scienza che meriti tal nome, voglio dire
la matematica.
La scienza
della natura non si è svincolata dalla metafisica se non da qualche secolo; la
scienza e la metafisica stavano talmente intrecciate, che la storia della
scienza leggesi in quella della metafisica. Il deismo fu l'ultima schiavitù
subita dalle scienze naturali: quando si videro i numeri, gli atomi, i semi
impotenti a rivelare la sognata equazione dell'universo, quando poi fu posto in
Dio il primo principio di quanto appare, fu data un'intenzione ad ogni evento,
un pensiero ad ogni cosa, e fu stabilito un infinito errore, di cui le traccie
restano oggi nello stesso ateismo. Di là il pregiudizio de' naturalisti che
deificano la natura, da Vanini chiamata regina e dea dei mortali:
anche dopo riconosciuta la non esistenza di un Dio re dell'universo, venne
supposta al mondo un'intenzione, quasi avesse un anima, o fossero noti i suoi
pensieri, o fosse noto il fine della natura. Quindi disconosciuta la guerra
universale degli esseri, le stragi della natura, che viene osservata col proposito
deliberato di non vederne il male, di non conoscerne se non il bene, di
trasportare i nostri miseri concetti al creato intero, e di volerlo tutto
inteso alla nostra felicità. Quindi l'ipotesi delle scempie finalità supposte
negli esseri ad ogni incontro fortuito o misterioso, sempre spiegato coi nostri
pregiudizi, dimenticandosi che l'aria è creata per noi, quanto noi per l'aria;
il maschio per la femmina, quanto la femmina per il maschio, l'uomo per la
terra, quanto la terra per l'uomo; le fiere per divorarci, quanto noi per
distruggerle: chè non havvi dato, non indizio, non sintomo alcuno per isvolgere
gli esseri piuttosto in una serie progressiva, che in una serie retrograda o
circolare. Quindi l'ipotesi iperbolica che suppone nell'universo un progresso
continuo, che attribuisce agli esseri viventi il destino di migliorarsi e di
far migliore l'ambiente in cui vivono, a tutte le anime una risurrezione, forse
una trasmigrazione nei diversi astri, quasi che gli astri dovessero profittare
di ogni scossa, di ogni rivoluzione compiuta in una piazza di Roma, di Parigi o
di Londra. La metafisica prolunga la sua agonia avviticchiata alle incertezze
della geologia e dell'anatomia comparata, ostinandosi a contrafare la
religione, a crearsi un suo paradiso astratto, e ad attribuire all'impassibile
destino, all'inerte alternarsi dell'essere e del non-essere le speranze, i
timori e le passioni del genere umano.
Più
circospetta, e non più saggia, un'altra metafisica si restringe ad annunziarci
che le leggi dell'universo sono costanti, uniformi: che la costanza,
l'uniformità delle leggi mondiali viene assicurata dallo spazio, dal tempo,
dalla sostanza, dalla causa, dall'essere che dominano gli oggetti e che non
cambiano. Ma l'unità dell'essere, le forze della sostanza, della causa, dello
spazio, del tempo, stanno egualmente coll'ordine e col disordine, col progresso
e col regresso dell'universo; sono condizioni di quanto esiste, e non sono
nulla. contengono tutto, e non impongono ad alcun essere di restare quello che
è. La terra che abitiamo non sorge da queste entità generiche, il globo non è
figlio dell'essere più di quello che le acque siano figlie dell'acqua. Il
governo poi della terra spetta alle anime; esse ordinano le pietre, i fiori,
gli animali; esse dominano la materia, da cui non sono separate, perchè la
forza non si separa mai dal corpo. Ma anche le anime nella loro corsa a
traverso l'eternità, uscendo le une dalle altre col progresso e col fato della
guerra, non sono ancora se non la natura, sono ancora cieche e ignoranti del
destino che le spinge, della sorte che le attende. Non si pensi che ogni essere
debba compiere il suo destino: intorno ad ogni albero hannovi miriadi di semi e
di germi sacrificati per nudrirlo; intorno ad ogni animale mille e mille esseri
periscono perchè viva; nella natura l'essere che compie il suo destino gode di
un fortunatissimo privilegio. A che tante declamazioni sul destino
dell'umanità, quando ignoriamo i dati, l'ordine, lo scopo, in una parola, il
bilancio dello spaventevole sacrificio che si attua di continuo nel vasto
oceano della creazione? Lo stesso concetto del destino è travisato se lo
prendiamo a nostro profitto: il destino si compie in due sensi opposti,
servendo a sè, servendo ad altri, godendo e soffrendo. Spiegate qual'è il
destino dell'agnello, vi spiegherò qual sia il vostro; e vedrete forse uscire
dall'esterminio dell'umanità immolata il progresso della terra concessa ad una
razza migliore.
Finalmente, a
che si riducono l'uniformità e la costanza delle leggi in mezzo alla
metamorfosi della natura? Alla nostra ignoranza; quanto più ci illuminiamo,
tanto più la costanza delle leggi mondiali è scossa, e scorgiamo che un fluido
alterato può cambiare la faccia dell'universo. Accettiamo dunque l'uniformità e
la costanza quali si rivelano, nè cerchiamo nei generi una fatalità che le
corrobori, poichè non havvi equazione tra la sostanza e la costanza
dell'universo; i due termini esprimono solo la necessità del contenente e del
contenuto, e per una nuova rivelazione potrebbe sparire questa stessa
necessità. Che se per eternare il mondo attuale si allega la prova della nostra
convinzione istintiva, della fede naturale, della aspettativa ingenita e
invincibile, che s'attende a veder perpetuate nell'avvenire le leggi presenti
della materia: si ponga mente alla fede, alla sicurezza con cui vive ogni
insetto dell'estate, senza sospettare il disastro che lo distruggerà
nell'evoluzione dell'inverno. Lasciamo la natura alla natura.
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