Capitolo
XI
GLI ELEMENTI DEL PENSIERO
Gli elementi del
pensiero corrispondono agli elementi degli oggetti; quanto appare nella natura,
appare nell'intelletto; l'intelletto è lo specchio della natura; quanto trovasi
nell'oggetto conosciuto, ritrovasi nella cognizione. Le cose della natura si
dividono nelle due grandi classi degli individui e dei generi, hannovi dunque
nel pensiero gli individui e i generi, cioè le senzazioni e le idee.
La percezione
è captiva della cosa percetta, non è se non la cosa sotto la forma della sua
propria affermazione; istessamente le idee sono captive dei generi, e non sono
se non i generi sotto la forma della loro concezione in noi. Quindi hannovi idee
in ogni percezione, come hannovi generi in ogni cosa percetta; quindi ogni
percezione subisce le condizioni ideali dello spazio e del tempo, e trovasi
contenuta negli stessi generi, che contengono l'oggetto che le corrisponde.
Si dimanda se
le nostre idee sono innate o acquisite: questo è il problema capitale della
psicologia. Tutte le idee sono acquisite, perchè tutte sono elementi della
percezione necessariamente acquisita. La sensazione è acquisita, e non suppone
in noi se non la facoltà di alterarsi, per sentire e percepire; anche le idee
non suppongono in noi se non la facoltà di alterarsi per concepire e percepire
i generi. Finchè noi percepiamo gli oggetti, le nostre idee sono frammiste alle
percezioni; e per parlar con rigore, noi non abbiamo ancora un'idea; cioè una
nozione non affermata, non negata, e semplicemente concetta; quando
classifichiamo i generi, allora togliamo le idee dalle nostre proprie
percezioni, allora si astrae, si analizza; e le idee sono acquisite, per la
seconda volta, e stabilite come idee. Dunque le idee nella loro concezione
primitiva sono acquisite, nella loro concezione astratta e scientifica sono
ancora acquisite, e talmente acquisite, che abbisognano moltissime spiegazioni
per insegnare ad un uomo rozzo l'idea dell'essere.
Il problema
dell'origine delle idee fu mal inteso e male sciolto da una psicologia ancora
signoreggiata dalla metafisica.
Platone
suppone che le idee sono innate: perchè? Perchè le idee sono generali: non si
può estrarle dagli individui: esse non si alterano, e gli individui si
alterano; esse non periscono, e gli individui periscono. Dunque le idee non
sono originate, non nascono, sono innate. Il ragionamento di Platone era
rigoroso, esatto, pure diffidiamo di quest'esattezza; collo stesso procedere dimostrasi
l'impossibilità di trasmettere le sensazioni, dimostrasi l'impossibilità di
trasmettere il moto; qui l'origine delle idee vien negata insieme con tutte le
origini, e la negazione si svolge in forza della critica. Non ci è dato di
resisterle, convien cedere: non è assurdo il diventare? non è assurdo che
l'intelletto acquisti un'idea che non ha? che sia alterato dalle idee
trasmessegli dall'esperienza? Platone prendeva quest'assurdo per un problema,
il problema era d'altronde letteralmente proposto dai sofisti. «Non s'impara»,
dicevano essi, «nè quanto si conosce perchè noto, nè quanto s'ignora perchè
ignorato.» Platone rispondeva colle idee innate; alla contraddizione critica
dei sofisti opponeva una scienza innata, la quale è una vera reminiscenza, per
cui non impariamo nulla, e ci limitiamo a ricordarci le nostre proprie idee
senza che alcuna di esse venga trasmessa dalla natura. Ma questa scienza innata
non appare; prima d'aver veduta la luce, non si ha l'idea de' colori; se le
idee fossero innate, se non avessero origine, non sarebbero esse sempre
presenti alla nostra mente? La soluzione platonica abbisogna di una nuova
soluzione; essa nega l'origine delle idee, e, giusta l'apparenza, le idee
nascono: come possono nascere se sono innate? Le idee, replica Platone, sono
latenti nell'intelletto, esse devono essere risvegliate in noi dal senso, dal
discorso; la rivelazione esterna non le trasmette, ma ne provoca la
manifestazione. Ecco le ipotesi moltiplicate: ad onta dell'apparenza, l'idea è
innata, ad onta dell'apparenza, il sapere è ricordarsi, ad onta dell'apparenza,
le cose non ci trasmettono le idee, ma le risvegliano in noi: sia pure,
ammettiamo tutte le ipotesi per vincere la critica, che vieta alle cose
diverse, individuali e variabili di diventare idee nel nostro intelletto,
attraversando i sensi. Qual profitto trarremo noi dalla idea innata e latente?
Essa appare all'occasione della sensazione, dunque subisce l'influenza della
sensazione, dunque il passaggio dall'idea latente all'idea che appare non è
logico, dunque è contraddittorio quanto l'origine delle idee. Trascuriamo
quest'antinomia, ammettiamo la scienza innata e latente, avremo per conseguenza
l'uniformità e l'unanimità della scienza presso tutti gli uomini: abbiamo noi
tutti le stesse idee intorno al bene, al male, la giustizia, la politica e la
religione? L'idea di Platone, presa fuori dell'apparenza, rimane fuori
dell'apparenza, non ispiega la varietà delle opinioni, degli usi, dei costumi,
delle leggi; la rende impossibile; non ispiega le nostre idee apparenti, le
rende impossibili. Nè giova l'invettiva del filosofo contro le passioni
accusate di travisare le idee di mostrarci il vero, il bello, il giusto, il
bene là dove non sono, nel male, facendo per tal guisa variare i capricci degli
uomini e de' popoli con un delirio multiforme. No; se il bello, il giusto, il
bene sono idee, devono essere le stesse in tutti, devono mostrarsi identiche
presso tutte le nazioni, devono rendere la ragione infallibile come l'istinto.
Accusate voi le passioni di turbare le idee? perchè non accuseremo piuttosto la
confusione, il disordine, il delirio delle idee innate, sempre vinte dagli
accidenti esterni e dal variare della sensibilità? Se le idee sono sì deboli,
se non possono fissarsi, se formano un vero caos, in cui il distinguere i
generi spetta al senso, questo caos senza forma non è forse il difetto d'ogni
idea?
Volendo
rendere possibile il variare delle opinioni e l'insegnamento dell'esperienza,
Aristotele negava la teoria della reminiscenza: mostrava ogni scienza
acquisita, ogni idea trasmessa all'intelletto dalla sensazione, stabiliva
l'assioma nihil in intellectu quod prius non fuerit in sensu. L'asserto
non bastava, il peripatetismo procede per via di equazioni; conveniva
dichiarare il processo con cui il genere, fatto eguale da Aristotele alla
materia d'ogni oggetto, potesse, a traverso il senso, deporre un'idea nel
nostro intelletto. D'indi il problema: in qual modo le idee possono derivare
dalla sensazione? Il sistema peripatetico dà due risposte distinte. Giusta il
trattato Dell'Anima, il senso non percepisce se non l'individuo, voglio
dire l'essenza, fatta sensazione dalla materia, la quale è il genere
d'Aristotele. Ora, se nel senso havvi solo l'individuo, l'intelletto non
dedurrà alcuna idea generale dalla sensazione, la generalizzazione sarà
impossibile, le idee saranno impossibili. Tale era la conseguenza rigorosa
della metafisica peripatetica; per evitarla, Aristotele áltera il suo concetto,
e alla fine degli Analitici Postremi formula la seconda risposta. «Gli
individui», dice Aristotele, si succedono nella sensazione come i soldati
nell'esercito; lasciano una traccia nell'intelletto attivo, e le idee escono
dagli individui, praetereaque ex universali quiescente in animo.» Qual'è
questo universale? qual'è l'azione dell'intelletto attivo? In qual modo
l'intelletto passivo contiene l'universale?... Eccoci ritornati ad una idea
innata, ad un platonismo confuso, voglio dire, ad una teoria la quale permette
nuove fasi e nuova carriera ai discepoli di Platone. L'assioma nihil in
intellectu quod prius non fuerit in sensu nel trattato Dell'Anima
riusciva all'impossibile, negli Analitici Postremi veniva contradetto;
in ogni modo rimaneva sterile sino alla fine del risorgimento.
La psicologia si
rinnova con Descartes. Quando Descartes, staccato da ogni tradizione, da ogni
autorità, solo colla sua mente, egli trasse da sè ogni scienza, accettò
implicitamente le idee innate: senza analizzarle cedeva alla necessità logica,
con cui rivelavansi nel ragionamento matematico; la chiara e distinta
percezione accoglievale e santificavale rendendole inviolabili, a patto di
generare logicamente ogni cosa, l'io e il non-io, l'uomo e la natura. Ma che
può generare l'idea? nulla, tranne sè stessa; ponendo l'idea, si resta
nell'idea; e procedendo logicamente, si rende assurdo ciò che non è l'idea. Ne
consegue, che l'altissima equazione cartesiana, colla quale in Dio l'essere e
l'apparire erano fatti eguali, non regge: conviene ottare tra l'idea dell'essere
o l'essere stesso, che è genere. Quindi il cartesianismo sempre o confinato
nell'idea o tolto all'idea, e confuso coll'essere (il genere), colla necessità
di scegliere tra l'idea e il genere, colla necessità di prendere l'una o
l'altro come principio primo, colla necessità di degradare, di menomare, di
adeguare a zero il termine reietto. Degradando, menomando l'essere, il genere,
si diminuisce la verità del mondo, che finisce a trovarsi negato; e resta l'io
solo, sede dell'idea: degradando, menomando l'idea, si diminuisce la verità
dell'idea, che finisce a trovarsi negata, e l'intelletto resta identificato col
mondo, sede dell'essere, del genere. Da quest'alternativa scaturisce poi
mediatamente la negazione della sensazione per l'idea o dell'individuo pel
genere: chi ammetteva l'idea, non negava la natura? e negando la natura, non
negava le proprie sensazioni? chi ammetteva il genere e l'essere o la sostanza
universale, non negava l'io, e coll'io ogni individuo nella sua esistenza
particolareggiata, opposta al genere? Così l'idea cartesiana (se non negata)
metafisicando, negava la sensazione, e quanto corrisponde all'idea ed alla
sensazione, non potendosi da essa transire logicamente ad altra nozione
qualsivoglia.
La
contraddizione tra l'idea ed ogni cosa era patente, matematica; Locke la prende
per un errore personale di Descartes, e cerca un'uscita alla metafisica
cartesiana, che trasportavasi tutta fuori dell'apparenza. D'onde veniva
l'assurdo? dall'idea; Locke pensò di evitarlo, ponendo per primo principio la
sensazione; così sottraevasi alla logica dell'idea, la lasciava trascorrere
sola negli spazi imaginari dell'errore, credeva rimanersi nei fatti. Pure Locke
seguiva lo stesso metodo di Descartes, accettava l'assunto di dare spiegazioni
matematiche; invece di avverare l'apparenza, la sensazione quale appare, l'idea
quale sorge, opposta al senso e correlativa ai generi, egli stabiliva la
sensazione siccome principio primo. Fu mestieri che le idee fossero dedotte
dalla sensazione, che le sensazioni originassero l'universo; e Locke fu il
primo inventore di quella dialettica che si trascina di cavillo in cavillo,
negando ogni idea che pretende spiegare. D'indi presso i filosofi del
decimottavo secolo l'origine delle idee, che nega ogni cosa; le equazioni
fantastiche, in cui il tempo è fatto eguale al moto, lo spazio al corpo, la
sostanza al riunirsi di più qualità: si affermano i generi eguali alle parole,
le astrazioni eguali all'abitudine, e in generale il concepire si traduce
nell'imaginare: e nulla di più fastidioso di quella serie di equivoci
studiosamente elaborati, in cui la dialettica, respinta di rifugio in rifugio,
non si stanca mai d'inventare nuovi espedienti per isfuggire al vero. L'assurdo
cartesiano ripetevasi intervertito; chè la sensazione non era eguale se non
alla sensazione, e dovevasi sempre restare nel senso: dunque l'individuo
esterno svaniva, il mondo cadeva a zero, e la sola immagine restavane in noi;
dunque i suoi generi, il suo essere sparivano; dunque la sensazione, con
l'intermediario del mondo e senza, negava, da ultimo, le idee e l'idea stessa
dell'essere, che ci permette di affermarci esistenti.
Per difetto
di idee la sensazione stessa di Locke diventava impossibile, sottraevasi al
giudizio che ne afferma l'esistenza: Kant cercò un'uscita perchè la sensazione
potesse stare, e dichiarò innate le idee necessarie al giudizio. In sentenza di
Kant, vi sono idee innate ed havvene d'acquisite: sono idee acquisite tutte
quelle che riferisconsi al mondo sensibile; sappiamo di certo che ci sono
trasmesse dalla sensazione, nè si potrebbe contestarne l'origine esperimentale.
Sono idee innate quelle che non possono essere date dalla sensibilità, che sono
anteriori all'esperienza e supposte dall'esperienza. Così un corpo suppone lo
spazio, l'idea del corpo è acquisita, l'idea dello spazio innata; il moto
suppone il tempo, l'idea del moto è acquisita, quella del tempo innata. Se lo
spazio, il tempo ed altre idee non fossero ingenite nell'intelletto, il conoscere
non sarebbe possibile; al contrario, le idee dell'uomo, dell'animale non sono
necessarie, non universali, non presupposte, e non sono innate.
Fermiamoci: siamo
solo al punto di partenza della teoria di Kant, e già siamo nell'errore, perchè
egli rimane nella sfera del dibattimento tra l'idea di Descartes e la
sensazione di Locke. L'idea cartesiana si surrogava alla natura, sostituendosi
ai generi; la sensazione di Locke si surrogava alla natura, sostituendosi agli
individui; le due teorie circoscrivevano l'apparenza, la mutilavano per metà,
ci rinchiudevano in noi stessi, ci facevano dimenticare i generi e gli
individui, distinti dalle idee e dalle sensazioni, quanto le percezioni lo sono
dalle cose percette. Bisognava esaminare nel tempo stesso i pensieri e le cose,
quindi le idee e i generi, gli individui e le sensazioni; conveniva non
istaccarsi un istante dalla correlazione continua tra le idee e i generi, tra
le sensazioni e gli oggetti. La nostra prima missione non è di giudicare la
lotta tra l'idea e la sensazione: dobbiamo prima stabilire la differenza e la
correlazione tra l'idea e il genere, tra la sensazione e l'individuo. Non si
tratta di sapere se le nostre idee vengano dalle sensazioni, ma bensì se
vengano dagli oggetti; quando vedo un uomo, vedo l'uomo, l'essere, lo spazio;
questa rivelazione mi trasmette sensazioni, idee sensibili, idee non sensibili
che si mostrano quali condizioni della natura. Se tale rivelazione vien
dimenticata, l'idea o la sensazione avranno un valore superiore all'apparenza
loro, diventeranno principj metafisici, aspireranno a dare l'equazione dei
generi e delle cose; la doppia metafisica psicologica di Descartes o di Locke
dovrà riprodursi sotto nuova forma.
Nel fatto,
sviluppandosi, la teoria di Kant sviluppa il vizio che trovasi nella sua
origine. Giusta Kant, le idee innate, che egli chiama idee pure o forme della
ragione, presentano caratteri che escludono la sensazione; sono universali, e
la sensazione è limitata; sono necessarie, e la sensazione è contingente: nessun
oggetto sensibile si sottrae all'idea di tempo, nessun oggetto è necessario
come il tempo. Lo stesso ragionamento si applica a tutte le idee innate; e Kant
conclude, che innate, universali, necessarie, non possono essere
dedotte dalla sensazione. Ma chi ci obbliga a riferirle alla sensazione? chi ci
astringe ad ottare tra l'idea innata e l'idea sensibile? È la psicologia di
Descartes e di Locke, non la rivelazione: fuori del pensiero hannovi le cose, e
nelle cose gli individui e i generi: le idee possono forse esserci trasmesse
dalla natura? Questo è il problema. Nella natura hannovi il tempo, lo spazio,
l'essere e tutti i generi che cattivano il pensiero; perchè non ci fornirebbero
le idee correlative di tempo, di spazio, di essere, nella stessa guisa che ci
forniscono la idea dell'uomo? L'universalità e la necessità di certe idee non
sono in noi, non sono nel nostro pensiero, sono nei generi, da cui ci vengono
imposte: la mia idea del tempo, non è necessaria, nè universale; la mia idea
dello spazio alla sua volta non è universale, nè necessaria; le due idee
nascono con me, periscono con me, turbansi ne' miei sogni, si dileguano nel mio
sonno. L'universalità e la necessità appartengono al tempo ed allo spazio,
all'essere, senza che si possa dire il come, nè il perchè; solo sappiamo che
tutta la natura rivelasi contenuta nei primi generi, appare nel tempo, nello
spazio; appare subordinata al genere primo dell'essere. Raddoppiandosi nel
pensiero, la natura vi si trasporta quale appare; i suoi oggetti divengono
percezioni, i suoi individui sensazioni, i suoi generi idee; e la necessità e
l'universalità dei generi primitivi si riproduce in noi. Se può affermarsi che
alcune idee sono innate, non è per essere queste necessarie ed universali, chè
allora tutta la matematica sarebbe innata, i suoi teoremi dichiarandosi
necessari ed universali. Non possono affermarsi innate certe idee se non
considerando che sono contemporanee d'ogni pensiero, perchè nella natura il
genere che loro corrisponde trovasi contemporaneo di ogni essere.
Kant difende
le sue idee innate con un nuovo artifizio: afferma che la sensazione sia
l'unico veicolo pel quale la rivelazione esterna giunge a noi, e asserisce la
sensazione individuale, senza unità, senza generi, senza somiglianze, indefinitamente
diversa in tutti i suoi punti. Ma la natura in sè rivelasi cogli individui, coi
generi; in noi rivelasi colle sensazioni e colle idee; nella natura ogni
individuo è contenuto da un genere; istessamente in noi ogni sensazione è
contenuta in un'idea, non fosse che quella dell'essere. La sensazione di Kant,
sfuggevole, non affermata, inconsistente, sempre diversa, non è che
un'astrazione inconcepibile, una finzione metafisica; non è la sensazione che
appare, la quale è un colore, un suono, un sapore, una qualità, quindi una cosa
che corrisponde già alle somiglianze generiche. Se la sensazione imaginata da
Kant esistesse, non solo le forme della ragione sarebbero innate, ma tutte le
idee lo sarebbero. I generi della natura non sarebbero nella natura, non
apparirebbero, sarebbero in noi: che più? noi stessi non potremmo formarli; in
qual modo creare generi, fissare classi, fondandosi sopra una sensazione
variabile e diversa all'infinito? Dunque nessuna astrazione. perchè da una
sensazione essenzialmente diversa non si può trarre alcuna somiglianza; nessuna
generalizzazione non potendosi generalizzare là dove non vi sono astrazioni;
nessuna classificazione, per il motivo che, tolte le astrazioni e le
generalizzazioni, le classi diventano impossibili; dunque tutte le idee
sarebbero innate, imposte alle sensazioni, a priori, fatalmente,
arbitrariamente; e per colmo di contraddizione non darebbero nemmeno
l'apparenza dei generi, in guisa che non potremmo distinguere la nozione del
tempo dal tempo stesso. La teoria di Kant incomincia da un'apparenza equivoca,
e finisce a rendere l'apparenza impossibile.
Con un ultimo
sforzo, Kant tenta di fermare la sensazione sfuggevole, da lui creata al di
fuori dei generi, e vuoi fissarla col mezzo degli schemi. Gli schemi sono idee
dimezzate, fantasmi intellettuali che riuniscono più sensazioni, e dando loro
unità, ne traggono gli individui e le classi. Per Kant l'uomo è uno schema;
tutti i generi sono schemi creati da una facoltà intermediaria tra la ragione e
l'imaginazione, o da una imaginazione intellettuale che disegna gli schemi
secondo i diversi modi della quantità. L'ipotesi degli schemi è dessa un
espediente per difendere una teoria vinta o la confessione di una vera
sconfitta? Quanto si dice contro l'idea di Kant, si deve ripetere contro lo
schema. Là dove trovasi sola la differenza, nessuna facoltà può creare l'unità;
se la natura non facesse i generi, non potremmo mai imaginarli: il genere
esiste, il genere signoreggia il pensiero, vi depone l'idea; tale è l'apparenza;
l'idea è data; perchè volete crearla? perchè impossibile il suo originarsi?
perchè non si transisce dal genere all'idea senza contraddizione? Sia pure:
l'origine dell'idea sarà contraddittoria come tutto quanto appare; ma la
facoltà degli schemi è forse possibile? può essa creare l'unità nella diversità
senza contraddirsi? può essa creare le idee o i generi senza trarli dal nulla?
Lo schematismo è contraddittorio quanto la trasmissione delle idee
all'intelletto per mezzo dei generi; colla differenza che nello schematismo il
fatto contraddittorio è inventato, fantastico, superfluo, collegato con altri
errori nati dall'inutile pretensione di sopprimere una contraddizione eterna.
Quale è
l'analisi delle idee, tale è la psicologia di Kant. Kant aveva avvisato assurdo
il concetto di Descartes, che volea transire dalle idee alle sensazioni; aveva
trovato assurdo il concetto di Locke, che si sforzava di transire dalle
sensazioni alle idee; aveva evitato l'uno e l'altro assurdo, rifiutandosi di
dedurre certe idee dalle sensazioni, certe idee dalle idee innate; non erasi
mai proposto il problema che sfuggiva a Descartes e a Locke, cioè di analizzare
la correlazione tra le idee e i generi, tra le sensazioni e gli individui.
Quindi la doppia metafisica di Descartes e di Locke, riprodotta nella
psicologia di Kant. In quella guisa che Descartes e Locke deducevano
matematicamente i generi e gli individui, l'uno dalle idee, l'altro dalle
sensazioni, per cui il lavoro matematico conduceva le due scuole a negare il
non-io e l'io, Kant, trascinato da' suoi propri antecedenti, dedusse i generi e
gli individui dalle idee innate e dalla sensibilità. D'indi la necessità che il
pensiero, composto d'idee e di sensazioni, sorgesse non correlativo a nulla, ma
bastante a sè stesso; d'indi la necessità che il pensiero imponesse alle cose
le proprie idee, che il pensiero costituisse la natura, che l'affermasse
creandola fatalmente, che l'universo dei generi e degli individui uscisse dal
pensiero, quasi che l'ipotesi opposta, la quale avrebbe tratto dai generi e
dagli individui le nostre idee e le nostre sensazioni, non dovesse trovarsi
egualmente imperiosa, o almeno atta a far sostare il filosofo tedesco nel suo
procedere dalla psicologia alla metafisica. Da ultimo, circoscritto Kant, dai
dati anticipati di Descartes e di Locke, nell'io pensante, non vedendo la
contraddizione se non nelle idee e nella sensazione, usciva ad affermare essere
la contraddizione nell'uomo, non nella natura; la restringeva alla nostra
ragione, e anche nella ragione limitava il contraddirsi dell'uomo alle rozze
antinomie colle quali alcune idee respingono, in forza della loro universalità
e della loro necessità, le tesi che ci vengono offerte dalla scienza
esperimentale. Quindi nel seguito la critica di Kant, sorpresa da dilemmi
improvvisi, travolta, intervertita a profitto del non-io, è divenuta, nelle
mani de' successori di lui, la filosofia della contraddizione; e il fondatore
della critica fu trasformato così nel precursore del più temerario dogmatismo.
Concludiamo:
hannovi due elementi del pensiero: l'idea e la sensazione: entrambi sono
acquisiti, irreducibili ed indivisibili. Pure, se tutte le idee sono acquisite,
ve ne hanno di acquisite nell'atto stesso in cui si acquistano le prime
sensazioni; e sono le idee del tempo, dello spazio ed altre, soprattutto l'idea
dell'essere, contemporanea della prima sensazione. Quest'ultima idea può
considerarsi innata, non perchè lo sia veramente, non perchè sia negato agli
oggetti di trasmettercela, non perchè l'esperienza la supponga in noi; l'essere
è innato solo nel senso, che trovasi contemporaneo del pensiero. Una volta
acquisite, una volta penetrate in noi, le idee devono essere nuovamente
conquistate, cioè tratte da ogni pensiero, da ogni percezione; ed allora soltanto
chiamansi astratte, e colle astrazioni compiesi poi il lavoro della
generalizzazione.
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