Capitolo
XIII
DELL'ERRORE
Il movimento
dell'errore è lo stesso movimento del pensiero, lo stesso procedere meccanico
che coordina le apparenze per escludere la contraddizione.
Il fenomeno
dell'errore dividesi in quattro fasi. Nella prima la rivelazione ci invade,
cattiva il nostro pensiero, che l'afferma e la percepisce; qui tutto è vero;
isolate ogni pensiero, l'errore scompare; circoscrivetevi alla percezione,
all'apparenza immediata; se anche la vostra percezione abbracciasse l'universo,
l'inganno sarebbe sempre impossibile.
Nella seconda
fase si procede a coordinare le apparenze come se fossero tutte immediate; si
giudica il passato, l'avvenire come se presenti; si arguiscono dal presente, e
l'errore s'insinua fatalmente nella concatenazione de' nostri pensieri, che
cessa di corrispondere alla realtà. Supponiamo negli astri una grandezza
tangibile, eguale alla loro grandezza visibile; ci inganniamo sulle distanze,
sulle dimensioni, sulle qualità, sulla durata; affermiamo ancora le cose quando
son già scomparse, ignoriamo quelle che vengono apparendo. Qui l'errore s'ignora,
la contraddizione non è sospettata come nella prima fase, ci crediamo nel vero,
supplendo alla percezione col trasportare il noto nell'ignoto,
Nella terza
fase vediamo apparire fenomeni nuovi o ignorati; la rivelazione ci apporta
nuovi dati; la torre che pareva rotonda appare quadrata, il nostro pensiero si
trova apertamente contraddetto. Questo è il momento del dubbio,
dell'incertezza; se durasse, rimarremmo nell'incertezza, accetteremmo la
contraddizione siccome un fatto; diremmo che la torre è rotonda e quadrata,
nella stessa guisa che accettiamo tutte le contraddizioni eterne della materia
molecolare ed organica.
Infine,
nell'ultima fase ci togliamo alla contraddizione con una congettura, con un
dato nuovo; l'errore vien confinato in un punto dello spazio o del nostro
proprio pensiero; la torre è tonda vista da lungi, quadrata vista da vicino; la
contraddizione scompare, il meccanismo trionfa, la verità vien conquistata.
Nessuna apparenza fu distrutta; l'ordine solo ha variato, perchè tutti gli elementi
dell'errore erano veri senza costituire la verità.
La cosa è
patente: la rivelazione imponsi a noi, essa è la verità, il nostro spirito la
sviluppa, l'errore s'insinua nel nostro pensiero; la rivelazione si estende, e
la contraddizione ci avvisa del nostro errore: da ultimo, la rivelazione si
estende di nuovo, e l'errore vien surrogato dalla verità. Così la terra appare
immobile, e lo è realmente per noi; il sole si leva, e crediamo al moto del
sole intorno alla terra; c'inganniamo. La natura, aggrandita dalla scienza,
rende dubbio il moto del sole nelle scuole dell'antichità; havvi
contraddizione: da ultimo, le scoperte dell'astronomia moderna confinano
l'apparenza del moto solare nella visione, e pongono il sole nel centro del
nostro sistema planetario; siam giunti al vero. Il movimento dell'errore
dipende tutto dalla rivelazione; non siamo mai liberi di non ingannarci; tutti
siamo necessariamente figli della nostra patria, del nostro incivilimento,
dell'epoca in cui viviamo; tanto era inevitabile nel medio-evo l'errore
dell'astrologia, quanto lo è in oggi il vero dell'astronomia.
Il
cambiamento, l'alterazione, ecco la prima causa de' nostri errori; non
accusiamo la rivelazione; essa è essenzialmente vera; non accusiamo le nostre
facoltà, sono tutte infallibili quanto la rivelazione; accusiamo solo il
variare degli oggetti. Nel momento in cui penso, la natura cambia, si áltera,
non è più quella delle mie ricordanze; invece d'essere da lei cattivato, voglio
cattivarla, renderla immobile, eternarla; quindi il mio pensiero invecchia
dinanzi alla eterna giovinezza di una natura sempre nuova. Dimandate a
chicchessia perchè si è ingannato; risponderà perchè credeva, pensava le cose
fossero disposte in quel modo; risponderà come il cavaliere il quale torna nel suo
castello risvegliandosi da un sonno di molt'anni: credevasi giovane, e si
accorge di esser vecchio; la sua fidanzata era fanciulla, ora è decrepita. La
natura ha cambiato. S'anca rimanesse immobile, il nostro pensiero la farebbe
variare: non può abbracciarla se non portandosi successivamente da un punto
all'altro, tessuto col filo delle Parche, cangiante come il velo di Maya, il
pensiero spargerebbe l'errore nel cielo stesso di Platone. In pari tempo ogni
sua affermazione si stabilisce eterna, e universale: diciamo che la neve è
bianca, non diciamo che sia bianca sulla terra, relativamente a noi; il nostro
dire è sempre semplice, dictum simpliciter, non mai relativamente, secundum
quod. Tale è la formula dell'errore. Io rendo eterno ogni pensiero, lo fo
essere puramente e semplicemente: come il cavaliere della leggenda, credo al
perdurare di una cosa che cambia, e lo credo naturalmente, perchè l'essere è
meccanico, logico; per l'essere, quanto appare deve rimanere. Io universalizzo
ogni pensiero perchè lo stabilisco puramente e semplicemente: imito il pastore
il quale estima dalle sue mandre la ricchezza dei re, e lo imito naturalmente,
perchè l'essere e universale, se non vien limitato, se non è interamente
cattivato dalla natura. Ma l'essere, quest'idea che giunge la prima nel mio
pensiero, non può venire interamente padroneggiata; non havvi termine alcuno
concepibile che possa adeguarla o pareggiarla. In noi e fuori di noi, principio
primo dell'identità, dell'equazione e del sillogismo, contiene tutti i fenomeni
reali, ma contiene anco il possibile, essendo impossibile di eguagliarlo e di
scoprire una natura che possa riempierlo. Parliamo come se l'affermazione fosse
una equazione tra l'essere e le cose affermate, mentre non fa che ravvicinare
due termini riuniti dalla natura; parliamo come se l'affermazione fosse
necessaria, mentre è contingente; come se l'affermazione fosse universale,
mentre è sempre relativa a noi. Di là l'errore che incomincia dove comincia la
dissidenza tra la logica e la natura, cioè nell'atto stesso del giudicare, che
la logica desidera matematico, e che la natura vuole arbitrario.
In qual modo
sopprimere il dissidio tra la logica e la natura? Possiamo combatterlo in due
modi: possiamo lottare cercando l'identità, l'eguaglianza, la deduzione tra i
due termini d'ogni giudizio; vi abbiam diritto, siamo autorizzati ad esigere
che ogni pensiero divenga logico e ragionevole: questa è la via più naturale,
ed essa conduce alla metafisica, e quindi all'assurdo. D'altra parte, possiamo
sforzarci di specializzare l'essere in tutti i minuti particolari della
creazione, quasi che sia dato agli stessi particolari di riempirlo, di
adeguarla, di equipararlo. Questa è la via dell'assurdo, e conduce alla
scienza: cercando d'esaurire l'infinito, di vederne tutte le possibili
manifestazioni, si esplora il creato, il rivelata in tutta la sua estensione.
|