Capitolo
XIV
UN SISTEMA ESSENDO DATO, TUTTI I SISTEMI
SONO POSSIBILI
Rettificato
l'errore, si giunge alla verità: che è dessa? un nuovo ordinamento de' nostri
pensieri suggerito dalla rivelazione che si estende; pel nuovo ordinamento
l'intelligenza non cede alla rettificazione se non formando un nuovo sistema
che reputa eterna e universale come il precedente. Così ogni sistema non è
distrutto se non dal sistema che gli succede; e l'intelligenza rimane sempre
sistematica in tutta la serie indefinita dei dogmi che può accettare ed
oltrepassare.
Per noi
l'errore sta sempre nel sistema rejetto, la verità nel sistema accettato; egli
è impossibile che si trovi altrove. Ne nasce una obbiezione: «Voi disperate del
vero, si dirà; chi ne assicura che il sistema al quale crediamo debba essere il
definitivo? qual'è il criterio, qual è il criterio, quale la malleveria che ci
protegga contro l'alterazione? Dinanzi a noi la serie de' sistemi futuri si
apre vasta quanto l'infinito. Finchè una nuova scoperta sarà passibile, sarà
possibile un nuovo sistema; finchè sarà dato all'alterazione di manifestarsi
nel mondo della natura, un'alterazione intellettuale dovrà corrisponderle nel
mondo della riflessione; finchè l'intelligenza non avrà la visione immediata
della totalità degli esseri resi permanenti, nuovi sistemi potranno sempre
sorgere dalle regioni dell'ignoto per rappresentare una realtà per lo avanti
ignorata. Come dunque fidarci d'un sistema oggi abbracciata e forse dimani
respinto? Non sappiamo nemmeno se la serie de' sistemi sia progressiva, siamo
in balia delle case. Il fanciullo impara ma il vecchio dimentica; gli esseri
nascono, ma la morte li attende; la generazione e la corruzione si contendono
alternamente tutte le cose della natura; anche già pervenuti alla verità,
possiamo ripiombare nell'errore. La difesa contro l'errore potrebbe trovarsi
solo nell'equazione esatta tra la riflessione e la realtà; tra i pensieri e le
cose; qualora questa equazione fosse assicurata dall'altra equazione, in cui
l'universo adeguerebbe l'essere, in guisa che il possibile stesso perisse vinta
da ciò che è. Allora sì che l'alterazione sarebbe vinta nelle cose e nei
pensieri, in noi e fuori di noi. L'universo sarebbe eguale alla pienezza
dell'essere, la rivelazione sarebbe necessaria e logica quanto la logica
stessa. Ma in qual modo trovare l'equazione dell'essere colla totalità dei
fatti? Sarebbe 1'equazione dell'infinito colle cose finite, dell'infinitamente
grande coll'infinitamente piccolo; non potendola raggiungere, voi permettete di
supporla nel fatta, di seguirla nelle cose, quasichè fossero assolute. Quindi
la fallibilità nell'uomo riappare necessaria: dinanzi all'avvenire la
rivelazione resta incerta, cessa; l'avvenire è vuoto. Quindi le due idee del
falso e del vero si ripresentano sole, divengono i due termini di un dilemma, e
i motivi della scelta ci mancano. L'avvenire, rivelatore sempre nuovo, ci
accuserà forse dell'errore? o sanzionerà, confermerà l'ordinamento attuale de'
nostri pensieri? L'ignoriamo. Tutto è passibile, tutto impossibile.»
Non ho dissimulata
l'obbiezione, essa contiene in sè la risposta: noi non possiamo vincere il
dubbio, non possiamo trovare un criterio del vero, non possiamo sciogliere
alcun dilemma critico; quando un dubbio ci arresta, non ci rimane altro se non
d'investigare se il dubbio sia critico o positivo. Lasciando a chi vuole la
cura di sciogliere il dubbio critico, pretendiamo di evitarlo, di sottrarvici,
come lice quando si dà un'apparenza positiva a un ragionamento critico. Qual'è
dunque l'accusa che vien mossa? traducesi nella sola frase: la vostra verità
non è vera, perchè variabile, perchè dimani sarà falsa, perchè anche dimani
direte vero relativamente ad oggi, ciò che dimani dichiarate falso, perché
dichiarate vero nell'antichità il paganesimo oggi da voi detto erroneo. Or
bene, traduciamo la traduzione in parole scientifiche; l'accusa si ridurrà ad
accusarci di ammettere il variare della natura, il fallire dell'uomo. Non havvi
risposta; il vero e il falso, la fallibilità e l'infallibilità sono termini
che, messi alle prese, generano una contraddizione astratta, senza uscita
veruna; nel fatto non ci toccano, non ci commovono: l'insetto vive credendo
eterna l'estate, noi viviamo come se fosse eterno l'ambiente in cui siamo. Nè
havvi filosofo o teologo che valga a fermare l'alterarsi delle cose, il fallire
dell'uomo. L'obbiezione esposta è una mera ribellione della logica; deve essere
compressa, soggiogata dalla rivelazione. In presenza della realtà, non dobbiamo
trattare del possibile e dell'impossibile; il sistema attuale è figlio della
rivelazione; accettato, divien vero di quella verità relativa che trascina seco
i filosofi e i popoli, scansando così tutti i dilemmi del vero e del falso. Nel
fatto, non basta a dire al Musulmano che può ingannarsi, che è fallibile, che
la religione di Maometto può cambiare; bisogna dimostrare con ragioni positive
che vive ingannato, che il suo profeta ha mentito, che il suo culto è
combattuto dalla natura. Anche quando un sommo pontefice vuole l'infallibilità
accusando d'errore tutti i viventi, non si vale della logica astratta: non
lotta contro il dilemma del vero e del falso; ma si giova di un titolo che
trova nella parola di Dio, nei prodigi, nei profeti, in una rivelazione
speciale che gli largisce il privilegio di una grandezza unica sulla terra.
Oppongonsi sempre fatti a fatti, principj a principj, e nel corso della vita non
s'invoca mai la sola logica; il creditore può ingannarsi, il credito può essere
vero o falso, ma il titolo decide, il dilemma è sciolto dalle cose; gli oratori
di un'assemblea possono essere tutti nel vero o nel falso, ma non si
confuterebbero mai accusandosi reciprocamente di essere fallibili: voglionsi
ragioni positive, motivi reali che governino la discussione, senza mai
lasciarla in balia dell'astratto.
La
metafisica, promettendo di più, riesce a nulla; credendosi assoluta, mente a sè
stessa; apportando vuote astrazioni nella vita per dominarne il corso, rimane
vittima delle antinomie, e non si sa più distinguere il bene dal male, il sì
dal no. Egli è sotto quest'aspetto che il movimento dei sistemi filosofici e
religiosi riducesi all'alternarsi del possibile e dell'impossibile, ai due
momenti di una stravaganza senza limite, e di una demolizione senza termine.
Qui ogni filosofo che s'impadronisce dell'alterazione può rendere inviolabile
la propria follìa: dato che cosa alcuna possa uscire dal nulla, che havvi
d'impossibile? In pari tempo, lo stesso filosofo, combattendo gli altri
sistemi, dichiara che tutto è impossibile, perchè l'alterazione ritorce i loro
sistemi contro le tre forme dell'identità, dell'equazione e del sillogismo. No;
se i sistemi dei filosofi hanno avuto una missione, un senso istorico, se sono
stati sistemi, se hanno signoreggiata la ragione degli uomini, se l'impulso dei
più antichi è giunto fino a noi, non è perchè uscissero dall'inane moto del
possibile e dell'impossibile. È perchè, mentre falsificavano la rivelazione,
l'accettavano; mentre credevano momentanee le contraddizioni eterne, cercavano
di scioglierle con nuovi fatti indagati nel seno della natura; mentre pensavano
d'incatenare la natura tutta intiera alle loro scoperte positive, le scoperte
stesse s'aggiungevano alla tradizione dello scibile, e positivamente
trasformandola rinnovavano la società.
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