Capitolo
XVIII
I POPOLI E L'UMANITÀ
La seconda
antitesi opposta dalla logica al sistema sociale, vien tratta dall'umanità. Noi
diciamo che uno è il sistema sociale, e la logica ce lo mostra vario nelle
cento religioni che captivano i diversi popoli, quasi fossero esseri di diversa
natura: per noi il sistema sociale si svolge autonomo, armonico, e la logica ci
mostra le influenze d'un popolo sull'altro, tali che in pochi anni il buddismo
o il cristianesimo possono a caso distruggere l'incivilimento del popolo più
antico: per noi ogni società s'avvia verso l'umanità, e la logica ci oppone la
guerra di tutti i popoli, universale; in guisa che, nel fatto, ogni popolo è
nemico dell'umanità. Queste antinomie possono tutte tradursi nell'antinomia tra
l'idea del vero, una per essenza, e le varietà delle opinioni, molteplici
quanto gli individui.
La
metafisica, che vuol transire colle astrattezze dai popoli all'umanità,
complica i due termini colle antinomie de' criterj, nè trova uscita alcuna. La
rivelazione scioglie il dilemma col fatto.
La diversità
delle religioni non rappresenta se non la diversità dei momenti istorici del sistema
sociale; ogni culto non e se non l'una delle fasi delta serie de' sistemi; ogni
culto è in moto verso un culto superiore, per giungere alla religione
dell'umanità. Non havvi religione stazionaria, non culto che possa persistere
nel suo isolamento; la rivelazione e la ragione vietano ad ogni popolo di
sostare nella via che conduce all'umanità. Il più barbaro dogma non deve
difendersi? non trovasi assalito dalle religioni che lo circondano? esse
coll'esistenza loro lo accusano; il conflitto divien necessario; poi,
svolgendosi la rivelazione, smente il dogma, lo condanna a rettificarsi, a
mutarsi, a cessare di essere quello che è, a cambiarsi in un nuovo dogma. Il
cristianesimo non si ordinava combattendo i sacerdoti del paganesimo e la
scuola di Alessandria? non profittava della rivelazione naturale per negare gli
oracoli e i miracoli della mitologia?
La guerra tra
le religioni non turba il procedimento delle diverse religioni, nessun caso può
turbare il corso del sistema sociale; nessun individuo, nessuna invenzione; lo
spettacolo stesso della civiltà perfettissima non vale a precipitare d'un punto
le nostre deduzioni. Esse possono essere precipitate, ritardate net tempo
istorico; ma nel tempo ideale, la serie deve essere regolare, il tre non può
precedere il due; Watt non può precedere Augusto, o lo precede inutilmente. Del
resto, la guerra si fonda sulla convinzione che uno è il vero, che dobbiamo
cedere alla verità; suppone che in ogni pagano havvi un cristiano in potenza,
che in ogni cristiano havvi un uomo riserbato al dogma dell'umanità. Il
risultato della guerra è il trionfo assoluto di un sistema, o un trionfo
limitato che concede ai diversi culti una data regione, un numero di genti
proporzionato alle sue forze esperimentate.
Quindi la
terra, il clima sono dominati dalle religioni, ch'essi non dominano; sono
conquistati dal pensiero, ch'essi non conquistano; sono i confini, le fortezze,
la materia naturale dei diversi dogmi ch'essi non creano, e da cui, al
contrario, sono creati confini, fortezze, mezzi di attacco o di difesa. Nella
barbarie, ogni religione sembra figlia della terra, radicata nel suolo,
immedesimata coi luoghi, colle circostanze di un popolo, e tale che non può
essere adottata da altre genti, non può emigrare senza svanire. In fondo, la
religione barbara e locale, perchè dinanzi ad essa la località e il mondo
intero, l'assoluto de' metafisici: quest'assoluto potrà poi ingrandire
all'infinito. La religione barbara deve fissare gli uomini alla terra,
incivilire il suolo, stabilire la società sulla sua base: una volta compita la
sua opera prima, la religione diventa mobile, si stacca dalla terra, non ha più
patria, non focolari domestici, si fa cosmopolita: il globo perlustrato, le
arti, le invenzioni, i lavori delle diverse regioni, avvicinati, scambiati, son
materia di principj che non possono più capire in un confine determinato.
Concludiamo
che una è la storia ideale, eterna, nella quale corrono nel tempo le storie
particolari di tutte le nazioni; che questa storia conduce all'umanità da tutti
i punti della terra, che la diversità dei culti esce dalle sue epoche, non dal
clima, non per isolare, ma per associare tutti i viventi. Vico, il primo a
pronunziare la parola di storia ideale, s'ingannava nel determinarne le epoche;
nè ad altri sarà questa opera agevole: - la storia ideale deve procedere
astratta, le è interdetto di pronunziare i nomi degli uomini e delle cose; - si
svolge a traverso momenti ideali, con uomini ideali, con vittorie ideali; - non
può toccare la terra senza cadere in particolarità, senza mancare al suo
carattere di scienza; - non vedo come si potrebbe determinare un Cristo ideale,
un Maometto ideale, un Confucio eterno, che siano formola e tipo degli uomini
particolari che attuano i diversi momenti de' rispettivi sistemi; - non vedo
come questa scienza, involta nelle nubi della nostra ignoranza, possa essere
riscontrata nella storia positiva, in cui le similarità de' popoli restano
quasi frammenti di scheletri sconosciuti, che la mancanza di un'anatomia
comparata non concede di giudicare. - Pure la storia ideale esiste; tutta
quanta la storia positiva ne porta le traccie; le similarità si moltiplicano ad
ogni tratto, quasi altrettanti echi di una stessa parola, caduta nel tempo; i
momenti si schierano succedanei nelle diverse regioni: e benchè oscuri, tutti
proclamano falso che le religioni escano dal suolo, falso che le influenze
reciproche delle nazioni violino il sistema sociale, falso che ogni popolo sia
nemico dell'umanità.
A traverso il
variare dei dogmi, la verità progredisce sempre verificata con motivi reali,
non mai dai criterj astratti, che trascorrerebbero oltre il dilemma del vero e
del falso senza risolverlo, ed anzi complicandolo con altri dilemmi.
|