Capitolo XX
DELLA FATALITÀ NELLA STORIA DEL GENERE
UMANO
La fatalità è
l'ultima antitesi che la logica oppone al sistema sociale. Il sistema sociale
conduce ogni popolo verso l'umanità; la fatalità tiene in sua balìa tutte le
circostanze che dispongono dell'umanità stessa. La fatalità è nel mare, che
separa i continenti; nella terra, che rifiuta di nudrire i popoli; nel clima,
che li uccide; nella razza, in cui gli istinti trovansi alterati, ammortiti o
esaltati. La fatalità riappare nei diluvj, nelle carestie, nelle pesti,
soprattutto nella guerra, che devasta le nazioni incivilite e le rende preda
de' barbari. Da ultimo, la fatalità si ritrova dovunque, nella morte immatura
di un eroe, in una battaglia perduta, negli accidenti che ritardano una
scoperta, e brevemente, nei mille ostacoli che attraversano i destini
dell'uomo. Mentre siamo condotti all'umanità dalla potenza provvidenziale delle
idee, la fatalità ci contrasta tutti i progressi, separa le società, le
condanna a trascinarsi sul solco sanguinoso delle rivoluzioni: essa sacrificava
Atene, Roma; isola la China, perpetua la più profonda ostilità tra le diversi
parti del globo. Chi trionferà? la provvidenza delle idee o la fatalità
esterna? l'associazione o la dissociazione? Invano ci sforzeremmo di sciogliere
il dilemma con ragioni astratte. Non possiamo dominare a priori l'origine
stessa della rivelazione per dimandarle perchè ha imposto al benessere la
condizione del lavoro, al riposo la condizione del moto, alla scienza quella
dell'ignoranza, ad ogni invenzione quella del bisogno. Dappertutto il dolore
presentasi come condizione del progresso; il genio del male che celebra il
trionfo del bene, è la fatalità che si offre come condizione della provvidenza.
La divisione e l'associazione si contendono tutti i popoli e tutte le fasi del
sistema sociale.
La metafisica
tenta di sciogliere il dilemma e di trovare un termine per cui la provvidenza
della ragione umana e la totalità delle cose esterne siano identificate. Quindi
cercasi l'unità nella storia universale, la si sottopone ad un disegno
unico; s'imagina che un popolo modifichi gli altri popoli con un ainfluenza
ragionata quanto quella reciproca degli individui che vivono in una stessa
società. Questo pensiero fu suggerito alla metafisica dalla religione. Col dare
un sol Dio all'universo il monoteismo dava necessariamente un signore unico
alla natura, un sol monarca a tutti i popoli, i cui destini venivano imaginati
quasi altrettantio episodi della grand'epopea dell'umanità. Secondo tale
concetto il dramma ha principio nel cielo, cade sulla terra, nel mezzo di accidenti
anticipatamente predisposti, poi si compie di nuovo nel cielo. Qui l'unità
della storia universale trovasi non nell'uomo, ma in Dio; Dio solo opera,
l'uomo è un istromento: qual è il pensiero, quale l'azione di Dio? Bisogna
indurlo da ciò che si vede sulla terra, dalla storia stessa di tutti i popoli:
che troviamo nella storia? Mancando i fatti, le religioni devono inventare il
disegno dell'universo consultando sé stesse: che potevano insegnare? I loro
propri dogmi mescolati di favole e di odii. L'India associava l'universo alla
storia delle sue divinità; il cristianesimo vedeva nel mondo antico un sol
popolo, gli Ebrei; un sol fatto, la redenzione di Cristo; poi non lasciava ai
popoli se non l'unica alternativa di accettare o di combattere la chiesa, di
accettare o di falsare la la fede. Così il cristianesimo vedeva la provvidenza
solo ne' suoi dogmi; trasformava il momento della storia ideale, che
rappresentam nella legge universale; malediceva tutto quanto oltrepassasse il
suo momento, disconosceva il passato che avevalo generato; e finiva per
disconoscere la forza provvidenziale che risiede nella rivelazione naturale, in
cui dato un principio, l'uomo può giungere all'umanità. Lungi dal dominare la
fatalità, il cristianesimo la esagerava di mille doppi; ed ora il cristianesimo
in decadenza, dovrebbe confondere col fato il suo Dio, impotente contro
l'inferno che prevale.
Il primo atto
della metafisica fu di accettare l'unità cristiana, sottomettendo i mortali
all'unità dei cieli per l'influenza degli astri sulla terra. L'equazione
iperbolica non reggeva al primo sguardo della ragione: poi non affermava la
correlazione del sistema sociale col corso delle cose; limitavasi ad affermare l'unità di una stessa legge nella ragione
dell'uomo e nelle cose della natura: la legge tenevasi mezzo provvidenziale,
mezzo fatale: passava circolarmente dalla vita alla morte; la teoria, invece di
sciogliere il dilemma, lo asseriva, poi lo traduceva nell'antitesi della
generazione o della corruzione. Dopo il risorgimento, si diede ragione al fato
contro la provvidenza delle idee, quasi si volesse giungere all'unità
affermando l'unità dei disordine. Descartes abbandona la storia al caso; in sua
sentenza il filosofo deve sdegnarla; essa si sottrae ad ogni dimostrazione.
Bacone vede la storia interrotta da deserti, da ruine; le arti
sole sembrangli animate da un soffio di vita; egli scansa il caos delle
religioni per cercare nell'avvenire l'associazione universale dell'industria.
Nel secolo decimottavo chiedesi giustizia alla natura, rivendicansi i diritti
dell'uomo; convien pure mostrare che la natura accorda giustizia; per afferrare
l'unità della storia universale, Herder fu ridotto a cercarla nella storia
fisica dei globo. Giusta Herder, il globo è in progresso, le creazioni
inferiori servono alle creazioni superiori; l'uomo, posto tra l'angelo e
l'animale, è l'essere intermediario che collega due mondi; deve lasciare la
terra per passare in una regione superiore. Qui l'unità è fallita in cielo e in
terra: in cielo, perchè non havvi scienza dei cielo; in terra, perchè la storia
della natura e quella delle umane idee rimangono distinte, malgrado tutti gli
sforzi di Herder. Fossero pur vere tutte le ipotesi di Herder sul progresso
della natura, fosse pur dimostrata l'impossibilità di intervertirle; che
importa l'unità mondiale, se io non vedo svolgersi ad essa correlativa la
storia degli uomini? E dov'è per Herder la storia dell'uomo, voglio dire delle
idee? in nessun luogo: mai non afferra il succedersi meccanico dei dogmi;
quindi egli lascia i popoli distinti, quindi per lui ogni civiltà si compenetra
colla terra che la produce, quindi non sospetta unità alcuna tra le varie
civiltà, non bevvi passaggio dall'una all'altra. quindi la dissociazione
trionfa; quindi perder, volendo tentare l'unificazione del mondo colla ragione
dell'uomo, non vide che la ragione del mondo da lui affermata, sopprimeva la
ragione dell'uomo; e, lungi dall'avviarsi all'associazione universale, dava le
redini dell'umanità al fato.
Hegel esaurì
le forze della metafisica per raggiungere lo scopo prefisso da Herder di
identificare l'unità delle leggi mondiali colla legge che guida ogni uomo nel
seno dell'umanità. Respinse il deismo qual termine medio, insipido e vieto,
troppo al disotto del problema: il termine medio da lui concetto fu l'identità
delle leggi della natura e delle leggi del pensiero, entrambi operanti con uno
stesso procedere. Secondo Hegel la natura viene generata dall'idea dell'essere,
che, spinta di contrario in contrario dall'urto delle contraddizioni, forma
tutti gli esseri del creato, scintillanti d'antitesi sempre vinte: poi appare
l'uomo, nell'uomo l'idea generatrice della natura pensa la natura, la
riconosce; riconoscendola diventa la storia: la storia progredisce ad
imitazione della natura; spinta dalla forza della contraddizione, si sviluppa
dall'Oriente all'America, sopra un disegno unico, pieno d'antitesi espugnate;
cioè di guerre e di ruine, d'onde emerge il progresso. L'umanità si associa e
si perfeziona afferrando l'identità dell'essere e del pensare, dei principio
operante della natura e del principio pensante dell'uomo.
Così presso
Hegel la ragione mondiale e la ragione umana sono identiche; le due nature sono
una stessa .natura; lo spirito che crea i mondi e quello che li
conosce sono identici; la differenza tra il fato delle cose e la provvidenza
delle idee sembra scomparsa. Non è mio pensiero d'analizzare la filosofia della
storia di Hegel, e credo inutile di ripetere qui la critica che esposi altrove2.
Solo m'importa il notare che la nuova conciliazione del fato colla provvidenza
delle idee riposa tutta sul processo della natura, sulla sua legge, supposta la
stessa di quella del pensiero, di più supposta con un procedere che emerge sempre
dalla conciliazione de'contrari.
Ora la
conciliazione di Hegel si fonda precedentemente sulle contraddizioni della
natura, le suppone vinte, oltrepassate, e non lo sono mai. Lungi dall'essere
una conciliazione, la sostanza complica il dilemma del fato e della ragione con
tutti i di lemmi e con tutte le contraddizioni del creato. Il risultato poi
dell'hegelianismo dimostra che la conciliazione proposta non è se non la stessa
contraddizione, che riappare sotto una forma insolita e nuova. Per Hegel, uno è
il procedere della natura, uno il procedere della storia; dunque la storia
universale è una, le diverse civiltà dell'Asia, della Grecia, di Roma,
dell'Europa trovansi predisposte a priori dal procedere della natura
nella costituzione fisica dell'Asia, della Grecia, dell'Italia, dell'Europa:
dunque ogni evento istorico trovasi preparato ne' suoi accidenti materiali cd
esterni dal fato: dunque tutta la natura pensante dell'uomo svolgesi su di un
terreno prestabilito e predisposto dalla natura fisica inconscia del suo
essere. Qual'è la conseguenza necessaria di tale premessa? È l'accettazione
della storia universale positiva, come il vero, il reale processo della
provvidenza delle idee umane. Dunque accettati tutti gli accidenti della
natura, tutte le catastrofi puramente esterne come altrettante necessità
intellettuali; dunque separati i diversi momenti del pensiero, non idealmente,
ma materialmente,e considerati come altrettanti prodotti di una terra, di un
clima, di una razza, perchè le civiltà sono distinte dal fato che si vuol
provvidenza; dunque ignorate le vere transizioni sistematiche colle quali si
passa di sistema in sistema senza uscire da ogni società, ed anzi alla
condizione di non uscirne, perché fuori dei confini d'ogni società costituita
non havvi se non il fato; la provvidenza scompare. Da ultimo, la storia ideale
viene sacrificata al caso della storia positiva; il germe dell'umanità vien
calpestato di proposito deliberato, ovunque vedesi una ruina, un disastro; ogni
catastrofe viene disprezzata come se meritata dal popolo che la soffre; e la
umanità viene negata, perchè la si abbandona al caso, alla preoccupazione
insensata che il caso è umano.
Le diverse
teorie sulla storia universale non riescono, da ultimo, che a mostrare
l'impossibilità di signoreggiare il fato. Esse richiedono che sia nota la causa
della configurazione del globo, la ragione d'essere d'ogni continente, la
missione organica d'ogni animale, la parte sostenuta da ogni fenomeno fisico:
se havvi unità nella storia del mondo, tutti gli incontri saranno stati
predestinati, tutte le guerre saranno state necessarie, le invasioni
inevitabili; le conquiste, le vittorie, le sconfitte, ogni evento sarà uscito
dalla profondità della materia, predisposto da un Dio; e gli elementi, le nubi,
il sole, la natura tutta intera sarà complice di ogni opera che si attua nel
seno dell'umanità. I fiumi, la terra, avranno dovuto prevedere il corso della
rivelazione, la vita, la morte avranno dovuto animare e distruggere nell'ora
indicata dai principj tutti gli uomini che si sono mostrati nel dramma della
storia. Una sola eccezione basterebbe per rendere dubbia l'unità e per
distruggerla: non è lecito di imitare Hegel, che scansa artificiosamente i
popoli inutili, le razze senza missione, le regioni non istoriche; volendo
rispondere alla logica bisogna o spiegar tutto o lasciar tutto preda del fato;
non bevvi via di mezzo Ora, non è forse evidente che, per render ragione della
storia, fa d'uopo sostituirsi al dio dell'antica metafisica? non è chiaro che
nell'assunto hegeliano è mestieri conoscer tutto per sapere qualche cosa? Da
ultimo, non è patente che la prima condizione dell'unità della storia
universale sarebbe di dominare e di dimostrare logicamente quella rivelazione
naturale che deve, al contrario, dominare la ragione sotto pena di spingerci
nel mezzo di un assurdo senza limiti?
Lasciamo la
storia universale all'erudizione: essa è varia, fatale, esterna, dipendente da
mille dati tisici, da mille eventi politici. La causa e gli effetti, vi si
svolgono in modo, che il minimo e il più grande tra gli eventi stanno collegati
con vincoli indissolubili. Cesare suppone l'Egitto, la Grecia, le Gallie;
suppone Roma; esce da tutti gli accidenti che lo assalgono al suo nascere,
perisce con tutti i casi che determinano la sua morte. Se la mano di Bruto
trema, se Cesare prima di entrare nel senato ascolta un suo presentimento, se
una freccia lo colpisce al varco del Rubicone, tutti gli avvenimenti della
storia avrebbero mutato faccia, spostando ogni anello nella catena degli uomini
e delle cose da Cesare sino a noi. Secondo il Cristianesimo, l'unità della
storia dipende da due fatti arbitrari, la caduta di Adamo e la redenzione di
Cristo: secondo la storia positiva, il caso si rinnova in ogni fatto; e la
materia fluente, quest'Eva corruttrice della creazione, domina ogni cosa, ogni
pensiero: e altronde, lo sforzo redentore, egualmente arbitrario, si oppone
ogni istante alla caduta colla inconscia ragione della natura o colla conscia
ragione dell'uomo. L'erudizione segua dunque il cieco fato della storia; il
sistema sociale è un principio, una provvidenza assolutamente umana, una vera
guerra contro il fato.
Se havvi
unificazione possibile tra il fato e la provvidenza, l'unificazione sarà
nell'avvenire: quanto al passato, l'unità dell'umanità non è se non nella
storia ideale comune a tutte le nazioni. Ogni popolo vive solo a condizione di
rappresentare l'uno dei momenti della storia ideale: avanzi o retroceda,
deve rimanere sulla via eterna di tutti i popoli; lento o veloce, oscuro o
glorioso, non può uscirne: I bisogni sono gli stessi presso tutti i popoli,
ispirano le stesse azioni, spingono alla ricerca delle stesse arti, e la
curiosità trascina verso una stessa scienza. Se fuori di noi le apparenze sono
multiple, se il regno del caso non ha limiti, havvi in noi il dato primitivo
della nostra organizzazione; la quale determina l'ordinamento primitivo delle
apparenze, la prima fase sociale, e per essa tutte le fasi ulteriori. La nostra
organizzazione ci mostra prima il moto, poi l'immobilità del sole; ci mostra
gli astri prima come faci dei cielo, poi come altrettanti soli; la nostra
organizzazione ci sforza prima a nudrirci, poi a incivilirci; prima ad adorare
gli Dei, in seguito un solo Dio. Possiamo noi intervertire la storia delle
invenzioni? la scoperta di Watt può forse precedere l'arte di fondere il ferro!
No; il caso non regna sul pensiero, l'unità della nostra organizzazione
signoreggia la varietà delle apparenze; noi penetriamo a passi in mezzo al caos
della fatalità fisica, senza che la mobilità dello spettacolo esteriore álteri
il corso delle nostre idee. Lo stesso spettacolo dell'incivilimento, l'esempio
stesso dell'industria che si sviluppa, dell'agricoltura che feconda la terra,
della navigazione che domina i mari, della scienza che donnina tutto, è uno
spettacolo perduto per i popoli che non lo invocano col movimento spontaneo
delle loro idee. Ogni giorno non vediamo, non sentiamo noi che la più fervente
predicazione dei vero riesce inutile, irrita prima dell'ora prestabilita nella
storia ideale? La provvidenza istorica trovasi dunque nel pensiero, che
progredisce partendo dal dato della nostra organizzazione; trovasi uniforme
presso tutti gli uomini, presso tutti i popoli, in tutte le religioni; e ci
conduce tutti all'associazione universale, verso il sistema unico, in cui
l'ordinamento delle apparenze non potrà più variare, e in cui la rivelazione
naturale sarà riconosciuta nella sua pienezza.
L'associazione del genere umano poteva attuarsi collo sviluppo pacifico
di una stessa famiglia, che si sarebbe propagata senza dividersi, e sarebbe
rimasta sempre una nelle idee, nei sentimenti, nell'associazione: essa sarebbe
sempre stata l'umanità. Questo non era nei fati. La propagazione della specie
oltrepassò l'opera del pensiero, getta i popoli in balia delle circostanze
prima che l'arte potesse dominare la fatalità, che impadronivasi degli uomini e
facevali nemici gli uni agli altri. L'unità materiale fu infranta; ma l'unità
intellettuale che trovasi nel fondo d'ogni popolo, deve supplirla
nell'avvenire, domando la fatale ribellione delle cose per ricostituire
l'umanità. A priori quest'opera è possibile e impossibile, secondo che
noi la consideriamo sotto l'aspetto dei pensiero o della natura, del diventare
o dell'essere, della potenza o del fatto. Il dilemma che resta senza soluzione
sotto l'Impero della logica, si scioglie ogni giorno sotto l'impero della
rivelazione. Anche prima di toccare l'ultimo termine della serie, ne presagiamo
la soluzione provvidenziale in quella fraternità dei popoli che si riconoscono
fra di essi, nell'unità dei buddismo, dell'islamismo e del cristianesimo.
Benchè separati dai continenti prima di conoscere il dogma dell'umanità, noi lo
vediamo attuarsi col mezzo del commercio, che riunisce i popoli dispersi, col
mezzo dell'equilibrio politico, che abbraccia tutta la terra.
Fine del volume I
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