Capitolo
V
IL RITMO DELLA VITA
La vita si compone
di più istinti, governata da un'aritmetica misteriosa che li combina e li
trasforma, in forza di una legge incognita. Io chiamo ritmo della vita, la
misura primitiva e proporzionale che presiede alla combinazione de' nostri
istinti.
L'essenza
dell'uomo trovasi nel ritmo, e non nella ragione. La ragione si limita ad
affermare, a negare; non può spiegar nulla; non ha scopo, nulla vuole, nulla
cerca: se un dramma s'interrompe, non ne dimanda il seguito; se la
conversazione si ferma, non ne cerca la conclusione. Per la ragione tutte le
proposizioni hanno lo stesso valore, o piuttosto non hanno valore alcuno. La
vita sola apprezza, dà un valore alle cose, e pertanto il ritmo della vita dà
solo un senso al dramma, alla commedia, al discorso: ne dimanda la fine, la
conclusione, respingendo la leggerezza, la frivolezza, la stravaganza come vizi
che falsano i valori. L'intelligenza non regna dunque sulla vita; al contrario,
la vita si serve dell'intelligenza; essa determina lo scopo, l'interesse che si
vuol raggiungere, e l'intelligenza obbedisce, subordina i mezzi allo scopo,
attua le nostre intenzioni nel mondo in una maniera meccanica. La ragione
dev'essere serva dell'istinto. Se i miei desiderj cessassero, a che la mia
ragione?
Siamo adunque
mezzo ispirati e mezzo automi. Siamo ispirati per l'istinto, per la vita; siamo
automi per la ragione che la vita domina onde attuarsi meccanicamente nel
mondo. Il doppio fenomeno della ispirazione e del meccanismo trovasi
dappertutto. L'amante è ispirato quando ama, e diventa intelligente e meccanico
per raggiungere lo scopo dell'amore; l'ispirazione del coraggio sorge da un
mistero vitale, ma nell'attuarsi rende ragione de' suoi atti. La presenza di
spirito è istantanea, ma la sua azione è ragionata e positiva; l'improvvisare
trasporta l'oratore, ma egli non persuade che col mezzo delle prove, e la sua
ispirazione si traduce in dimostrazione per quelli che la seguono. Il carattere
degli uomini, eroico od egoista, grande o vile, tenero o feroce, vien
costituito a priori dall'armonia occulta degli istinti; pure nell'azione
diventa automatico, voglio dire intelligente. Il contegno, il discernimento, la
fermezza, tutto l'uomo esteriore viene governato dall'uomo interiore: la
ragione è governata dall'istinto; noi non siamo ragionevoli se non perchè le
nostre passioni trovansi imprigionate nei nostri organi, e i nostri organi nel
mondo. La vita diventa intelligente, perchè deve diventare meccanica.
Non è la ragione, è
il ritmo della vita che distingue l'uomo dall'animale. Non considerate voi se
non le facoltà della ragione? Le differenze più essenziali tra l'uomo e
l'animale scompaiono. La ragione percepisce gli oggetti: rifiuterete voi la
percezione agli animali? direte che la rondine non percepisce il suo nido? La
ragione si fonda sulla memoria: rifiuterete voi la memoria al cavallo che vi
guida traverso i labirinti delle mine quando avete dimenticato tutte le uscite?
La ragione contiene la facoltà di giudicare: ardirete voi di negarla alle
bestie? Esse percepiscono, dunque giudicano; esse esitano, dunque deliberano:
esse decidonsi, dunque ragionano. Per intenderle, per indovinarle noi dobbiamo
indurre, dedurre, dimandarci ciò che faremmo noi stessi se posti nella loro
condizione: in qual modo rifiutar loro la facoltà di ragionare? Neppure le idee
correlative ai generi mancano agli animali: essi le hanno perchè percepiscono,
perchè giudicano, si fondano sull'esperienza, e bisogna accordar loro tutte le
condizioni dell'esperienza, lo spazio, il tempo, la sostanza, la causa, l'ente,
tutte le nozioni che i razionalisti credono riservate all'uomo. Hannovi tra gli
animali le gerarchie, le pene, le ricompense; e bisogna cadere nella più
profonda ignoranza della natura, nel più crasso idiotismo della scienza per
contestar loro la nozione della giustizia, mentre li vediamo intenti alla
educazione della prole, e mentre noi stessi li ammaestriamo colle pene e colle
ricompense.
L'uomo non è
distinto adunque dall'animale se non dal ritmo della vita, dal sistema generale
de' suoi istinti, dal valore esclusivamente umano che dà agli oggetti. Se la
tigre avesse le passioni, gli istinti, le tendenze dell'uomo, tra essa e noi vi
sarebbe solo la differenza della forma, della forza, dell'agilità; le sue
cognizioni sarebbero le nostre cognizioni, perchè la ragione, isolatamente
presa, nella tigre opera come nell'uomo.
Nel fatto,
malgrado l'immensa diversità degli ingegni, tutte le facoltà che si chiamavano
razionali sono le stesse in tutti gli uomini. Il giudizio è il medesimo in
Ulisse e in Tersite, il ragionamento parimente il medesimo in Aristotele e
nell'ultimo dei sofisti; se trattasi di verificare un'addizione, una divisione,
una moltiplica, Newton non è superiore ad alcun maestro di scuola. Ciò che
differisce tra gli animali si è la forza istintiva dell'ispirazione; quindi la
varietà delle diverse attrazioni che le cose esercitano sopra di noi; quindi la
diversa intensità dell'attenzione; e per l'impulso di questi dati primitivi
differiscono poi le abitudini, l'educazione e l'istruzione, e tutte le facoltà
acquisite.
Istessamente
la ragione dell'animale è simile a quella dell'uomo, viene posseduta o non
posseduta, le sue operazioni non ammettono alcuna gradazione, bisogna
accordarle o negarle. Voi percepite o non percepite, non havvi mezzo; se
l'animale percepisce, percepisce come voi; se conosce il tempo, lo spazio, i
generi, li conosce come voi; se giudica, se ragiona, ha la vostra ragione;
s'egli è logico, ha la vostra logica. Quindi è razionale quanto voi; automa
quanto voi; egli è vostro eguale, e partecipa all'eguaglianza assoluta di tutti
gli esseri ragionevoli.
La differenza
tra l'istinto dell'animale e il ritmo dell'uomo consiste in ciò, che il primo è
limitato, preciso, infallibile: la precisione dell'istinto fissa in un modo
invariabile il valore d'ogni oggetto per ogni animale, per cui la vita
presentasi qual problema matematico istantaneamente risolto. Nell'uomo, al
contrario, l'istinto rimane indeciso, si muta, si attua lentamente; e ammette
una vastissima latitudine nella determinazione dei valori. Il ritmo presentasi
quasi una quantità che domina più qualità diverse, vale a dire più sistemi di
vizi e di virtù.
Se la ragione
è serva del ritmo, se deve obbedire all'istinto, se deve attuarlo senza mai
dominarlo, se per la ragione Tersite non differisce da Ulisse, nè l'animale
dall'uomo, a che riducesi il vantato regno della ragione? Si riduce ad una
chimera della metafisica, che prende le contraddizioni della vita quali
problemi solubili. Per iscioglierli deve stabilire un principio, identificarsi
con un dato bene, e creare un'arte di vivere astratta, in cui tutto vien
dedotto da una unica volontà, quasi che gli uomini fossero tutti eguali nelle
tendenze, negli istinti, nelle vocazioni; quasi che si possa transire
logicamente da un bene all'altro bene, da una passione alle altre passioni. Il
regno dell'astratta ragione è il regno dell'impossibile; nessuno vi può vivere;
la pianta uomo non vi può germogliare, perchè la logica insulta alla nostra
natura, e vi trascura l'immensa varietà degli istinti onde emerge l'umanità.
Come seguire gli stoici o i cinici? Antistene o Platone? La metafisica in
azione ha messo i filosofi in conflitto coll'umanità.
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