Capitolo
VI
L'ASPETTATIVA DELL'UOMO
Il ritmo della vita spiega il destino dell'uomo,
nella stessa guisa che l'istinto spiega quello dell'animale. I cristiani si
domandavano d'onde veniamo? qual'è la nostra missione? qual'è il nostro fine?
Rinunciamo al linguaggio dell'antica legge; sono sparite le colonne di fuoco
che ci guidarono attraverso al deserto. L'uomo è il solo Dio dell'uomo, e
questo Dio risiede nella nostra vita: se non sapessimo qual deve essere la
nostra azione, chi potrebbe dirlo? Non abbisogna alcuna voce soprannaturale per
insegnarci che i frutti della terra debbono nutrirci, che il braccio è
l'istrumento del lavoro, che la donna ci chiama all'opera dell'amore; i valori
ci attraggono, s'insignoriscono di noi e il loro sistema è il sistema del
nostro destino.
Per
un'ipotesi primitiva ed inesplicabile il ritmo della vita suppone che
l'universo corrisponda all'aspettativa dell'uomo: la vita suppone che si può
vivere; tale è l'ipotesi generale dell'istinto in tutti gli animali. Ogni
animale vive; quasi fosse il re della natura, vuole assimilarla a sè,
assorbirla; se gli ostacoli non lo fermassero, la più misera specie, il più
meschino arbusto basterebbe per popolare la terra; a capo di qualche secolo un
olmo produrrebbe un volume uguale al volume del globo. La natura corrisponde
essa all'aspettativa dei viventi? No, non corrisponde più all'uomo, che
all'animale: tutti i destini sono ostili, contraddittorj, e la contraddizione è
sì vasta, che l'essere, il quale giunge a compiere il suo destino, è una vera
eccezione. Quasi tutti i viventi periscono nello stato di seme, di feto, al
primo nascere: la vita adulta è il premio di un combattimento, una vittoria
riportata su miriadi di vittime. L'uomo subisce la legge universale: credesi il
re della creazione, e di continuo soccombe; havvi una profonda contraddizione
tra l'aspettativa che si rivela nella vita ed il nostro destino quale si rivela
tra gli esseri. «Allorchè volgiamo il nostro sguardo», dice Giacomo Boehm,
«intorno a noi, al cielo, alla terra, alle stelle e agli elementi, non vediamo
alcuna via che possiamo riconoscere, e nella quale possiamo entrare per nostro
riposo.» Che fare? Bisogna vivere, tale è la suggestione della vita. La natura
protegga pure tutte le razze che ci sono ostili; noi dobbiamo combattere,
dobbiamo agire come se l'universo corrispondesse alla nostra aspettativa, come
se le stelle che splendono nel firmamento non avessero altra missione che
d'inviarci un raggio di luce durante la notte. Siamo sul nostro pianeta, come
l'equipaggio sulla nave; giungerà esso in porto? potrà attraversare l'oceano del
vuoto? Havvi un porto? I venti possono sommergere la nave, gli scogli possono
infrangerla; le malattie, la fame, il freddo possono mietere l'equipaggio; nel
fatto, i marinai muoiono, le vele sono squarciate, soventi le braccia mancano
al lavoro, qualche volta eccedono; non si conosce la nave, non fu bene
esplorata: per lungo tempo operavasi come se il porto fosse a qualche lega di
distanza, disprezzavansi gli istrumenti, il sartiame, i viveri ammassati nella
stiva. Ma conviene avanzare, il cielo vuole che si passi, uccide chi si ferma;
vieta il retrocedere. Bisogna operare come se vi fosse un porto, come se i
venti fossero destinati a condurci, come se le rupi, le sabbie, le correnti
fossero create a bella posta per tener desta l'attenzione dell'equipaggio. La
vita vuol che si viva.
Dimenticando
il ritmo e l'imperiosa aspettativa che lo anima, dimenticasi il primo principio
del destino, e solo scorgesi la contraddizione tra l'aspettativa dell'uomo e la
fatalità della natura. Ignorandosi la critica, la contraddizione diventa un
problema. Quindi la filosofia chinese si domanda se la natura è buona o
cattiva; la filosofia greca cerca se il mondo è governato dal caso o dalla
ragione; la filosofia moderna vuol sapere se la natura è fatta per l'uomo, o
l'uomo per la natura. Le grandi soluzioni della metafisica si riducono a tre.
La soluzione più
generalmente ammessa, quella di Socrate, suppone che l'universo sia veramente
fatto per l'uomo, e che la ragione dell'universo non sia se non la ragione
dell'uomo. Qual'è dunque la ragione dell'uomo? La ragione di Socrate non è
quella di Trasimaco; il pensiero di Seneca non è quello di Nerone. Per
mantenere l'unità della ragione umana, la metafisica deve dichiarare che
hannovi false ragioni, falsi uomini. Sia: la ragione del savio corrisponde
adunque a quella dell'universo: ma sorge un nuovo ostacolo. Nella natura tutto
si oppone al savio, gli elementi non lo rispettano; gli animali tendono ad uno
scopo ostile all'umanità; la natura si rivolta contro di noi: qual'è dunque la
ragione dell'universo? Dopo aver dichiarato che hannovi falsi uomini, la
metafisica deve dichiarare che havvi una falsa natura, di cui trionferemo.
Dov'è dunque la vera natura? Sfortunatamente trovasi fuori della natura, in Dio,
in cielo, nelle regioni delle favole, ovunque si vuole. Eccoci nel vuoto. La
metafisica non si sconforta dinanzi al vuoto; essa prende l'una dopo l'altra le
contraddizioni dei beni reali per proteggere il suo bene imaginario. Dimostrasi
che nei falsi uomini, nel mezzo di una falsa natura, godere è soffrire; che
dobbiamo sacrificare il contento per essere felici; dimostrasi che la ricchezza
è una servitù, che l'uomo veramente ricco deve essere povero. Nella ragione
staccata dalla vita, non havvi se non il vuoto, e siamo di viva forza
ricondotti al vuoto per tutte le vie: per la via di Platone, che ci promette la
felicità nell'idea astratta del bene; per la via di Zenone, che ci assicura la
felicità suprema separandoci da tutti i beni; per la via di Cristo, che ci
promette la felicità nella morte. Dopo di avere dimenticata la vita al punto di
partenza, la metafisica la rende impossibile per mezzo di tutte le equazioni
chieste alla ragione.
Havvi, in
secondo luogo, una metafisica terrestre che vuole compito nel mondo il nostro
destino, confidandolo alle nostre sensazioni, al nostro benessere, all'amor
proprio. Qui si considera solo un frammento della vita, quella parte che
trovasi materializzata fuori di noi, nella meccanica degli interessi positivi,
nei fenomeni esterni. La metafisica s'impegna a spiegare coll'equazione
dell'amor proprio il rimanente della vita, il nostro interno. Ma la parte non
può abbracciare il tutto, e finisce a negarlo. Si può riscontrare in Loke, in
Helvetius la dialettica della sensibilità, che riduce tutti i fenomeni della
vita all'egoismo meccanico, per essa la pietà diventa l'interesse personale, un
ritorno sopra noi stessi; l'amore della famiglia si trasforma nell'amore della
nostra persona; il coraggio si riduce ad una forma della viltà; la religione ad
una riunione accidentale di nozioni chimeriche: il genio ad una felice
compagine di sensazioni. La teoria delle sensazioni è una specie di atomismo, i
suoi atomi sono le sensazioni, gli interessi che si combinano, si separano e vanno
coordinandosi e disponendosi in noi stessi. Ne consegue in primo luogo, che i
vizi dell'atomismo si riproducono nella teoria della sensazione. L'atomismo
materiale non crea gli esseri, non rende ragione dell'unità del corpo
organizzato, trovasi in contraddizione colle qualità che appaiono, scompaiono e
si combinano secondo leggi opposte alla meccanica. L'atomismo psicologico della
sensazione non rende ragione del ritmo, della nostra unità, dell'armonia degli
istinti; non dà alcun senso al discorso, nè un andamento all'azione; esso
trovasi in contraddizione coi valori che si compongono e scompongono, secondo
un'aritmetica che viola l'aritmetica materiale. Voglio credere che la pietà sia
un interesse mascherato, che la religione sia una serie di nozioni climatiche,
che l'inquietudine, il disagio siano i soli nostri impulsi, che l'amor proprio
sia l'unico mobile dell'uomo. Rimane sempre che io sono uno nella mia felicità;
che sono uno nella simmetria sfuggevole della mia vita: un bene che violi
questa simmetria, non è un bene; essa non tollera addizioni grossolane, e se
viene alterata, perisce per intiero. Tale è la vita in tutti i momenti della
mia esistenza, in tutte le epoche della storia. Dunque l'equazione
dell'interesse disconosce il ritmo, lo nega, e finisce a mettersi in
contraddizione coll'io. In secondo luogo, i metafisici della sensibilità
nell'abbozzare l'arte di vivere sono addotti a riprodurre sotto nuova forma i
precetti dei razionalisti; essi parlano come se una ragione meccanica,
invariabile governasse l'universo, o come se la natura fosse una divinità; egli
è vero che si attengono a questo mondo, per essi non havvi nè una falsa natura,
nè un falso universo; non sostituiscono il vuoto all'essere, il cielo alla
terra. Pure non riescono nell'intento, e sono smentiti e ripulsi dalla natura.
Poichè, in ultima analisi, la natura non risponde all'aspettativa dell'uomo; se
vi risponde, spesso s'inganna; che fare? La teoria è positiva, materiale; ed
essendo affatto meccanica, termina tutta nel meccanismo: se il meccanismo
fallisce, bisogna sostituire all'aspettativa il disinganno, alla speranza la
disperazione, al coraggio la viltà, al ritmo della vita una scempia igiene per
la conservazione della nostra salute. Il ritmo guerriero, militante, che invoca
la solidarietà umana, viene compiutamente disconosciuto. Quindi la filosofia
inutile alla vita; quindi gli ardenti apostoli della libertà trasformati da una
disfatta in misantropi inetti; quindi il magnanimo entusiasmo surrogato poi da
un duro disprezzo per l'umanità, il quale dovrebbe pur essere riservato a
coloro che confidano la causa del vero ad un evento, e non al principio stesso
della vita. Il dí della sconfitta cadono in terra, non havvi più il fatto
meccanico esterno che li sostiene; il generale, il liberatore, l'imperatore in
cui confidavamo, è sparito: e dopo d'aver proclamata la natura benefica,
finiscono a proclamarla ostile, e si lasciano vincere dal fato del loro proprio
egoismo.
La terza
soluzione metafisica dell'antinomia tra l'uomo e la natura fu data dai mistici:
benchè sia la più assurda, pure cerca la vita là dove si trova I mistici
intendono che la logica non può penetrare il secreto della vita nè colla
ragione, nè colla sensazione; essi abbandonano il razionalismo ed il
materialismo alle contraddizioni eterne della critica; secondo essi, la vita
sta nella fede, nei miracoli del cuore, nei trasporti dell'estasi. Al certo è
la vita della vita: però i mistici sono metafisici, devono stabilire un
principio primo, devono subordinargli in qualche modo tutte le apparenze e
bisogna così che un'apparenza regni su tutte le altre. Di là una serie
indefinita d'errori. La fede, l'estasi, i rapimenti interiori, dacchè vengono
assunti a principj primi, devono mostrarsi esteriormente; i mistici s'arrogano
dunque di parlare di quanto è ineffabile. Non potendo adunque render palpabile
la fede, il rapimento interiore, in altri termini, non potendo descrivere
direttamente il ritmo, ci espongono una data fede, un amore, una vita tutta
reale, identificata con un sistema meccanico, con una religione di formule. La
loro fede è cattolica o musulmana; la loro estasi è cristiana o buddista. Per
una conseguenza naturale presentano il loro proprio sistema mistico qual regola
dell'universo; gli angeli e gli arcangeli devono collaborare colle stelle e
cogli animali, perchè l'aspettativa del credente non sia delusa. Tutto deve
essere subordinato alla fede del credente: dunque se hannovi popoli aderenti ad
altri sistemi, saranno falsi popoli; se havvi una parte della natura in
contraddizione colla fede, sarà una falsa natura: se la fede richiede miracoli,
i cieli devono aprirsi, la natura deve cedere all'istinto del credente; essa è
il velo attraverso al quale il credente intravede un universo, che obbedisce
alla sua aspettativa. Il misticismo viene avversato? Allora diventa scettico,
dimostra che tutto è falso, che tutto è contraddittorio, e s'arma della logica
per negare i fatti incontestabili. Gli si dimandano dimostrazioni? Il suo
principio è prefisso; è vitale, generatore, implica la possibilità d'ogni
prodigio. Ne nasce che il mistico si vale dell'esperienza per oltrepassarla, si
giova dell'osservazione per negarla; non vive mai nella natura; vive come se
fosse in un altro mondo. Enumera le foglie dei fiori, gli organi degli animali
per penetrare il numero misterioso della genesi delle cose; come Giacomo Boehm
cadrà in estasi dinanzi ad una pentola di stagno per decifrare nell'incanto
della lucidità metallica il principio di una trasformazione cosmica; dunque il
fatto non sarà mai fatto, ma indizio di un altro fatto; la realtà non sarà mai
realtà, ma un segno del possibile. Il vero sarà dunque nel possibile, sarà
fuori della natura, estravagante quanto il vero de' razionalisti: la
felicità chiesta ad indizi fugaci e capricciosi sarà assurda quanto il
benessere del materialismo. Tale è il procedere di Giacomo Boehm, di Roberto
Fludd, di Carlo Fourier; tale è sempre stata la metafisica della vita nella
equazione fantastica del misticismo.
Ho indicato i
caratteri delle tre grandi teorie metafisiche della vita. Le teorie
intermediarie rappresentano la complicazione degli stessi vizi.
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