Capitolo
IX
LA MOBILITÀ PROGRESSIVA DELLA VITA
Il movimento che
conduce da un sistema meccanico ad altro sistema meccanico rimane sempre
meccanico e lo abbiamo spiegato colla teoria dell'errore. Ma la transizione da
un sistema mistico ad un altro sistema mistico, correlativa alla transizione
meccanica, rimane sempre vitale.
Noi non
vogliamo cambiare: ma la natura inganna la nostra volontà. Il nostro scopo non
è se non di conservare e di estendere i nostri principj, la nostra religione;
ma qual'è il risultato del nostro operare? Si è di modificare gli esseri, di
cambiare il mezzo nel quale viviamo: coll'opera nostra noi trasformiamo il
mondo, lo facciamo una seconda volta. Quindi se le cose risvegliano in noi
l'ispirazione, se l'ispirazione è sempre correlativa alle cose, col mutarsi
dele cose l'ispirazione della vita deve mutarsi, i nuovi fenomeni devono
destare in noi nuovi sentimenti, una vita nuova. L'uomo incendia le foreste,
dissoda la terra, non pensa che a nudrirsi, e la terra coltivata gli dà nuovi
bisogni: essa lo toglie alla vita nomade. La specie si moltiplica, vengono
costruite le città, e dal seno delle città sorgono nuove passioni. Noi ci diamo
al commercio, alla navigazione, all'industria, cercando un benefizio immediato
previamente estimato col sistema dei valori determinati: ma dal seno
dell'industria e delle arti nuovi sentimenti si destano e ci spingono a nuove
imprese. Così i valori si alterano, le idee invecchiano; prima di esser
sospettate di falso, pérdono ogni vezzo; la vita le abbandona, la fede vien
meno, la nuova vita comincia, e il nuovo sistema meccanico è conseguenza della
nuova ispirazione. L'ispirazione precede sempre l'invenzione.
L'avvenire non vien
mai previsto dagli uomini retrogradi, e nemmeno da quelli del progresso. I
primi non vedono la rivoluzione se non quando trionfa; prima giocano col fuoco,
qualche volta sono essi stessi rivoluzionari, s'ingannano ed è giustizia. Se
non fossero ingannati avrebbero forse perdonata la vita ad Aristotele, a
Platone, a Voltaire, a Rousseau? La rivoluzione sarebbe stata spenta al suo
nascere; nessuna considerazione di pietà, di pudore raffrena l'egoismo
dell'uomo che si difende. Mirate i signori della società, guardate non le loro
azioni, non le leggi che impongono, non le stragi che decretano quando
combattono, guardate il loro cuore quando, inconsci dell'avvenire, si credono
mecenati e protettori degli uomini nuovi. Essi amano la nuova vita quasi un
trastullo frivolo e infecondo che potranno a piacimento interrompere come una
commedia, ve ne ha che sostengono una parte nella commedia stessa: scrivono
libri di filosofia; il travestimento è ameno, ma non áltera i valori: il re
rimane re, il suddito resta plebe; e ben s'intende che la verità rimanga
impotente, non pesi sulla bilancia del destino. Poi, sorpresi dalle
rivoluzioni, gettano la maschera; maledicono la verità che avevano predicata e
non avevano intesa.
Gli stessi
novatori, gli uomini del progresso non indovinano la società che sorge dal loro
impulso. Si scorrano Aristotele, Platone, Machiavelli, Montesquieu, non un di
loro che indovini l'avvenire; i più temerari nell'utopia non sospettano i più
splendidi tra i fatti imminenti. I filosofi dell'antichità non prevedono la
disparizione della schiavitù, nè l'istituzione della chiesa: i primi cristiani
attendevano la distruzione del mondo e la risurrezione dei corpi. I filosofi
del decimottavo secolo non aspettano la rivoluzione, scrivono come se la
monarchia fosse inconcussa, come se la servitù delle colonie americane dovesse
durate in eterno. Una sola frase di Voltaire annuncia che la nuova generazione
sarà spettatrice d'un beau tapage; una sola frase di Rousseau annuncia
che le monarchie non potranno durare. Il dono della profezia ci fu negato; la
Sibilla non deve intendere i propri oracoli; Mosè non deve toccare la terra
promessa; gli Ebrei sono condannati a non riconoscere il Messia. Tale è il fatto.
D'onde la
nostra imprevidenza? Dall'impossibilità di prevedere le conseguenze meccaniche
d'un'ispirazione che noi non abbiamo, d'un sistema mistico ancora nel suo
nascere. Se il progresso fosse interamente meccanico, coi dati del momento
attuale si potrebbe tracciare il disegno dell'avvenire; c'inganneremmo sui
particolari, sui casi, sugli accidenti, sulle catastrofi fortuite; e intanto la
scienza potrebbe precorrere al complesso degli eventi futuri. Ma l'avvenire
sorge da una vita sconosciuta, da un'ispirazione che non si può antivedere e
che ignorasi compiutamente. Io voglio vedere l'America, e argomento la mia vita
in America da quella che conduco a Parigi, partendo dalla mia volontà attuale;
e necessariamente m'inganno, perchè nel mezzo di una nuova società avrò i
bisogni, le passioni, i piaceri, la tristezza, in breve un ritmo mistico che
ora mi è interamente sconosciuto. Platone prevede l'avvenire colle idee
ispirate da' suoi sentimenti; se gli elementi della vita non avessero cambiato,
sarebbe stato profeta; ma gli elementi si trasformavano; egli sapeva come si
governavano gli Ateniesi, ignorava la vita del mondo romano, nè poteva
squarciare il denso velo che gli celava il futuro.
Spesso gli
uomini nuovi combattono i loro propri discepoli, condannano le conseguenze de'
loro principi; per avanzare bisogna rovesciarli; perocchè non sanno staccarsi
dalla loro propria vita; in essi l'uomo antico non è spento, e si rifiuta a
seguire i principi della vita nuova. Chi sa? Forse Platone avrebbe rinnegato i
suoi discepoli; sarebbe agevole dimostrare che il Cristo avrebbe maledetto la
chiesa. Non è a caso che il sentimento generale di tutti gli uomini impone di
rispettare i sepolcri.
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