Capitolo
XII
LA POESIA DELLE RELIGIONI
Prima che vi
siano i drammi e i poemi, la stessa religione è un dramma ed un poema. Nel
formarsi essa non cerca il bello, ma la verità, non tende che alla felicità, è
opera della ragione. Pure, ogni atto della ragione vien suggerito
dall'ispirazione della vita; la religione è nel tempo stesso un sistema mistico
e un sistema meccanico: il secondo, creato dal primo, lo desta di continuo, ne
è il segno, l'effetto, e attende, per così dire, l'istante di rivelarsi a noi
come una vera epopea.
La religione
svela la sua poesia quando non è più un mezzo di salute, nè una verità, nè un
interesse: quando trovasi ridotta ad una favola, ad un errore del passato;
quando ha cessato di essere la religione. Finchè la religione sussiste, la
poesia è velata, i personaggi della leggenda sono veri personaggi; si adorano,
si temono, e loro si dimandano i beni della terra e del cielo. Quando
combattiamo una religione siamo ancora preoccupati dalla verità o
dall'interesse, ci fondiamo sui fatti; confutando i dogmi, cerchiamo la realtà.
La religione è dessa abbattuta? Allora i suoi dogmi sono errori, i suoi Dei più
non ispirano amore, nè timore, il suo cielo tramonta, infranto è il suo sistema
meccanico, e all'istante medesimo il sistema mistico, che vi era imprigionato,
splende rivelando la sua poesia naturale. Così la grandezza del cattolicesimo,
la poesia de' suoi dogmi, l'ingenua bellezza delle sue leggende, il fasto delle
sue cerimonie, in una parola, il misticismo cristiano, è inteso le mille volte
meglio oggidì, che non lo fosse nel medio-evo. Per noi i sistemi della China,
dell'India, della Grecia, non sono se non vuote rappresentazioni; furono
concetti nello scopo unico della verità, furono costrutti nell'interesse di un
popolo; eppure oggi, che riduconsi a meri errori, offrono per noi lo spettacolo
della più splendida poesia.
Anche i
sistemi filosofici, come quelli di Platone e di Aristotele, fatta astrazione
dalla verità e dalla filosofia stessa, ci palesano una bellezza, la quale è la
rivelazione del sistema mistico da essi meccanicamente espresso. V'ha in essi
un contesto di teorie, un atteggiamento di idee, un sì ammirabile congegno di
cose, che contemplandoli proviamo un sentimento analogo a quello che ispira
l'architettura di un tempio greco, o di una gotica cattedrale. La poesia de'
filosofi si mostra inferiore a quella della religione, solo perchè la vita di
una scuola è meno forte della vita di un popolo.
La seduzione
che offre la storia e lo studio dell'antichità deriva dal sistema mistico e dal
ritmo della vita, in cui scorgiamo la bellezza della poesia naturale quale si è
rivelata nelle società antiche. Che c'importano i Greci e i Romani? perchè
aggirarsi nel labirinto del medio-evo? I barbari nulla possono apprenderci, i
savi della antichità sono superati, l'archeologia limitasi a pascere una
curiosità infeconda, la numismatica è una dotta puerilità. Sarebbe agevole il
distruggere ad uno ad uno tutti gli studi storici; la scuola cartesiana ha già
sfoggiato tutti gli argomenti della critica sdegnosa che disprezza la
filologia. A malgrado di tutto, la storia è più forte della critica; ci svela
il sistema mistico dei tempi antichi, la poesia naturale delle società greche,
romane, orientali e barbare; e noi raccogliamo con una specie di estasi
religiosa, tutte le ricordanze e tutti gli oggetti che portano le traccie della
vita.
Hannovi
epoche nude d'ogni poesia, tempi prosaici, in cui l'uomo è assorto dagli
interessi materiali? Hannovi età critiche in cui la riflessione prevale sul
sentimento fino a inaridire tutti gli istinti della poesia? Così si afferma e
furono divise tutte le civiltà in due periodi, l'uno organico, l'altro critico.
Nel primo, fu detto, le religioni si formano, le credenze si fortificano, la
società s'organizza più forte degli individui, l'ispirazione uniforme trascina
le moltitudini si vive sotto il regno della poesia. Nelle epoche critiche la
fede vien meno, i dogmi sono assaliti, atterrati, gli uomini si isolano, la
incredulità dissolve la poesia, l'egoismo distrugge la società.
Non havvi
epoca alcuna in cui la poesia possa perire. Nel pensiero i sistemi si succedono
senza interruzione; sono le idee che distruggono le idee, sono i dogmi che
succedono ai dogmi; nel cuore il movimento è analogo, benchè distinto; la fede
succede alla fede, un nuovo sistema mistico succede al sistema mistico che
svanisce. Non havvi sistema mistico senza sistema meccanico, come non v'ha
sistema meccanico senza sistema mistico; l'ispirazione naturale e il pensiero
sono sempre contemporanei; ogni epoca è bella se siamo spettatori
disinteressati della sua bellezza.
I filosofi
che hanno divisa la storia in periodi poetici e in periodi critici, cedevano ad
un'illusione assai strana; supponevano che i fondatori delle religioni per noi
poetiche fossero veramente poeti; imaginavano che quei riti, per noi spogli di
ragione, fossero dettati dalla fantasia. Gli inventori delle religioni erano
uomini positivi, per essi l'inventar un Dio era un problema severo quanto i
problemi dei nostri astronomi; essi cercavano la verità, e non la poesia, erano
soggiogati dallo stesso sistema che sviluppavano; potevasi dire di essi come
de' nostri metafisici, fingunt simulque credunt. Il loro secolo dinanzi
ad essi era prosaico; la loro religione era una scienza; essi divennero poeti
per noi nel giorno in cui l'opera è morta. La nostra epoca subirà la stessa
sorte. Noi ci crediamo positivi, prosaici, non possiamo celebrarci col verso,
il poeta odia il dare e l'avere, il carbon fossile e la cotoneria; chiediamo ai
nostri trovati la verità e la felicità, crediamo che ce le arrechino: è forse
ragionevole di chieder loro in pari tempo una poesia? Non aneliamo al momento
in cui la nostra società si svelerà poetica; l'apoteosi non giunge se non dopo
la morte.
La poesia dei
veri poeti, lungi dall'apparire nelle epoche che chiamansi poetiche, appare
assai tardi, non dirò nelle epoche critiche, che non esistono, ma quando la
religione ha oltrepassato il suo meriggio. Allora il sistema mistico è
completo, la musica è scritta; l'arpa che il poeta deve toccare è temprata. La
fede si scema, è permesso di dar la parola agli Dei senza profanarli; il sole
del bello comincia a spuntare, si può intendere il canto del cigno. Virgilio
celebra Roma che declina, il sistema romano lascia indurre la poesia di una grandezza
che può perire; il cristianesimo è imminente: è tempo di celebrare gli Dei di
Anchise, più tardi non sarebbe più tempo. Istessamente i contemporanei di
Carlomagno non scrivono le epopee cavalleresche; le epoche che cominciano
quando il feudalismo decade.
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