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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE TERZA   LA RIVELAZIONE MORALE
      • Capitolo I   IL SACRIFIZIO
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SEZIONE TERZA

 

LA RIVELAZIONE MORALE

 

 

Capitolo I

 

IL SACRIFIZIO

 

La rivelazione della vita segue la rivelazione delle cose; alla volta sua la rivelazione morale segue quella della vita. Nella stessa guisa che gli esseri destano in noi la vita, la vita desta in noi un sentimento che ci spinge a sacrificarci. All'interesse dell'amore corrisponde la devozione dell'amore; all'egoismo della famiglia sono correlative le virtù della famiglia; dacchè noi desideriamo un valore, sorge in noi un sentimento d'abnegazione contrapposto ad esso valore.

Io non parlo qui del giusto, dell'ingiusto; voglio verificare il fenomeno dell'ascetismo che segue il fenomeno della vita egoista. Ogni qualvolta due popoli si combattono, il sangue è sempre versato dalla legge del sacrifizio; sul campo di battaglia l'ingiustizia dell'aggressore è disinteressata quanto la giustizia dell'assalito. Istessamente nel seno della società il disinteresse anima ogni lotta interiore; il patriziato più iniquo trova uomini che lo difendono, eroi pronti al martirio per la causa dell'iniquità. Scegliamo un altro esempio; il potere regio costituisce un interesse mostruoso, confida la società ad un sol uomo. Per ciò solo che il potere regio è un interesse, esso impegna il re, fosse pur tiranno, ai maggiori sacrifizi. Signore dello Stato, il re si crederà personalmente insultato da ogni aggressione contro lo Stato; il minimo disordine lo moverà a sdegno come un'ingiuria, e se non è l'ultimo dei vili, sarà pronto a combattere. Capo di una famiglia, esaurirà tutti gli espedienti dell'astuzia e della forza per conservare il trono ai figli; ed ogni sforzo per conservare, per estendere il potere, ogni suo delitto sarà suggerito dall'antitesi dell'abnegazione. Eminentemente egoista, potrà esso diventare l'uomo più eroico del regno.

Lo stesso Ergastolo ha le sue virtù, hannovi gli interessi del delitto, il suo governo; l'infamia vi trova rispetto, vi assume le parti della gloria e il più gran malfattore vien doverosamente obbedito. Su che fondasi codesto suo ascendente? Sulla potenza del vizio, sull'eroismo dell'iniquità, il quale risplende egualmente nei ladroni, negli sgherri, nei pirati; ispirava un tempo le gesta de' filibustieri, e dappertutto i masnadieri raggiungono qualche volta il sublime del coraggio e della fedeltà nell'atto stesso che violano le leggi della giustizia e dell'onore.

Non è possibile sottrarsi alla legge del sacrifizio. L'uomo è naturalmente guerriero; il pericolo lo attrae, lo trascina nei tornei, nei duelli, nelle spedizioni avventurose, lontane, impossibili. Se mancano le avventure, si cerca la lotta nella politica, nel commercio, nel giuoco. Lo ripeto, egli è impossibile l'essere assolutamente egoista o assolutamente vile. Perchè alcuno supporti l'ingiuria e tenda la guancia allo schiaffo, gli abbisogna il precetto di una religione che promette un premio infinito. La stessa religione non basta per fermare l'impeto della rivelazione morale. Il credente bestemmia, quasi compiacendosi di sfidare il suo Dio. I negromanti del medio-evo arrischiavano l'anima per evocare le potenze dell'inferno; migliaia di fanatici affrontavano i terrori del cattolicesimo per darsi in braccio alla magia, tracannavano misteriose bevande per andare in treGgenda colle fate. In una parola, ogni credente sarebbe assolutamente impeccabile se fosse consigliato dal solo egoismo; ma egli è agitato dalle furie dell'amore, della collera, dell'invidia, della gelosia; queste forze lo chiamano alla lotta, gli impongono la guerra e possono sospingerlo fino a combattere l'Eterno.

Abbiamo trovato la rivelazione morale nel fondo della poesia della vita; l'arte ne offre il riflesso. Lo spettacolo del sacrifizio ci affascina: quindi il popolo cerca avidamente scene di sangue, chiede il combattimento de' gladiatori, accorre ai tornei; se manca la spontaneità del combattere, vuol assistere ai supplizi; se mancano vittime viventi, legge le storie, i viaggi, le leggende, i poemi; ed è coll'evocare la legge del sacrifizio che si sviluppa la poesia. Essa tormenta eroi imaginari, li sospinge tra pericoli fantastici per isvelare di continuo la potenza ascetica, che li applaude dal fondo dell'anima. Ed ecco Patroclo trafitto da Ettore; Ettore trascinato da Achille sotto le mura di Troia; Macbeth che si precipita di delitto in delitto per sostenere l'insanguinata corona. Si tolga il combattimento, si rimova il pericolo, la poesia non può manifestarsi, la bellezza rimane vaga ed incerta, ridotta a mero spettacolo. Si sostituisca al coraggio la viltà, al sacrifizio l'egoismo; l'interesse si divida dal disinteresse che fatalmente lo segue, vedremo apparire innanzi a noi esseri fantastici, falsi, impossibili. Vedremo il Falstaff di Shakespeare, il Bobo del dramma spagnuolo; Pulcinella, Arlecchino; le piacevolezze della commedia o le stravaganze della farsa; in una parola, vedremo la follìa ed il ridicolo. Ora che è la follìa? E una infermità della vita. Che è il ridicolo? E il primo effetto di questo morbo; chi sopprime il sacrifizio, sopprime l'uomo stesso. Havvi adunque una rivelazione morale che segue il vizio come la virtù, l'infamia come la gloria; disinteressata, essa è la materia prima dei diritti e dei doveri.

 

 




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