SEZIONE TERZA
LA RIVELAZIONE MORALE
Capitolo
I
IL SACRIFIZIO
La
rivelazione della vita segue la rivelazione delle cose; alla volta sua la
rivelazione morale segue quella della vita. Nella stessa guisa che gli esseri
destano in noi la vita, la vita desta in noi un sentimento che ci spinge a
sacrificarci. All'interesse dell'amore corrisponde la devozione dell'amore;
all'egoismo della famiglia sono correlative le virtù della famiglia; dacchè noi
desideriamo un valore, sorge in noi un sentimento d'abnegazione contrapposto ad
esso valore.
Io non parlo
qui del giusto, nè dell'ingiusto; voglio verificare il fenomeno dell'ascetismo
che segue il fenomeno della vita egoista. Ogni qualvolta due popoli si
combattono, il sangue è sempre versato dalla legge del sacrifizio; sul campo di
battaglia l'ingiustizia dell'aggressore è disinteressata quanto la giustizia
dell'assalito. Istessamente nel seno della società il disinteresse anima ogni
lotta interiore; il patriziato più iniquo trova uomini che lo difendono, eroi
pronti al martirio per la causa dell'iniquità. Scegliamo un altro esempio; il
potere regio costituisce un interesse mostruoso, confida la società ad un sol
uomo. Per ciò solo che il potere regio è un interesse, esso impegna il re,
fosse pur tiranno, ai maggiori sacrifizi. Signore dello Stato, il re si crederà
personalmente insultato da ogni aggressione contro lo Stato; il minimo
disordine lo moverà a sdegno come un'ingiuria, e se non è l'ultimo dei vili,
sarà pronto a combattere. Capo di una famiglia, esaurirà tutti gli espedienti
dell'astuzia e della forza per conservare il trono ai figli; ed ogni sforzo per
conservare, per estendere il potere, ogni suo delitto sarà suggerito
dall'antitesi dell'abnegazione. Eminentemente egoista, potrà esso diventare
l'uomo più eroico del regno.
Lo stesso
Ergastolo ha le sue virtù, là hannovi gli interessi del delitto, il suo
governo; l'infamia vi trova rispetto, vi assume le parti della gloria e il più
gran malfattore vien doverosamente obbedito. Su che fondasi codesto suo
ascendente? Sulla potenza del vizio, sull'eroismo dell'iniquità, il quale
risplende egualmente nei ladroni, negli sgherri, nei pirati; ispirava un tempo
le gesta de' filibustieri, e dappertutto i masnadieri raggiungono qualche volta
il sublime del coraggio e della fedeltà nell'atto stesso che violano le leggi
della giustizia e dell'onore.
Non è possibile
sottrarsi alla legge del sacrifizio. L'uomo è naturalmente guerriero; il
pericolo lo attrae, lo trascina nei tornei, nei duelli, nelle spedizioni
avventurose, lontane, impossibili. Se mancano le avventure, si cerca la lotta
nella politica, nel commercio, nel giuoco. Lo ripeto, egli è impossibile l'essere
assolutamente egoista o assolutamente vile. Perchè alcuno supporti l'ingiuria e
tenda la guancia allo schiaffo, gli abbisogna il precetto di una religione che
promette un premio infinito. La stessa religione non basta per fermare l'impeto
della rivelazione morale. Il credente bestemmia, quasi compiacendosi di sfidare
il suo Dio. I negromanti del medio-evo arrischiavano l'anima per evocare le
potenze dell'inferno; migliaia di fanatici affrontavano i terrori del
cattolicesimo per darsi in braccio alla magia, tracannavano misteriose bevande
per andare in treGgenda colle fate. In una parola, ogni credente sarebbe
assolutamente impeccabile se fosse consigliato dal solo egoismo; ma egli è
agitato dalle furie dell'amore, della collera, dell'invidia, della gelosia;
queste forze lo chiamano alla lotta, gli impongono la guerra e possono
sospingerlo fino a combattere l'Eterno.
Abbiamo
trovato la rivelazione morale nel fondo della poesia della vita; l'arte ne
offre il riflesso. Lo spettacolo del sacrifizio ci affascina: quindi il popolo
cerca avidamente scene di sangue, chiede il combattimento de' gladiatori,
accorre ai tornei; se manca la spontaneità del combattere, vuol assistere ai
supplizi; se mancano vittime viventi, legge le storie, i viaggi, le leggende, i
poemi; ed è coll'evocare la legge del sacrifizio che si sviluppa la poesia.
Essa tormenta eroi imaginari, li sospinge tra pericoli fantastici per isvelare
di continuo la potenza ascetica, che li applaude dal fondo dell'anima. Ed ecco
Patroclo trafitto da Ettore; Ettore trascinato da Achille sotto le mura di
Troia; Macbeth che si precipita di delitto in delitto per sostenere
l'insanguinata corona. Si tolga il combattimento, si rimova il pericolo, la
poesia non può manifestarsi, la bellezza rimane vaga ed incerta, ridotta a mero
spettacolo. Si sostituisca al coraggio la viltà, al sacrifizio l'egoismo;
l'interesse si divida dal disinteresse che fatalmente lo segue, vedremo
apparire innanzi a noi esseri fantastici, falsi, impossibili. Vedremo il
Falstaff di Shakespeare, il Bobo del dramma spagnuolo; Pulcinella, Arlecchino;
le piacevolezze della commedia o le stravaganze della farsa; in una parola,
vedremo la follìa ed il ridicolo. Ora che è la follìa? E una infermità della
vita. Che è il ridicolo? E il primo effetto di questo morbo; chi sopprime il
sacrifizio, sopprime l'uomo stesso. Havvi adunque una rivelazione morale che
segue il vizio come la virtù, l'infamia come la gloria; disinteressata, essa è
la materia prima dei diritti e dei doveri.
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