Capitolo II
PRINCIPIO DELL'OBBLIGAZIONE
Siamo noi
tenuti ad accettare la rivelazione morale? dobbiamo noi sacrificarci alla
tendenza, forse ingannevole, che si oppone ai nostri interessi? Dobbiamo
obbedirle, essa, ci obbliga, ci signoreggia; se le resistiamo, ci opprime, ci
grida spregevoli e ridicoli, per sottoporci, quasi essere degeneri, agli uomini
che accettano il suo impero. La rivelazione morale dunque ha tutta l'autorità
di un fatto primitivo, sui generis. Io non posso dire perchè mi obblighi,
come non posso dire perchè esistano gli esseri, le forze, i fenomeni; ma la
sento indivisibile dalla legge che regge l'egoismo; e qualunque sia la sua
forma, non posso scinderla dal mio interesse senza fremere di dolore, senza
essere costretto a fuggire lo sguardo degli uomini; e se voglio sfidarlo,
deggio fare uno sforzo che mi pesa più della stessa onestà.
Qualche volta
la rivelazione morale scompare, l'abitudine del delitto spegne il rimorso. Si
dirà che, identificando il primo principio del dovere colla rivelazione morale,
il dovere sarà soppresso quando la rivelazione stessa scompare. Ciò non può
negarsi; e nessun ragionamento, nessuna teoria, nessun dogma potrà mai
surrogarsi alla coscienza. Non havvi sillogismo per far intendere l'abnegazione
a chi non la sente; non havvi metodo per insegnare la virtù; il cristianesimo
confessa che non può rivolgersi all'uomo morto alla grazia; per noi l'uomo
morto all'umanità vedrà sempre nella virtù un'atto di follìa. Che fare dinanzi
a colui che non accetta alcuna legge? È forza difender noi stessi, togliergli
le sue vittime e incatenarlo. Dacchè non possiamo sostituirci alla rivelazione
morale, ci resta solo di soggiogarla colla forza materiale. Del resto, l'uomo
assolutamente morto alla morale è una mera ipotesi.
Fu dimandato
se il principio che obbliga è in noi o fuori di noi: fuggiamo questa indagine
di una logica cavillosa e ribelle. Fuori di noi il principio che obbliga
sarebbe straniero e impotente: in noi sarebbe a livello del nostro egoismo, e
potendo obbligarci da noi stessi, potremmo da noi stessi assolverci. La
rivelazione morale non è in noi, nè fuori di noi e in pari tempo è dovunque;
discende dalle regioni dell'impossibile, pure esiste, ci domina dalla culla, ci
segue fino alla morte, e sorge dal fondo di ogni interesse. Vogliamo noi
negarla? Lo stesso ragionamento che la distrugge, distrugge la nostra esistenza
e l'esistenza dell'universo. Poco importa adunque che nelle regioni
dell'intelligenza morale si contraddica; poco importa che i mille dilemmi dello
scetticismo signoreggino il vizio e la virtù per sostituire di continuo
l'ingiustizia alla giustizia. Questa è una fatalità trascendente o una pratica
puerilità: può togliere senza pericolo la distinzione del bene e del male;
senza deturparci, può distruggere il vizio e la virtù, perchè annichila gli
oggetti del vizio e della virtù. Se legittima l'omicidio, in pari tempo lo
rende impossibile, perchè annienta la vittima minacciata.
Il principio
del dovere, quale si manifesta nella rivelazione morale, riunisce tutti i
caratteri di un principio primo. È essenziale alla morale, è semplice,
evidente, universale, superiore a tutto; non dipende da una dottrina; s'impone
egualmente all'uomo del popolo ed allo scienziato. Noi sentiamo tutti che la
virtù non s'insegna, e la rivelazione morale è l'insegnamento della natura;
sentiamo che la scienza non è necessaria alla virtù, che l'eroe può ignorare la
formola scientifica del principio obbligante; e nel fatto la rivelazione morale
si palesa al momento dell'azione senza bisogno d'interpreti e di logici.
L'intelligenza non può spiegare l'obbligo se non con similitudini meccaniche
suggerite dall'idea di subordinare i mezzi allo scopo; in queste similitudini
l'essenza stessa del dovere svanisce, si identifica con un interesse, e quando
lo scopo non può esser raggiunto, dispensaci dal metter mano ai mezzi. Perchè
sfidare la morte in un inutile combattimento? Ma la rivelazione ci addita
imperiosamente lo scopo; e poco le cale che sia possibile o impossibile di raggiungerlo;
bisogna combattere, nè si può retrocedere; è mestieri esser giusto qualunque
sia l'evento.
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