Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText
Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE TERZA   LA RIVELAZIONE MORALE
      • Capitolo IV   L'UTILE DETERMINA IL DOVERE
Precedente - Successivo

Clicca qui per nascondere i link alle concordanze

Capitolo IV

 

L'UTILE DETERMINA IL DOVERE

 

 

La rivelazione morale si manifesta egualmente nella giustizia, e nell'ingiustizia trovasi egualmente nella società e sulle galere: il cinismo si sacrifica quanto il pudore; l'uomo che si vendica, s'immola alla sua opera; il vizio può essere libero, meritorio quanto la virtù. Cesare Borgia ha il suo punto d'onore quanto Washington, Erostrato è più disinteressato di Napoleone, don Giovanni, che non paventa l'inferno, è più eroico di sant'Agostino, che conta sul paradiso. Fin qui l'obbligazione e le tre condizioni della libertà, del merito e della sanzione, riduconsi a una maniera d'orgoglio o di dignità che ci impongono di conservare la nostra volontà, di persistere nel nostro interesse, a dispetto della morte. Dopo verificata la rivelazione morale ci rimane di determinare il dovere: qual'è adunque il principio che vincola l'animo nostro alle formole della giustizia? Il vincolo dell'utile.

Nessuno ci contesterà che, soppresso l'utile, svanisce ogni dovere. Il delitto scompare quando non nuoce ad alcuno, anche la virtù scompare quando non serve a nulla. Quali sono le più grandi scelleraggini? Le più nocive, quelle che recano maggior danno alla società,! Quali sono le più grandi virtù? Le più utili, le più profittevoli all'umanità. Esageriamo il sacrifizio, prodighiamolo negli atti più indifferenti, cadremo nel fanatismo de' devoti, negli scrupoli de' dementi, nella pazzia. Se fossimo tutti fisicamente insensibili e moralmente invulnerabili, saremmo sciolti da ogni dovere, e non avremmo alcun diritto. Così la legge del sacrificio è provocata dall'interesse, si sviluppa coll'interesse, e cessa quando cessa l'interesse: come dunque misurare la giustizia, se non coll'utile? L'utile è l'antitesi della giustizia, e in pari tempo è il solo termine che possa misurare la tesi naturale del giusto; nella stessa guisa, che le tenebre misurano la luce, la malattia misura la salute, gli oggetti immobili misurano il moto.

Si dirà: «L'interesse è capriccioso, non può imporre alcun precetto; libero nella scelta del piacere e del dolore, in qual modo potrebbe vincolarsi ad un dovere? Ora l'interesse perdona, ora si vendica: ora ama, ora odia: determina i doveri? potrà determinare due doveri contradditorii, due morali che si escludono a vicenda?» No; l'interesse non è capriccioso; ma fatalmente prestabilito della natura. Noi non siamo i signori del mondo, non siamo gli inventori della nostra organizzazione: la natura ci forma, ci domina; dispensa il piacere ed il dolore, la letizia e la tristezza: è la natura che spinge l'uomo alla famiglia, la famiglia alla società; che crea l'industria, il commercio, i mille bisogni de' popoli inciviliti. Dunque l'interesse è fatale, più forte della ragione, più potente della volontà: e il fato dell'interesse determina la serie dei doveri, e trasforma la dignità vaga e generale dell'orgoglio nella dignità della giustizia e nell'orgoglio della virtù. I pretesi capricci dell'interesse riduconsi ad un'ipotesi dialettica. Sotto l'aspetto delle astratte possibilità tutte le passioni possono intervertirsi; si può ondeggiare tra l'odio e l'amore; possiamo chiederci se conviene consolidare o sciogliere la società, soccorrere o perdere i nostri simili; dinanzi al possibile il male diventa bene, e il bene male. Dinanzi alla realtà le astratte possibilità scompaiono, le inversioni conducono alla pazzia, e la rivelazione morale segue lo sviluppo diretto degli istinti. Spetta dunque all'interesse naturale, e quindi generale, il misurare la giustizia.

Una nuova obbiezione si presenta. «Se la rivelazione morale segue passo passo il nostro interesse, essa varierà secondo gli interessi stessi: i principj della giustizia saranno mutabili come le circostanze, il clima, l'incivilimento; la virtù potrà diventare il vizio, e il delitto potrà essere rispettato come la virtù». È quanto succede; ma l'accusa non cade sopra di noi, cade sulla natura. Senza dubbio ogni ordine politico impone un ordine morale, ogni situazione determina i suoi doveri; havvi la guerra tra le religioni, tra le civiltà; la morale di Platone non è quella dell'evangelio, la legge di Cristo non è quella di Platone. Che dedurne? Che nessun uomo è tenuto ad essere superiore alla propria rivelazione. Gli uomini e i popoli devono obbedire alla legge che trovano nell'intimo della loro coscienza: sarebbe puerile il giudicare Achille coi dettami dell'evangelica umiltà; tentatelo; cadrete nel ridicolo inevitabile della parodia.

Spetta al secolo decimottavo il vanto di avere indicata la vera misura della giustizia; la teoria dell'utile, annunziata da Locke e perfezionata da Bentham, aveva solo il difetto di dimenticare il principio stesso che supponeva. Supponeva l'ascetismo, lo invocava: non istabiliva forse per principio l'interesse naturale e generale? l'interesse generale non suppone forse l'abnegazione nell'individuo che ne partecipa? questo sacrifizio non giunge forse fino alla santa contraddizione del sacrificio intero dell'interesse? Supposta la legge del sacrifizio, la teoria dell'utile misurava i doveri, riformava le antiche leggi, mutava l'aspetto della società, precisa ed esatta quanto la meccanica, essa fu applicata da uomini che rinnovavano l'entusiasmo degli antichi apostoli di Cristo. I teologi e i metafisici l'hanno confutata fieramente, le hanno rimproverato con amarezza la soppressione del principio obbligatorio volevano sottinteso che incoraggiasse le passioni, la sovversione della società. L'inganno è patente, si assalivano i meriti più che i difetti della teoria dell'utile, troppo odiosa perchè consacrata dalla rivoluzione. Il vero difetto della teoria non poteva essere scorto dai teologi, dai metafisici, consisteva nel trascorrere verso la metafisica, nel cedere al falso impulso delle equazioni di Locke, di David Hume e di Condillac. Stabiliva l'utile come principio primo, come apparenza prima, col diritto di spiegare tutte le apparenze. Ne nasceva che dovevasi trarre dall'utile l'antitesi stessa del sacrifizio; quindi ogni apparenza nella quale si manifesta il consacrarsi dell'io ad un interesse universale, doveva sorgere dall'amor proprio, essere un interesse mascherato, un sentimento egoista, divenuto antie-goista per illusione, per errore, per non so quali metamorfosi che la dialettica utilitaria svolgeva parallele a tutte le metamorfosi della sensazione diventata memoria, giudizio, sentimento, ragione, natura, e anche Dio, se occorreva. Calunniavasi la natura umana supponendola teoricamente peggiore più che non è; ma la calunnia perdevasi nella metafisica, e toccando terra, la teoria reclamava poi che l'uomo fosse assai migliore che non era. E convenne cederle, e convenne accordarle che il nobile è un uomo; che il prete è un uomo; che una stessa legge deve governare tutti i cittadini; che il re è una finzione; che la legge deve badare solo all'utile della società; che gli utili trasmondani sono vaneggiamenti, falsi valori a sbandirsi dalla legge; che il protrarre l'espiazione al di della misura dell'utile è infamia; che il sottomettere ogni delitto terrestre all'espiazione voluta dal Dio cristiano è perversità sciagurata e stolta. Questi sono i meriti della teoria dell'utile, che sopprimeva le mani morte, i fidecommessi, i maggioraschi e gli altri baluardi del clero e della nobiltà; combattendo sempre a nome dell'interesse pubblico, e poi immedesimandosi con tutte le scoperte dell'economia politica, perchè ogni utile concetto fosse attuato nel seno dell'Europa, troppo lungamente illusa dalle chimere di un bene, nel cui nome si desolava la terra. Se l'eclettismo francese, se tanti professori, in mezzo alla dottrina loro egoisti e servili, avessero detto tutto il vero sulla teoria dell'utile, noi applaudiremmo senza amarezza; ma dicono il male, taciono il bene, sottilizzano, tolgono un errore metafisico affinchè s'inciampi in un'altra metafisica, la quale spinge diritto all'inciampo massimo della religione e quei che predicano il principio della giustizia sono quelli che guidano all'ingiustizia.

 

 




Precedente - Successivo

Indice | Parole: Alfabetica - Frequenza - Rovesciate - Lunghezza - Statistiche | Aiuto | Biblioteca IntraText

Best viewed with any browser at 800x600 or 768x1024 on Tablet PC
IntraText® (V89) - Some rights reserved by EuloTech SRL - 1996-2007. Content in this page is licensed under a Creative Commons License