Capitolo VII
LA MORALE ED IL DIRITTO
Il diritto nasce
nell'istante in cui la morale deve difendersi colla forza. Io voglio, io debbo
conservarmi, perfezionarmi, voglio soccorrere il mio simile, liberarlo,
propagare il vero; taluno s'oppone al mio operare? Posso difendermi; ed è
questa facoltà di difesa che costituisce il carattere del diritto.
Il diritto
suppone sempre la morale; senza la morale esso cessa, non ha più scopo, nè
senso.
Il diritto è
dunque una difesa, esso è dunque negativo. Io non ho diritto a veruna azione
positiva, non posso chiedervi di essere morale, sincero, riconoscente; ho solo
la facoltà di difendermi e di vegliare sul mio destino.
Ma, si dirà,
non ho io forse un diritto positivo quando reclamo un deposito? Sì, perchè
havvi un patto, una obbligazione contratta verso di me; se si viola, sono leso;
ho diritto al deposito, perchè ho diritto di difendermi.
Un'altra
obbiezione. Il padre non ha forse doveri giuridici, positivi verso il figlio?
Sì, per ciò solo che lo ha generato; con un suo atto gli diede i patimenti
della vita, deve alleviarli; vegliare sul destino del figlio finchè non possa
governarsi da sè.
Ancora
un'obbiezione: se il diritto è negativo, se nessuno ci può costringere ad esser
virtuosi, ne risulta che abbiamo diritto ad ogni vizio individuale, che
possiamo proteggere i nostri vizi colla forza, e che il diritto può essere
l'egida dei vizio. Si, hannovi diritti immorali, benchè il diritto difenda
solamente la moralità. Perocchè la morale è assolutamente libera, sorge dalla
mia volontà, dal mio giudizio, dalle mie idee: se non è libera, non è morale;
se la mia azione è forzata, non è santa. Ora, il diritto difende la morale fin
nel suo principio, nell'essenza stessa della sua libertà; per proteggere la
virtù, protegge il vizio. Essa difende la perversità meramente individuale,
solitaria, inoffensiva, per difendere la moralità del genere umano. Ma il
diritto immorale non è mai positivo, è sempre negativo; l'uomo ha il diritto di
essere malvagio per sè, non ha il diritto di esigere l'omicidio anticipatamente
pagato al sicario. Di là tutte le differenze tra la morale e il diritto.
La morale
comincia in noi, e finisce in noi: protegge l'intero nostro destino: il diritto
comincia e finisce fuori di noi, perchè l'uomo assolutamente isolato non
avrebbe diritti, nè doveri giuridici. La morale domina tutti i nostri
interessi, dirige tutte le nostre azioni; dinanzi ad essa appena possiamo
concepire un atto moralmente indifferente. Il diritto ci impone solo di
rispettare le azioni de nostri simili; il suo precetto è negativo; quando non è
violato dinanzi ad esso tutte le azioni sono indifferenti. La morale tende alla
perfezione, aspira di continuo a un ordine di cose in cui tutte le azioni
concorrano al più alto scopo che si possa concepire. Quanto più si conosce,
tanto più numerosi sono i nostri doveri morali; il più grande degli uomini è
sempre predestinato al martirio: quando Dio discende sulla terra, la leggenda
lo fa morire sulla croce; al contrario, il diritto è passivo, inerte; si lascia
sempre trascinare dalla morale; per sè non ha scopo. La morale, impadronendosi
del nostro essere, penetra nel fondo della coscienza, scandaglia l'intenzione,
vuol regnare sul mondo invisibile delle nostre passioni, si interessa più del
pensiero, che dell'atto, più dell'intenzione, che dell'opera. Non deve forse
dominare l'effetto colle cause? Il diritto si ferma nell'atto, non interroga se
non l'effetto, non valuta se non il danno recato, nè si cura del pensiero o
dell'intenzione.
La differenza
tra la morale ed il diritto sotto la pressione della logica può divenir
contraddizione, e condurci a concludere che il diritto è morale e immorale,
destinato a proteggere il vizio e la virtù. Pure questa contraddizione non è
leale, ma fittizia ed emerge dall'atto, che fa della morale e del diritto due cose,
e direi quasi due persone distinte; si contempla da una parte la morale,
dall'altra il diritto, e si vede quest'ultimo or congiunto, ora in opposizione
colla morale; or favorevole, ora ostile alla virtù. D'onde la contraddizione?
Dall'essersi trasformato il diritto in un ente astratto. È una difesa, un'
egida; è quindi come la spada che assale e difende, protegge e uccide: direte
che la spada è buona e cattiva, fausta e funesta? Sarà detto con ragione, se
vogliamo considerare i rapporti accidentali della spada quali caratteri
essenziali;. Ma quando abbiamoapplicata la logica all'evidenza, l'abbiamo
applicata ai rapporti essenziali delle cose. Un albero è grande relativamente a
me, piccolo relativamente a quella torre; dirò io che è grande e piccolo? Sì,
alla condizione di fare del grande e del piccolo due qualità dell'albero e
d'immedesimarle con tutte le astrattezze. Si applichi questo procedere ad ogni
cosa, ad ogni rapporto; il numero delle contraddizioni sorpasserà di mille
doppi quello delle cose e delle loro relazioni. Persistete voi a considerare
contraddittorio il diritto perchè protegge il vizio e la virtù? Io non potrò
resistervi; potrete asseverare che la contraddizione passa nell'astratto,
perchè prestabilita nel reale: se la spada non fosse ora in mano mia, ora in
mano dell'avversario, non sarebbe protettrice e micidiale; se l'albero non
fosse distinto da me e dalla torre, non sarebbe grande e piccolo; se la
contraddizione non fosse nelle cose, il diritto non sarebbe morale e immorale.
Che dedurne? Nulla, tranne la necessità di attenersi all'apparenza, di seguire
il diritto nella sua manifestazione, e soprattutto di non ascoltare una
metafisica che promette la conciliazione della morale col diritto.
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