Capitolo
X
IL CONTRATTO E I DIRITTI
INALIENABILI
Due fatti
costituiscono il contratto; lo scambio di un valore con un valore, e lo scambio
di un diritto con un diritto. Innanzi alla critica, sono questi due fenomeni
egualmente inesplicabili. Abbiamo visto che il mero scambio dei valori è
logicamente impossibile, perchè se sono eguali, lo scambio loro è inutile; se
differiscono lo scambio è arbitrario. Alla volta sua lo scambio dei diritti, è
impossibile: finchè io conservo i miei diritti essi mi appartengono; quando vi
rinuncio, essi cadono nella comunanza universale: la logica non ammette mezzo.
In qual modo l'io potrebbe egli opporsi a sè stesso, togliersi un diritto, e
trasmetterlo ad altra persona?
La natura
scioglie sola l'antinomia del contratto. Da un lato lo scambio è un fatto; noi
scegliamo, noi permutiamo i valori; il vivere è uno scambio continuo di valori.
Il parlare, il rispondere, il conversare; il discutere chiamasi già da tutti, e
con ragione, il commercio della vita. Quando lo scambio dei diritti segue lo
scambio dei valori, allora la permutazione dei valoriè protetta
dall'ispirazione giuridica. Io sento che concedendo un valore, concedo la mia
proprietà, una frazione della mia libertà; io sento che il valore offertomi
nello scambio è un compenso, sento che lo scambio è un diritto che posso far
valere colla forza. Ecco il contratto; sta tutto nel nostro sentimento. Per
parlar con rigore, nel contratto non si scambiano nemmeno i diritti, la mia
libertà non si áltera, la mia proprietà rimane la stessa; io ho sostituito una
cosa all'altra; reclamando il prezzo di una cosa ceduta, non reclamo se non la
mia cosa trasformata in numerario in forza d'una mia operazione.
La libertà è
l'eguaglianza sono le due leggi del contratto. La libertà lo governa, perchè il
contratto non può cadere se non sulla proprietà, sull'accessione della persona,
sul valore reale, identificato colla nostra libertà. Anche l'eguaglianza lo
governa, perchè nel contratto facciamo valere la libertà giuridica quale si
trova attuata; nel contratto siamo tutti eguali in potenza e in atto,
formalmente e materialmente. Quindi il contratto determina i più certi diritti
nel contratto la correlazione della proprietà e dell'eguaglianza si trova
formalmente avverata. Il fatto solo della promessa accettata suppone la misura
della libertà e dell'eguaglianza Però, col rendere inviolabile lo scambio dei
valori, il contratto riesce ad una logica contraddizione. Si può far mercato di
tutto: i beni, i viveri, i lavori, i servigi personali, la persona stessa, dal
pensiero fino all'ultimo dei gesti, tutte le cose possono essere vendute o
comprate. L'attore sulle scene è meno libero dello schiavo. Ogni pubblico
officiale non è poi un attore? non ha egli l'obbligo di un contegno che deve
dominare ogni suo atto? Ora nello scambio noi siamo sempre soggetti all'errore,
abbandonati al caso. La nostra libertà rimane sempre inviolabile, ma noi
possiamo perdere tutta la nostra proprietà; la nostra persona rimane sempre
libera, ma nel commercio della vita possiamo perdere la libertà di ogni nostra
azione; la nostra libertà giuridica è sempre sacra, ma alienando il nostro
lavoro, possiamo toglierci persino la libertà negativa del riposo. Il contratto
può condannarci alla fame, alla miseria, alla più assoluta schiavitù; se ci
lasciamo trascinare dalla matematica insidiosa dell'eguaglianza, il contratto
può divenire immorale, tirannico, omicida. Indi un dilemma. La promessa
accettata è irrevocabile? Il contratto ci uccide. Possiamo noi revocare la
promessa accettata quando ci danneggia? Il contratto non è più contratto, è
inutile perchè si stipula precisamente per guarentire il nostro contraente
contro il nostro pentimento.
Il dilemma
del contratto è lo stesso dilemma della libertà e dell'eguaglianza, della
proprietà e della comunanza. Che è il contratto? È una promessa accettata, è
una doppia alienazione di valori; in ultima analisi, è un atto che trasmette in
tutto o in parte la nostra libertà. Che è adunque la rescissione del contratto?
È la violazione di una promessa accettata, di una proprietà acquisita; è
un'offesa che può distruggere in tutto o in parte la nostra proprietà. Dunque
la rescissione del contratto sarà misurata dal diritto di necessità, e pertanto
sarà governata dall'utile e dall'ispirazione giuridica, che determinano il
diritto di necessità.
Tale è il
principio che scioglie il dilemma del contratto. Applicasi egualmente ai
contratti reali ed ai personali. Il diritto ingiurioso del contratto, la
tirannia del diritto acquisito sarà sempre limitata dal limite della libertà e
della proprietà, dal diritto di necessità. Così potremo rifiutare il grano
venduto, se divien necessario alla nostra sussistenza: se occorre, non potremmo
toglierlo di viva forza? Lo stesso si dica dei diritti personali. Tutto può
essere trafficato; lo scrittore può impegnarsi a combattere colla penna, il
soldato si obbliga a combattere colla spada. Il contratto è inviolabile, è
sacro come la proprietà: può ruinarci, eppure dobbiamo eseguirlo; il
pubblicista deve disputare, il soldato deve combattere. Si presenta un nuovo
interesse? quest'interesse determina una nuova ispirazione giuridica? Il
contratto è perento, l'obbligazione nulla, cessiamo di appartenere al
compratore, il nostro onore ci impone di togliergli la proprietà acquisita. Il
soldato regio diventa repubblicano? Trovasi sciolto dall'obbligo di combattere;
combattendo, sarebbe trasformato in sicario. La sua conversione lo trasporta in
un nuovo mondo, la realtà è cambiata, ha gli interessi di una nuova morale, e
sono consacrati da una nuova inspirazione giuridica. I tre voti di castità, di
povertà e di obbedienza stabiliscono un vero contratto; obbligano il cattolico
dinanzi al cattolico; si avvede il contraente ceh ha stipulato un contratto
immorale, che si è obbligato a lottare contro la natura, a disprezzare il
lavoro, a insultare alla ragione? Il monaco è sciolto; illuminato da una nuova
rivelazione vive in un nuovo mondo; la sua morale è misurata da nuovi
interessi: e l'ispirazione del diritto protegge la sua libertà. L'interesse
solo non basterebbe ad annullare il contratto; lascerebbe il soldato sotto il
giogo dell'assolutismo, il monaco nella prigione del convento; anche
l'interesse di una virtù non potrebbe restituirci una cosa alienata, mai non possiamo
sottrarci ad un'obbligazione giuridica per ottenere un vantaggio morale. Se ciò
fosse permesso, sarebbe lecito di rubare, per poi esercitare atti di
beneficenza: l'inventore avrebbe diritto di fallire per sostenere le spese
delle sue invenzioni; insomma nessun contratto obbligherebbe, perchè la
ricchezza potrebbe sempre servire al nostro perfezionamento morale. La promessa
accettata non è annullata dall'imperiosa necessità di evitare una immoralità
suicida, che viene misurata da un sistema rivelatore dei nuovi interessi. Così,
guadagnati alla rivoluzione, sentiamo che ci perderemmo rimanendo sotto
l'antica legge cattolica ed assolutista, e la rivelazione ci impone di
rescindere tutti i contratti stipulati per la difesa del cattolicismo e della
monarchia.
Il progresso
dell'eguaglianza e della comunanza interviene adunque nel contratto perchè
subisca il moto emancipatore del progresso. Nella barbarie il contratto è
assoluto, sta nel diritto, non considera la materia; quando la promessa è
accettata non v'ha limite nel modo di rescinderlo; la libertà regna sola, la
proprietà è implacabile. Se Agamennone ha promesso il sacrifizio d'Ifigenia, se
Jefte ha giurato d'immolare la figlia, il sangue deve essere versato; se Esaù
ha venduto la sua primogenitura per un piatto di lenti, non v'ha principio che
lo redima dalla frode di Giacobbe. Quindi la schiavitù e la miseria si
propagano in pari tempo che si propaga la civiltà; essendo più facile al ricco
che al povero il profittare di ogni trovato. Per sè stesse la più tirannica
libertà, la più vasta proprietà sarebbero tollerabili; ma intorno all'uomo
libero per eccezione e potente per le ricchezze sta la misera turba dei
diseredati, la quale cede alla fame, al dolore, e contrae obbligazioni immani,
insopportabili, per sostentare la vita. Il contratto raddoppia la tirannia
della libertà e della proprietà; l'estende, la complica, offre un salario alla
servitù, offre una ricompensa a chi si ruina, divide i deboli, li soggioga, fa
brillare la luce del diritto sulle catene, la speranza del guadagno sullo
scambio delle umiliazioni. La prepotenza del contratto è irresistibile finchè
il progresso delle idee non estende l'eguaglianza e la comunanza; quando il
privilegio della libertà e quello della proprietà subiscono il giogo della
necessità, allora conviene che anche il contratto ceda alla legge liberatrice.
Di là le leggi che vegliano sulla truffa, sul dolo, sulle rescissioni; di là
l'equità crescente nell'interpretazione delle promesse accettate; di là il
problema odierno della rivoluzione intenta a sottrarre i contratti del
proletario all'usura dei fabbricanti, dei banchieri, dei capitalisti, e in
generale dei ricchi: problema che non sarà sciolto se prima non vien rinnovato
il riparto dei beni. Possiamo distruggere la conseguenza quando il principio
sussiste? quando la libertà e la proprietà sono ancora due privilegi? La legge
agraria nel contratto presuppone la legge agraria nei beni.
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