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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE SECONDA   DELLA RIVELAZIONE NATURALE
    • SEZIONE TERZA   LA RIVELAZIONE MORALE
      • Capitolo X   IL CONTRATTO E I DIRITTI INALIENABILI
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Capitolo X

 

IL CONTRATTO E I DIRITTI INALIENABILI

 

Due fatti costituiscono il contratto; lo scambio di un valore con un valore, e lo scambio di un diritto con un diritto. Innanzi alla critica, sono questi due fenomeni egualmente inesplicabili. Abbiamo visto che il mero scambio dei valori è logicamente impossibile, perchè se sono eguali, lo scambio loro è inutile; se differiscono lo scambio è arbitrario. Alla volta sua lo scambio dei diritti, è impossibile: finchè io conservo i miei diritti essi mi appartengono; quando vi rinuncio, essi cadono nella comunanza universale: la logica non ammette mezzo. In qual modo l'io potrebbe egli opporsi a stesso, togliersi un diritto, e trasmetterlo ad altra persona?

La natura scioglie sola l'antinomia del contratto. Da un lato lo scambio è un fatto; noi scegliamo, noi permutiamo i valori; il vivere è uno scambio continuo di valori. Il parlare, il rispondere, il conversare; il discutere chiamasi già da tutti, e con ragione, il commercio della vita. Quando lo scambio dei diritti segue lo scambio dei valori, allora la permutazione dei valoriè protetta dall'ispirazione giuridica. Io sento che concedendo un valore, concedo la mia proprietà, una frazione della mia libertà; io sento che il valore offertomi nello scambio è un compenso, sento che lo scambio è un diritto che posso far valere colla forza. Ecco il contratto; sta tutto nel nostro sentimento. Per parlar con rigore, nel contratto non si scambiano nemmeno i diritti, la mia libertà non si áltera, la mia proprietà rimane la stessa; io ho sostituito una cosa all'altra; reclamando il prezzo di una cosa ceduta, non reclamo se non la mia cosa trasformata in numerario in forza d'una mia operazione.

La libertà è l'eguaglianza sono le due leggi del contratto. La libertà lo governa, perchè il contratto non può cadere se non sulla proprietà, sull'accessione della persona, sul valore reale, identificato colla nostra libertà. Anche l'eguaglianza lo governa, perchè nel contratto facciamo valere la libertà giuridica quale si trova attuata; nel contratto siamo tutti eguali in potenza e in atto, formalmente e materialmente. Quindi il contratto determina i più certi diritti nel contratto la correlazione della proprietà e dell'eguaglianza si trova formalmente avverata. Il fatto solo della promessa accettata suppone la misura della libertà e dell'eguaglianza Però, col rendere inviolabile lo scambio dei valori, il contratto riesce ad una logica contraddizione. Si può far mercato di tutto: i beni, i viveri, i lavori, i servigi personali, la persona stessa, dal pensiero fino all'ultimo dei gesti, tutte le cose possono essere vendute o comprate. L'attore sulle scene è meno libero dello schiavo. Ogni pubblico officiale non è poi un attore? non ha egli l'obbligo di un contegno che deve dominare ogni suo atto? Ora nello scambio noi siamo sempre soggetti all'errore, abbandonati al caso. La nostra libertà rimane sempre inviolabile, ma noi possiamo perdere tutta la nostra proprietà; la nostra persona rimane sempre libera, ma nel commercio della vita possiamo perdere la libertà di ogni nostra azione; la nostra libertà giuridica è sempre sacra, ma alienando il nostro lavoro, possiamo toglierci persino la libertà negativa del riposo. Il contratto può condannarci alla fame, alla miseria, alla più assoluta schiavitù; se ci lasciamo trascinare dalla matematica insidiosa dell'eguaglianza, il contratto può divenire immorale, tirannico, omicida. Indi un dilemma. La promessa accettata è irrevocabile? Il contratto ci uccide. Possiamo noi revocare la promessa accettata quando ci danneggia? Il contratto non è più contratto, è inutile perchè si stipula precisamente per guarentire il nostro contraente contro il nostro pentimento.

Il dilemma del contratto è lo stesso dilemma della libertà e dell'eguaglianza, della proprietà e della comunanza. Che è il contratto? È una promessa accettata, è una doppia alienazione di valori; in ultima analisi, è un atto che trasmette in tutto o in parte la nostra libertà. Che è adunque la rescissione del contratto? È la violazione di una promessa accettata, di una proprietà acquisita; è un'offesa che può distruggere in tutto o in parte la nostra proprietà. Dunque la rescissione del contratto sarà misurata dal diritto di necessità, e pertanto sarà governata dall'utile e dall'ispirazione giuridica, che determinano il diritto di necessità.

Tale è il principio che scioglie il dilemma del contratto. Applicasi egualmente ai contratti reali ed ai personali. Il diritto ingiurioso del contratto, la tirannia del diritto acquisito sarà sempre limitata dal limite della libertà e della proprietà, dal diritto di necessità. Così potremo rifiutare il grano venduto, se divien necessario alla nostra sussistenza: se occorre, non potremmo toglierlo di viva forza? Lo stesso si dica dei diritti personali. Tutto può essere trafficato; lo scrittore può impegnarsi a combattere colla penna, il soldato si obbliga a combattere colla spada. Il contratto è inviolabile, è sacro come la proprietà: può ruinarci, eppure dobbiamo eseguirlo; il pubblicista deve disputare, il soldato deve combattere. Si presenta un nuovo interesse? quest'interesse determina una nuova ispirazione giuridica? Il contratto è perento, l'obbligazione nulla, cessiamo di appartenere al compratore, il nostro onore ci impone di togliergli la proprietà acquisita. Il soldato regio diventa repubblicano? Trovasi sciolto dall'obbligo di combattere; combattendo, sarebbe trasformato in sicario. La sua conversione lo trasporta in un nuovo mondo, la realtà è cambiata, ha gli interessi di una nuova morale, e sono consacrati da una nuova inspirazione giuridica. I tre voti di castità, di povertà e di obbedienza stabiliscono un vero contratto; obbligano il cattolico dinanzi al cattolico; si avvede il contraente ceh ha stipulato un contratto immorale, che si è obbligato a lottare contro la natura, a disprezzare il lavoro, a insultare alla ragione? Il monaco è sciolto; illuminato da una nuova rivelazione vive in un nuovo mondo; la sua morale è misurata da nuovi interessi: e l'ispirazione del diritto protegge la sua libertà. L'interesse solo non basterebbe ad annullare il contratto; lascerebbe il soldato sotto il giogo dell'assolutismo, il monaco nella prigione del convento; anche l'interesse di una virtù non potrebbe restituirci una cosa alienata, mai non possiamo sottrarci ad un'obbligazione giuridica per ottenere un vantaggio morale. Se ciò fosse permesso, sarebbe lecito di rubare, per poi esercitare atti di beneficenza: l'inventore avrebbe diritto di fallire per sostenere le spese delle sue invenzioni; insomma nessun contratto obbligherebbe, perchè la ricchezza potrebbe sempre servire al nostro perfezionamento morale. La promessa accettata non è annullata dall'imperiosa necessità di evitare una immoralità suicida, che viene misurata da un sistema rivelatore dei nuovi interessi. Così, guadagnati alla rivoluzione, sentiamo che ci perderemmo rimanendo sotto l'antica legge cattolica ed assolutista, e la rivelazione ci impone di rescindere tutti i contratti stipulati per la difesa del cattolicismo e della monarchia.

Il progresso dell'eguaglianza e della comunanza interviene adunque nel contratto perchè subisca il moto emancipatore del progresso. Nella barbarie il contratto è assoluto, sta nel diritto, non considera la materia; quando la promessa è accettata non v'ha limite nel modo di rescinderlo; la libertà regna sola, la proprietà è implacabile. Se Agamennone ha promesso il sacrifizio d'Ifigenia, se Jefte ha giurato d'immolare la figlia, il sangue deve essere versato; se Esaù ha venduto la sua primogenitura per un piatto di lenti, non v'ha principio che lo redima dalla frode di Giacobbe. Quindi la schiavitù e la miseria si propagano in pari tempo che si propaga la civiltà; essendo più facile al ricco che al povero il profittare di ogni trovato. Per stesse la più tirannica libertà, la più vasta proprietà sarebbero tollerabili; ma intorno all'uomo libero per eccezione e potente per le ricchezze sta la misera turba dei diseredati, la quale cede alla fame, al dolore, e contrae obbligazioni immani, insopportabili, per sostentare la vita. Il contratto raddoppia la tirannia della libertà e della proprietà; l'estende, la complica, offre un salario alla servitù, offre una ricompensa a chi si ruina, divide i deboli, li soggioga, fa brillare la luce del diritto sulle catene, la speranza del guadagno sullo scambio delle umiliazioni. La prepotenza del contratto è irresistibile finchè il progresso delle idee non estende l'eguaglianza e la comunanza; quando il privilegio della libertà e quello della proprietà subiscono il giogo della necessità, allora conviene che anche il contratto ceda alla legge liberatrice. Di le leggi che vegliano sulla truffa, sul dolo, sulle rescissioni; di l'equità crescente nell'interpretazione delle promesse accettate; di il problema odierno della rivoluzione intenta a sottrarre i contratti del proletario all'usura dei fabbricanti, dei banchieri, dei capitalisti, e in generale dei ricchi: problema che non sarà sciolto se prima non vien rinnovato il riparto dei beni. Possiamo distruggere la conseguenza quando il principio sussiste? quando la libertà e la proprietà sono ancora due privilegi? La legge agraria nel contratto presuppone la legge agraria nei beni.

 

 




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