Capitolo XI
DELLA SCHIAVITÙ
Lo scambio
dei valori, lo scambio dei beni, questa doppia condizione del contratto, si
applica al dominio dell'uomo sull'uomo. Questo è il fatto che combattiamo; pure
non si saprebbe determinare quando debba cessare se non si sa quando cominci.
Messa in disparte
ogni idea di diritto e di dovere, l'influenza dell'uomo sull'uomo è un fatto
continuo e universale. Gli uomini si lasciano dominare dall'intelligenza, dalla
parola, dal sentimento, dalla forza; agli uni manca il coraggio di resistere,
agli altri manca la volontà; vi sono dominazioni accettate col tripudio della
frenesia. La forza dell'animo, quella della mente, la ricchezza, l'astuzia, si
traducono nel mondo esterno in vere forze fisiche, e la manifestazione della
forza fisica determina fatalmente un sentimento di deferenza nella rivelazione
della vita. Il più forte è naturalmente superbo; il più debole è
involontariamente servile; il contegno, il verbo, il gesto di un personaggio
importante non moverebbero a riso in un uomo senza autorità? La bellezza della
donna è una forza, s'impone coll'amore: e che è l'amore? È adorare, servire.
Perchè il governo monarchico è forte, rapido nell'azione, difficile a vincersi?
Dovrebbe essere il più debole, il più lento; ma il prestigio del potere spinge
alla bassezza, fa inorgoglire la viltà, esalta la servilità, e tutto cede al
più forte che regnerà sempre, qualunque sia la natura della sua forza: se
l'uomo non fosse timido, sarebbe indomabile, insociabile. L'ascendente della
forza può forse giungere fino alla dominazione assoluta dell'uomo sull'uomo?
Sì; lo schiavo, dice Aristotele, perde nei ferri persino il desiderio
d'infrangerli, ama la sua servitù. Il più forte non è mai abbastanza
forte per esser sempre padrone, se non trasforma la forza in diritto, e
l'obbedienza in dovere; e per mala sorte la stessa natura s'incarica di operare
questa trasformazione. «Non è l'uomo che domina sugli altri uomini,» dice
Epitteto, «ma la morte, ma la vita, ma il piacere, ma il dolore: tolte queste
considerazioni, mi si conduca innanzi all'imperatore, e si vedrà come starò
ritto.» Il triste scambio della schiavitù può dunque trasformarsi in contratto;
la sventura può avvilire, togliere ogni coraggio, annullare il sentimento
giuridico della dignità perduta. Lo schiavo si abitua all'irresponsabilità,
all'imprevidenza, all'indigenza, all'annientamento della sua persona. Si forma
una nuova morale, quella della schiavitù. Riceve qualche benefizio? Allora
rinasce alla vita, ama il padrone, s'identifica col suo onore; nelle colonie la
sua devozione sorpassa l'abnegazione dell'amicizia, diventa eroica, e la
schiavitù può essere accettata, può creare 'eroismo della schiavitù. Dall'altro
lato, il padrone inbaldanzisce col signoreggiare, l'assenza d'ogni ostacolo gli
dà un ardire che le sole forze dell'animo suo non potrebbero ispirargli;
l'abitudine del comando trasforma il comando in diritto, fa nascere quella
dignità, quell'istinto politico, quella previdenza, quella forza d'animo che
ammiriamo negli antichi. Nelle società antiche gli uomini liberi erano, per
così dire, principi e generali, ogni senato era una vera assemblea di re, e
l'orgoglio della signoria col crearsi la sua morale, creava il suo eroismo, che
opponevasi all'eroismo della schiavitù. Quindi lo schiavo perde la metà della
sua ragione, ed è il padrone che se ne insignorisce; lo schiavo perde la metà
della sua coscienza d'uomo, il padrone, profittandone, s'innalza al disopra
dell'umanità. Se nelle nostre leggi la schiavitù è un delitto, se nella
rivelazione che ci illumina il padrone è infame, la schiavitù nondimeno può
essere istoricarnente intesa come uno scambio possibile, come un contratto
implicito ed anche esplicito. Concesso poi istoricamente, esso diviene valido
come gli altri contratti; finchè dura la rivelazione sotto la quale fu
stipulata, l'obbligazione dello schiavo rimane consacrata.
Il problema
della schiavitù fu da noi posto per determinare il momento della rescissione
del contratto. Il patto della schiavitù è perento nell'istante in cui si
manifesta in noi un'obbligazione superiore, vale a dire, un nuovo interesse
sostenuto da un nuovo sentimento. Quando l'uomo nasce, lo schiavo scompare, nella
misura determinata dalla necessità materiale di obbedire ad una legge morale.
Se il padrone è in pari tempo sacerdote e signore come in Russia, lo schiavo
dovrà osservare il contratto; se Abramo crede che Dio gli imponga di svenare
Isacco, egli deve svenarlo. Sia lo schiavo istruito, sia distrutta la religione
che lo inganna, la realtà si muta, una nuova necessità si manifesta; lo schiavo
non può obbedire senza mentire a sè stesso; la sua collera prorompe, lo
emancipa. Dov'è il principio liberatore? Nelle idee, nel sistema dei valori,
degli interessi che risvegliano una nuova morale. Non v'ha mezzo per liberare
chi è schiavo di mente; se infrange i suoi ceppi, cade preda di altro padrone,
e non muta stato. E la schiavitù è infinita nelle mille forme che assume; qui è
un giuramento che obbliga ad uccidere il fratello, là è uno scrupolo che
strazia sul letto di morte, altrove prende le sembianze dell'amore che vincola
alla famiglia: resiste all'aguzzino, ma teme il sacerdote; odia il sacerdote,
il pontefice, l'imperatore, poi legge avidamente la Bibbia, interroga l'oracolo
dell'evangelio, non crede alla giustizia, rimane schiavo di Dio, e tosto
incontra chi sa fare le sue veci in terra.
|