Capitolo XIII
LA FAMIGLIA
La logica discioglie
la famiglia: parlate della fedeltà coniugale? Non si danno leggi all'amore.
Parlate del dovere del padre e della madre verso i figli? I figli sono figli
della natura, e non della volontà dell'uomo. Parlate dei doveri dei figli verso
i genitori? I figli non devono nulla ai parenti, che li generavano non pensando
che a sè. L'amore può intervertirsi, e la logica non sa scegliere tra la salute
e l'infermità, tra la costituzione e la dissoluzione della famiglia.
È la natura
che fonda la famiglia, e las fonda colle due rivelazioni della vita e del
dovere.
La
rivelazione della vita conduce alla famiglia; il ritmo della vita suppone i due
sessi, li avvicina, oltrepassa l'atto dell'amore, protegge la gravidanza della
sposa, protegge la madre lattante, l'affeziona al figlio per eternare l'opera
sua. Nulla sfugge a questo sentimento; l'arte non sarebbe possibile se facesse
comparire sulla scena esseri neutri, senza padre, senza madre, senza figli;
havvi dunque la vita della famiglia, la poesia della famiglia. Essa comanda
all'intelligenza, e l'intelligenza ne attua le aspirazioni nel mezzo del
meccanismo esteriore. Qui l'intelligenza prevede la prole che nascerà, la
vecchiaja dei genitori: essa determina gli interessi della famiglia, ordina la
famiglia. Tale è l'opinione di tutti i popoli. L'antichità considerava il
matrimonio come una invenzione, l'attribuiva a Fou-ki, a Teuth, a Cecrope; lo
riponeva tra le prime scoperte in un coll'aratro, colla scrittura, coll'arte di
fondere i metalli. L'opera vitale del matrimonio interpretata dai legislatori
si trova poi sorretta dalla rivelazione morale, che sorge parallela agli
interessi della famiglia. Chi insegna all'amore la religione dell'amore?
Nessuno; la natura. Chi insegna all'uomo essere il parricidio il più nefando
dei delitti? È la natura. Il ritmo morale segue il ritmo poetico; ad ogni
interesse della famiglia corrisponde un dovere; l'intelligenza determina
l'interesse, il cuore dètta il dovere.
Se ci
scostiamo dalla rivelazione, manca la vita, manca il sentimento, ci troviamo in
presenza dei dilemmi eterni dell'amore; chi tenta di scioglierli, crea il
matrimonio che chiamerò metafisico, la famiglia metafisica; ed ogni diritto,
ogni dovere sfugge all'arida impotenza del falso, per ricadere Delle contraddizioni
critiche dell'amore comandato. - Vogliamo noi determinare metafisicando se il
matrimonio ammette la poligamia o prescrive la monogamia? Non v'ha dato per
rispondere a priori; la poligamia e la monogamia formano un
dilemma. L'idea che il matrimonio è un contratto non vale a respingere la
poligamia: il contratto, non obbliga se non nei limiti del contratto, può
essere stipulato sotto le condizioni della poligamia e della monogamia, e il
contratto lascia sussistere il dilemma. Nessuna considerazione fisica può
scioglierlo; se Gesù Cristo disse: eritis duo in carne una, se
l'atto dell'amore è essenzialmente monogamo, pure la maternità lascia libero
l'uomo di cercare altra compagna; l'atto dell'amore è monogamo anche nel toro e
nel gallo, destinati dalla natura alla poligamia. Le considerazioni morali
prese nella loro astrattezza non tolgono il dilemma. L'amore, dicesi, è
esclusivo, identifica due vite, due destini: ebbene? Si tratta di sapere se il
matrimonio deve obbedire all'ideale dell'amore, se la legalità deve seguire
Platone, comandare l'imitazione di Eloisa o di Beatrice; si tratta di sapere se
la legge deve imporre ad ogni onest'uomo di perpetuare in casa sua l'istante
del delirio poetico, che congiunge due esseri involati dall'amore al consorzio
dei viventi. E se guardansi dappresso gli ideali dell'amore, l'ordine superiore
di adorare una donna in eterno, non si trova consigliato da Petrarca, nè da
Dante nè da Platone, nè da alcuna leggenda cavalleresca, nè, in generale, dalla
poesia, che distingue benissimo la diade dell'amore da quella del matrimonio.
Platone consiglia la comunanza; Petrarca vive poligamo, i cavalieri amavano
l'altrui donna; se l'avessero sposata, la poesia li avrebbe obbligati a
scegliere un'altra signora. Concesso poi che la poesia tenda alla monogamia, la
poligamia ha i suoi poeti, le sue leggende, le sue dolcezze; Sacontala si
oppone alle nostre eroine monogame; le donne orientali intendono meravigliate
ed ironiche il meschino matrimonio a cui si condanna l'Europeo. Quindi i
costumi, gli usi non valgono alla volta loro a sottrarci al dilemma: se
l'Europa accetta la monogamia, l'Oriente rimane nella poligamia; se il Nuovo
Testamento vuole il matrimonio europeo, l'Antico Testamento celebra il
matrimonio de' patriarchi. Ascoltiamo un Padre della Chiesa: «Qual delitto
possiamo noi imputare,» egli dice, «al santo uomo Giacobbe di aver avuto più
donne? Se consultate la natura, egli si è servito di queste donne per aver
figli; se consultate i costumi, i costumi autorizzavano la poligamia; se
consultate la legge, nessuna legge vietava la pluralità delle donne».
Chi governerà
la famiglia? La metafisica non può trovarle un capo. Perchè l'uomo avrebbe il
diritto di comandare? La sua forza è solo un fatto materiale, costringerà la donna
senza obbligarla; la sua intelligenza può non essere superiore a quella della
donna; il suo sesso per sè non dà diritto al comando; chi sarà dunque il capo?
Senza un capo, il matrimonio istituisce la guerra perpetua nella famiglia; dato
un capo, si giunge alla tirannia. Poi, quali saranno gli obblighi vicendevoli
dei coniugi? L'obbligo stesso della fedeltà si sottrae alla metafisica, che lo
lascia cadere nelle antinomie del senso, o in quelle del sentimento, o in
quelle dell'interesse, o in quelle della ragione. Nel senso, l'amore vuol
essere libero, non vuol subire l'impotenza o il tedio di un coniuge aborrito.
Nel sentimento si verifica lo stesso fenomeno; quanto più la metafisica esagera
l'ideale dell'amore per imporlo al matrimonio, tanto più lotta contro la
fedeltà nell'istante in cui l'amore respinge la coppia riunita dalla legge.
L'interesse consiglia egualmente la fedeltà e l'infedeltà; se vuole il marito
assicurato contro l'intrusione di un figlio nel seno della famiglia, può
consigliare allo Spartano di offrire la moglie ad un illustre straniero: uso
generale in vastissime regioni. Anche la ragione esita tra la fedeltà e
l'infedeltà: e come non dubiterebbe? Vuota, astratta per sè, non può se non
dare una forma astratta ai diversi motivi del senso, del sentimento,
dell'interesse, e metafisicando sulla loro forma astratta, li lascia ricadere
nelle precedenti antinomie. Se si avesse a ragionare sul contratto ammesso,
stipulato, la soluzione sarebbe facile; ma non si dimentichi che qui si tratta
di dar leggi al contratto, di limitarne la libertà, d'interdire ai contraenti
di pattuire le condizioni che più loro aggradano. La contraddizione poi si fa
maggiore quando consideriamo l'autorità del padre sui figli: e qui nessuna
equazione vale a dedurla nè dall'atto della generazione, nè dal fatto
dell'amore: alcuna misura astratta non può determinarla, sì che restiamo dubbi
tra lo Spartano, che può esporre, uccidere il neonato, tra il prisco Romano,
che può condannare il figlio alla morte, e l'Europeo, che non può sottrarlo
alla religione dominante dello Stato.
La madre può
rimaritarsi col figlio? il padre può congiungersi colla figlia? La metafisica
non sa nemmeno combattere l'incesto. Aristippo, Cleante, Crisippo lo credevano
legittimo: sulla più gran violazione della legge della natura, la
giurisprudenza naturale trovasi compiutamente disarmata. Perchè vieta essa il
matrimonio della figlia col padre, della madre col figlio? Si pretende che
l'incesto stabilisca diritti contraddittorj, che metta in opposizione
l'autorità dei parenti sui figli coll'eguaglianza giuridica stabilita dal
matrimonio tra gli sposi Ma v'ha inganno: il matrimonio incestuoso si
limiterebbe a far succedere l'eguaglianza all'ineguaglianza; il che accade
nella stessa famiglia nell'istante in cui il padre emancipa il figlio.
D'altronde l'autorità antica che il marito esercitava sulla sposa non
permetteva forse il matrimonio che avrebbe potuto contrarre colla propria
figlia? - Secondo un'altra teoria, l'amore è soddisfatto, compiuto, esaurito
colla generazione del figlio, e la nuova generazione trovasi così separata da
quella che la precede. Questo è un fatto, ma il tentativo dell'incesto gli
oppone un fatto contrario; voi asserite che l'amore è compiuto, che non
desidera più alcuna soddisfazione: ma l'incesto desidera una nuova
soddisfazione, ma chiede il rinnovamento dell'opera dell'amore. Perchè l'amore
non potrebbe divenire incestuoso poichè lo diventa? - Fu imaginato che il padre
potrebbe abusare della sua autorità per sedurre la figlia, che bisogna
togliergli la speranza del matrimonio: e qui s'incontrano nuovi ostacoli. A chi
confideremo la figlia se non si confida al padre? Rifiutandola in matrimonio al
padre, si imagina un espediente per sottrarla a un'infame libidine, senza
dimostrare l'infamia stessa dell'incesto. - Si dice ancora che l'incesto offre
in sè qualche cosa di odioso e di contrario alla natura: chi ne dubita? Eppure
la ripugnanza scompare nel fatto stesso dell'incesto, e la metafisica, che
vorrebbe trovare un titolo per separare l'incesto dall'amore naturale, non
raggiunge lo scopo.
Insomma, il
matrimonio è un'invenzione come l'arte di coltivare la terra di fondere i
metalli. I nostri metafisici, dandogli leggi astratte, si limitano a copiare, a
tradurre il matrimonio cristiano in formole scolastiche, che adornano poi con
isquisitezze e sentimenti raccozzati a caso. Stiamo alla rivelazione, vedremo
quale dovrà essere l'arte della famiglia; stiamo all'arte, la vedremo
consacrata dal cuore. In astratto non v'ha legge; l'uomo astratto, la donna
astratta, non esistono; ditemi dove vivete, qual'è la vostra patria, quale il
sistema sociale a cui appartenete; ditemi qual'è l'idea che avete dell'uomo, e
allora vi dirò quale dovrà essere la famiglia e come l'uomo dovrà essere rispettato
nella triplice forma di padre, di madre e di figlio.
Noi
rispettiamo l'umanità, dovunque appare la forma dell'uomo; questo è il nostro
principio, ed esso ci ritrae dalle aberrazioni della metafisica, ci rivela
l'ideale della famiglia.
Il matrimonio
deve essere, perchè invocato dall'amore, e perchè l'umanità è in potenza
nell'atto del nostro moltiplicarsi. La legge deve governare il matrimonio,
perchè non può lasciare al caso il riprodursi della specie, l'iniziarsi dello
Stato e dell'umanità. Impotente a raccogliere dalla culla ogni vivente,
incapace di sorgere colle forze sole della comunanza, lo Stato deve imporre
all'amore tutti i pesi della comunanza, e subordina tutti i contratti
dell'amore ad una formola unica e comune a tutti i cittadini. Quale sarà questa
formola?
In primo luogo,
proscrive la poligamia e la poliandria, perchè l'umanità è in ogni uomo, in
ogni donna e l'umanità respinge la poliandria che suppone l'uomo dominato dalla
donna, la poligamia che suppone la donna dominata dall'uomo. Nella nostra
rivelazione il contratto della schiavitù è perento ex jure. L'obbligo
della fedeltà reciproca nasce dall'eguaglianza dei coniugi, è voluto dalla vita
che s'esprime colla forza della gelosia, dell'orgoglio, è consacrato dalla
coscienza, dal pudore, dalla morale. Non parlo d'altri interessi per cui
l'adulterio diventa un furto. L'obbligo della fedeltà non soffre eccezioni:
nessun popolo è supposto nemico, nessuno straniero deve diventare amico coi
vincoli del sangue: l'infedeltà spartana non è prevista, è proscritta; se nasce
consentita è mercato infame, in cui sono stipulati vantaggi eslegi, fuori
dell'ordine generale e naturale dell'umanità quale a noi si rivela. La libertà,
l'eguaglianza, la moralità dei coniugi suppongono la libertà reciproca del divorzio;
la legge non deve aggiungere ai sacrifizi imposti all'amore quello del
matrimonio indissolubile nell'interesse della prole. Se la prole non esiste, la
perpetuità del matrimonio è tirannia gratuita; se v'hanno figli e se i figli
non valgono a tenere imiti i coniugi, la legge deve riconoscere la propria
impotenza, e rinunziare ad una lotta disperata e scandalosa contro la
spontaneità dell'amore.
In secondo
luogo, chi sarà il capo della famiglia? Il capo rivelasi nell'uomo, l'uomo si
sente più operoso, più forte, più giusto, la donna si sente sommessa,
riservata, pudica. La legge deve accettare questa dualità per fare dell'uomo
l'amministratore della famiglia. La società deve preferirlo, non per
costituirlo padrone, ma per avere un delegato risponsabile della famiglia
dinanzi alla comunanza che non può assorbirla. Quanto era barbara ed impotente
l'antica comunanza, altrettanto era barbara ed assoluta la potenza del marito.
Svanì l'autorità maritale degli antichi, potrà diminuire la nostra; non v'ha
mezzo per lottare contro la debolezza del sesso, contro il predominio fatale
degli affetti femminili, contro la necessità di dare un rappresentante alla
famiglia. Respingiamo quindi la metafisica di Platone, di Campanella e di
Saint-Simon, che eguagliavano il marito alla moglie, e predicavano
l'emancipazione della donna. Il termine medio della pretesa eguaglianza era la
ragione; termine vuoto; che passava dall'uomo alla donna, dimenticando l'uomo e
la donna, trascurando il sesso che nella nostra specie comprende tutta la
persona; penetra nel pensiero, determina nella rivelazione morale una dualità
ineffabile e incontestabile. E la dualità fu sempre riconosciuta, accettata
dalla donna, che tende piuttosto ad esagerarla che a dissimularla; come lo
attestano i costumi e lo stesso vestire che raddoppia la differenza del sesso.
Parlate di emancipare la donna? volete emanciparla dalla sua missione, dal suo
pudore, dalla sua dignità? Rimane sempre che il sesso femminile sotto l'aspetto
della giustizia è inferiore. La figlia d'Eva è divota, affezionata, vi ama; e
vi ama a tal punto, che odia chi vi nuoce, fosse pure nel suo diritto, foste
pure nel vostro torto: questa è la miseria della donna; è tocca dall'individuo,
più che dall'umanità e convien che altri rappresenti la famiglia dinanzi a
tutti.
Anche
l'autorità del padre vien determinata dalla rivelazione dell'umanità: lo Stato
gli ha imposto il contratto dell'amore nella previsione della prole; al nascere
della prole lo Stato deve raddoppiare di previsione e reclamare alla comunanza
l'uomo nascente nel figlio. Quindi il padre trasformato in tutore momentaneo,
vigilato, esaminato, reso responsabile del destino del figlio emancipato,
appena può bastare a sè stesso. Ne' tempi barbari l'autorità paterna era immane
perchè lo Stato era impotente, non curante dalla natura umana quando era
disgiunta dall'idea del cittadino armato che difende la patria. Coloro che in
oggi resistono all'autorità dello Stato, lottando per la libertà della
famiglia, disconoscono e la religione dell'umanità e la propria religione. Sono
cattolici, e sono in contraddizione con sè stessi. Da Giustiniano ai nostri
tempi non hanno cessato di imporre alla famiglia l'educazione cristiana,
costringevano i padri a trasmettere ai figli la fede della Bibbia. Se la
famiglia cristiana è più elevata, più pura della famiglia pagana, non deve la
sua elevazione se non al giogo della comunanza, che aveva più forte,
rinunciando al diritto di esporre il figlio, di punirlo colla morte, di
sottrarlo ai principJ della grande comunanza cristiana. Il cristianesimo regna
più tirannico sulla famiglia, che non lo Stato di Sparta, limitato a volerla
nudrita ne' pubblici banchetti, e pubblica negli esercizi militari, che saranno
sempre comuni in ogni civiltà. Il cristianesimo introdusse nella famiglia il
sacerdote, un giudice a cui nessun secreto può esser sottratto, e da cui
dipendono il marito, la moglie, i figli: egli può dividere, denunziare,
accusare, coi mille mezzi del consiglio, della minaccia, colla legge cristiana
e anche colla legge politica. Il cristianesimo impose all'amore il tributo, il
peso più duro che sia stato concetto dal principio del mondo; ed ora grida
libertà, vuole i figli lasciati all'impero de' conjugi, vuol l'educazione
libera. Tanto vale chiedere la dissoluzione della comunanza, dello Stato, della
società. Da che la bandiera dell'umanità cadde dalle mani dei cristiani, spetta
alla religione nostra, che si vanta irreligione, di raccoglierla, d'innalzarla
più alta, di sottomettere il matrimonio all'idea stessa dell'umanità, poichè
concetto nell'interesse dell'umanità. Quindi i diritti dell'educazione
nazionale sorgono dal principio stesso del matrimonio, autorizzati dagli
antecedenti del cristianesimo.
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