Capitolo XV
LA SOVRANITÀ
La logica
reclama la sovranità, e la rende impossibile. La reclama perchè non si fonda la
società senza creare un potere infallibile, inappellabile, superiore alla
legge, e giudice di tutte le leggi. Se il cittadino conserva il diritto di
resistere al legislatore, di protestare contro i tribunali, la società è
discussa, assalita, disciolta. Dall'altro lato, se il cittadino obbedisce, i
suoi beni, la sua famiglia, la sua vita sono in balia del sovrano, cessa di
esser libero, è schiavo della società. La sovranità distrugge la libertà, la
libertà distrugge la sovranità: non v'ha mezzo. Questo è, sotto nuova forma, il
dilemma della libertà e dell'eguaglianza, della proprietà e della comunanza,
del contratto e dei diritti inalienabili.
Fu
considerata come problema l'antinomia: quindi ne nacque la metafisica della
sovranità. Cominciava dal giorno in cui la riforma abbatteva l'autorità
infallibile, inappellabile della chiesa, primo principio della teocrazia e
della sovranità de' tempi di mezzo. Era necessario supplire alla chiesa: in
qual modo adunque si costituisce l'onnipotenza del sovrano? Il giurisconsulto
non può dedurla se non da un contratto, e Grozio domanda ingenuamente al
contratto di schiavitù l'equazione metafisica della sovranità. È lecito, dice
egli, di vendersi, di farsi schiavo; hannovi popoli naturalmente schiavi, essi
obbediscono ciecamente ai re, ai nobili, ai conquistatori; la storia ci offre
esempi del regno servile liberamente accettato; dunque è lecito di costituire
la sovranità, e una volta costituita, il suo potere non ha limiti. Il contratto
della schiavitù non basta ancora a Grozio non dà ancora l'equazione della
sovranità: e se lo schiavo è servo del proprio contratto; in ogni contratto
sonovi casi che invocano la decisione dei tribunali o quella della guerra;
sonovi casi che suppongono l'eguaglianza delle parti, il diritto d'interpretare
il patto, di mantenerlo, di annullarlo. Grozio deve caercare altri termini
all'equazione della sovranità, altre equazioni alla servitù del cittadino. La
donna, dice egli, dopo scelto il marito, gli deve obbedienza per sempre; la
tutela, benchè stabilita a profitto del minore, non dà al minore il diritto di
ribellarsi contro l'autorità del tutore. Lo schiavo, la donna, il minore, ecco
il popolo; il padrone, il marito, il tutore, ecco il governo: ed è così che
Grozio giunge in pari tempo alla sovranità e al despotismo. Tutta la sua
giurisprudenza di Grozio ci domina quasi fossimo schiavi, donne o fanciulli.
Grozio non ha inteso l'uomo, lo paventa; se l'uomo apparisse, distruggerebbe la
sovranità, lo stato, la società. Ma l'uomo appare ad ogni istante; un giorno
scopre verità che il sovrano ignora; l'altro giorno proclama una religione che
il sovrano perseguita, o svela l'impostura d'un dogma che il sovrano impone
colla forza. Che fa Grozio? Combatte per il sovrano contro la verità, per la
legge contro la giustizia, per l'autorità contro la ragione: se il sovrano ci
fa investire dai sicari, Grozio vuole che imitiamo la legione tebana, e se
Grozio ci permette di difendere la nostra vita, c'impone di non ferire gli
assassini. Non accusiamo il cuore di Grozio; il gran giurisconsulto ci voleva
liberi, voleva costituire un diritto senza l'intervento di Dio: questa era la
sua grandezza; ma le sue astrazioni si rivoltavano contro le sue intenzioni; la
sua sovranità, sorgendo dalla tesi della servitù, proteggeva il despotismo; il
suo diritto difendeva l'antico diritto, il suo progresso vietava ogni
progresso. La sovranità metafisica che costituiva, rendeva impossibile ogni
società d'uomini liberi e sopprimeva quella verità e quella giustizia che
Grozio proclamava, fatta astrazione da Dio.
Hobbes si
aprì una nuova via. Nel contratto havvi uno scambio di valori, uno scambio di
diritti: Hobbes spiegò il contratto sociale col solo scambio de' valori. In sua
sentenza, nello stato di natura l'uomo è nemico dell'uomo, havvi la guerra di
tutti contro tutti. La società è necessaria per toglierci all'infelicità della
guerra; la sovranità è necessaria per fissare la società; il diritto assoluto
della sovranità è necessario per comprimere le ribellioni istintive che
minacciano di continuo il ritorno dello stato di natura nel seno della società.
Dunque la necessità fonda la sovranità. Tale è il principio di Hobbes. Ma due
parole di giustizia e di ingiustizia non hanno senso presso Hobbes: egli
analizza solamente gli interessi, fa astrazione dal diritto; per lui il
contratto sociale riducesi ad uno scambio puro e semplice; nello scambio l'uomo
concede la sua persona, i suoi beni, la sua famiglia; d'altra parte, il sovrano
toglie l'uomo al caos dello stato di natura, lo crea una seconda volta, lo fa
cittadino, assicurandogli la sua persona, i suoi beni, la sua famiglia. Lo
scambio è utile, è necessario; nel fatto, la storia lo mostra consentito; il
consenso è necessario per attuarlo? No: secondo lo stesso Hobbes alcun patto
non ci può vincolare finchè dura lo stato di natura, è uno stato di guerra: se
vi sono uomini che rifiutano di accettare il patto sociale, la società ha il
diritto di trattarli da nemici, di costringerli colla forza, essendo essi
ancora nello stato di natura. Il governo poi è assoluto, nulla può limitarne il
potere: nè l'interesse, nè la morale, nè la religione del cittadino: chi gli
resiste ricade nello stato di natura, deve esser vittima del più forte, si
trova in balìa del governo. Dov'è adunque il diritto? Non è nello stato di
natura, non nella società, non nel governo. Se Hobbes evita la contraddizione
tra la libertà e la sovranità, si è che lascia il vero campo del contratto,
quello del consenso, del diritto, della promessa accettata. Per Hobbes il
diritto si confonde dappertutto colla forza: è la forza che lo costituisce
nello stato di natura, è la forza che lo fa essere creando la società, è ancora
la forza che diventa diritto in ogni governo: dunque dappertutto il vero
diritto, la libertà dell'uomo, la libertà del contratto, la libertà di chi lo
interpreta insorgono contro la sovranità hobbesiana.
Del resto,
l'antinomia della libertà e della sovranità riappare nel sistema di Hobbes, anche
fatta astrazione dal diritto. I fatti si oppongono ai fatti, le forze alle
forze: dunque l'individuo, le sètte, le fazioni possono armarsi contro la
società, e la ribellione felice sarà legittima quanto la tirannia che trionfa.
Hobbes suppone la giustizia nel governo, l'ingiustizia ne' ribelli: chi
autorizza l'ipotesi? la debolezza dei ribelli? l'impotenza dell'individuo? Ma
Socrate è più forte di Atene, Cristo è più potente di Tiberio. Quando il popolo
e il governo sono in guerra, l'uno e l'altro possono egualmente trionfare:
Hobbes passa nel campo del governo; noi siamo liberi d'intervertire l'ipotesi;
e allora il governo sarà ingiusto, e sacra la ribellione. Una nota d'infamia fu
impressa sugli scritti del filosofo di Malmesbury non fu peggiore di Grozio, e
v'era nel suo sistema un pensiero liberatore. Combatteva la chiesa, gli
abbisognava un'arme per vincerla: fu grande indicando lo scambio dei valori
sociali; primo forzava il contratto sociale a discendere dalle aride astrazioni
di Grozio, per renderlo veramente irreligioso e terrestre. Il suo torto fu di
confidare alla metafisica la fondazione della società: la metafisica respinse
colla rozza astrattezza della forza materiale l'anarchia della chiesa
cattolica, ma in pari tempo reclamò la schiavitù per ispegnere chi, libero di
mente, osasse giudicare la sovranità dell'Inghilterra protestante.
Rousseau ha
messo direttamente alle prese la libertà e la sovranità. Noi lo ripetiamo, se
siamo liberi siamo sovrani: se eleggiamo un sovrano, v'ha un uomo o un senato o
un popolo che dispone della pace, della guerra, quindi de' nostri beni, della
nostra vita; non siamo più liberi, non siamo più uomini. Di là le conseguenze
tiranniche de' metafisici, che cadono nella teoria della servitù. Rousseau
vuole evitare l'ultima conseguenza della servitù, vuol combattere per la
libertà, tenta di fare della sovranità stessa un'arme contro i tiranni. Per
raggiungere l'intento, scinde il patto sociale in due parti. La prima riunisce
gli individui, li trasforma in cittadini consociati, costituisce il popolo, e
accorda al popolo la vera sovranità, cioè un potere assoluto, inalienabile,
inappellabile, giudice supremo della società. Trovandosi costituito, il popolo
sovrano elegge il governo e tutti i poteri che, sotto nomi diversi, esercitano
la sovranità; questo è il secondo atto del contratto sociale, e ogni governo si
riduce ad un mandato variabile, ad una scelta di persone che non áltera, nè
modifica mai la sovranità del popolo. Rousseau combatte a meraviglia i governi,
li mostra quali delegazioni effimere, quali depositari momentanei; in essi
tutto è dovere, non hanno diritti, la sovranità rimane assoluta, inalienabile
nel popolo. Chi la viola è tiranno, santa è l'insurrezione che lo atterra;
santa è l'insurrezione del popolo, fosse pure ingrata, ingiusta, infame. Egli
solo è giudice di sè; non v'ha re, non pontefice che possa credersi in diritto
di resistergli. Per mala sorte Rousseau, fortificando il popolo contro il
governo, lo fortifica in pari tempo contro ogni uomo. Perchè il
popolo può abrogare, punire ogni governo? Perchè il popolo è sovrano, perchè il
popolo è assoluto, onnipotente quanto il Dio della religione. Dunque è signore,
dunque il popolo possiede tutti i diritti che Hobbes e Grozio concedevano al
governo; dunque il popolo ha il diritto di bandire l'empio come insociale; ha
il diritto di bandire chi non professa la sua religione; ha il diritto di vita
e di morte su ogni cittadino. Secondo Rousseau, l'uomo si è dato al popolo, per
la vita e per la morte (corps et biens); si è dato al popolo, che può
cambiare le leggi, che ha il diritto di proclamar leggi malvagie, che toglie al
cittadino il diritto d'interpretare le leggi. Rousseau trasferisce al popolo il
despotismo hobbesiamo, nega il diritto di disobbedire al popolo, il diritto di
distinguere il bene dal male, il diritto di giudicare il sovrano, il diritto di
professare una religione, un'opinione che non sia da lui riconosciuta. Eccomi
adunque schiavo di un'autorità dalla quale non posso appellarmi, di un'autorità
che può impormi la guerra, la prigionia, la morte; di un'autorità che può
prescrivere i miei pensieri, e ciò ch'io credo la verità, la salute della
patria, la felicità del genere umano. Se l'uomo non può darsi ad una famiglia,
ad un senato, ad un padrone, perchè potrà darsi ad un popolo? Rousseau dice che
la volontà generale è buona, che il popolo erra meno del principe: sia pure: ma
il popolo erra: ma il popolo volle morti i filosofi, gli eretici che precorsero
alla civiltà; ma il popolo fu pagano, cristiano; è dappertutto buddista,
braminico, teocratico, imperiale, ignorante ed infelice. Insorge? Si combatterà
a nome della patria e dell'umanità. Vuol comandare perchè popolo? Ogni uomo ha
il diritto di difendersi in nome dell'umanità; nessun popolo, fosse pur quello
di Sparta, ha diritto d'imporre altrui l'ilotismo della sua fede e di gettarlo
sul rogo. Che è questa sovranità sì forte, sì terribile, contrapposta da
Rousseau a tutti i governi? È l'eterno diritto d'insurrezione accordato nel
principio, negato di fatto, accordato alla città, rifiutato al cittadino. Ma
questo diritto dev'essere accordato ad ogni uomo per le stesse ragioni che
impongono di concederlo alla città. Perchè la città è sempre sovrana, sempre
libera, sempre inappellabile? Perchè la sua libertà è inalienabile; essa non è
una cosa, è una persona morale, non può perdere alcun diritto; contro di essa
non havvi prescrizione, non errore che possa prevalere. Dunque l'individuo allo
stesso titolo avrà il diritto d'insurrezione contro la città, che vuol disporre
della sua vita, della sua coscienza, della sua religione, dei suoi diritti
inalienabili. Il contratto sociale di Rousseau sacrifica il cittadino alla
patria, dunque sanziona la schiavitù; Rousseau è primo a confessare che l'uomo
non può essere libero se non ha schiavi, e quindi dichiara che la servitù
è inevitabile fuori dello stato di natura.
L'antinomia
della sovranità non si scioglie; conviene accettare la soluzione che si rivela.
Il contratto sociale scambia valori e diritti. Lo scambio de' valori è
rivelato, e determina poi quello dei diritti. A priori ogni scambio di
valori è impossibile: la rivelazione fonda la società, la costituisce,
l'ordina; ne nasce il sistema sociale, e quale è il sistema, tal è il diritto:
nè più, nè meno. Tolta la rivelazione de' valori, tolto il sistema, tolta la
religione, come mai potrebbesi ottenere il consenso necessario per costituire
la sovranità? Chi vorrebbe darsi in corpo ed anima ad altri uomini, accettando
anticipatamente le leggi, i giudici, i dogmi e tutte le servitù del contratto
sociale? In qual modo il consenso a questa terribile alienazione potrebbe
essere unanime in un popolo? L'alienazione del contratto sociale suppone che si
conoscano previamente tutte le sociali eventualità, che si conosca previamente
il valore di tutti i beni, che siasi già adottata la misura del merito degli
uomini, che siasi prevista in certi limiti la carriera che si apre dinanzi a
noi sulla terra. Questa stima, questa previdenza, che abbraccia tutto, chi può
darla se non il sistema religioso? La religione lega gli uomini, e li dà già
uniti al sovrano;. La religione è una stima di tutti i beni visibili e
invisibili. di tutti i valori personali e reali; essa determina coi valori,
voglio dire coi dogmi, la morale. Colla morale contiene in potenza il primo
principio del diritto, quindi conduce al contratto sociale. Si guardi alla
storia, si vedrà sempre il contratto sociale in balia delle religioni,
costituito dalle religioni. Esse creano il governo, distribuiscono le corone, divinizzano
i re, motivo per cui i popoli li chiamano sovrani.
Il contratto
della sovranità finisce, come tutti gli altri contratti, nell'istante in cui ci
accorgiamo che ci rende schiavi. Se la religione che ci riuniva
cessa improvvisamente di essere creduta, se le azioni da lei imposte divengono
immorali, inique, se la sovranità identificata colla religione impone l'errore,
l'immoralità, forse l'assassinio: se ci avvediamo che promettendo obbedienza
abbiamo soscritto il patto della schiavitù, allora il patto è perento, allora,
se fosse mantenuto, noi cadremmo schiavi, non delle nostre idee, non della
rivelazione, schiavitù inevitabile, ma di un senato, di un uomo, di un popolo.
Qui si deve nuovamente ripetere: quando l'uomo nasce, s'emancipa lo schiavo; e ne
consegue che ogni insurrezione legittima è fatta a nome dell'umanità, che si
svela interiormente in noi stessi, ogni progresso subordina lo Stato alla
fratellanza crescente del genere umano.
Lo Stato decade di
continuo. Già dopo Cristo divenne inferiore all'uomo, e fu trasformato in un
organismo il cui principio sta fuori della legge, fuori del cittadino, nel
cristiano. La rivelazione sacra aveva ragione; l'uomo è superiore al cittadino,
è l'uomo che crea lo Stato, e chi lo crea può distruggerlo. La stessa parola
Stato è moderna, ed esprime una decadenza; prima di Cristo si chiamava solo la
patria; e per ogni cittadino essa era l'universo; chi non era cittadino, era
all'interno schiavo, all'estero nemico Dopo Cristo la patria muta nome, perchè
ogni terra divenne uno Stato della cristianità, Quando la metafisica vuol
succedere al cristianesimo cercando l'avvenire nelle antinomie, lasciò sfuggire
il vero problema dell'umanità: non oppose i veri valori ai falsi, i veri
diritti all'ingiustizia, non fu positiva; e scorrendo sul pendio delle
antitesi, giunse alla patria astratta d'una sovranità impossibile. L'anima di
Rousseau vi subì il martirio della libertà: sfidò la contraddizione col
sentimento e imprigionata nell'astrazione, vedeva vuota d'ogni intorno la terra
del diritto. Opponeva il popolo sovrano a' suoi sovrani nominati; ma questi
pure son popolo, i loro sgherri son popolo, s'avanzano ardimentosi; sostenuti
dalla turba dei paesani, oppongono le campagne alle città, le masse alle masse.
Rousseau vuol chiamare tutto il popolo ai comizi, lo vuol padrone de' propri
interessi, lo vuol diffidente d'ogni suo commesso; e il vero popolo gli sfugge
occupato dall'industria, dalle arti; sparso su vaste regioni, il popolo deve
delegare i poteri, darsi un governo, forse un tiranno, certo un tiranno
giuridico, e poi sempre a soggiacere alla tirannia giuridica della maggioranza.
Rousseau vuol combattere la chiesa, che sovverte lo Stato, che santifica i re:
e qui ancora l'antinomia lo afferra, perchè la religione maledetta dal
metafisico è la religione del popolo; Rousseau esita, vorrebbe una religione
tirannica per dominarla, non vuol l'empietà, è vinto dall'astrazione; e diventa
hobbesiano. Poi l'infelice vien meno nell'alta regione della sua patria
astratta; di là vede che i cittadini degli Stati d'Europa non possono stare
permanenti ne' comizi, che il popolo combatte pei tiranni, che la religione
combatte i cittadini, e quindi infrange il suo proprio lavoro, la sovranità
metafisica proclama lo stato di natura. Hobbes aveva detto: o il mio despotismo
o lo stato di natura: Rousseau spaventò i tiranni, scegliendo lo stato di
natura, che reputavasi impossibile. Lo stato di natura? Sì, il cuore del
metafisico lo presentiva, la rivoluzione era imminente, lo stato di natura era
quello in cui l'umanità doveva dominare ogni Stato; ma doveva uscire dalla
rivelazione, non dalle contraddizioni del contratto: doveva nascere come nacque
il cristianesimo, e non sorgere a soluzione delle contraddizioni eterne.
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