Capitolo XVI
IL GOVERNO
La sovranità fissata
da un doppio scambio di valori e di diritti ci offre un doppio fenomeno. Da un
lato, si suppone, si vuole che i poteri dello Stato siano confidati agli uomini
più interessati al buon governo: lo scambio dei valori si misura colla legge
dell'interesse; e cade così sotto il calcolo della politica e delle scienze
economiche. Qui la società è un'opera materiale, una creazione dell'egoismo, un
equilibrio di forze meccaniche. Dall'altro lato, si vuole che la sovranità sia
confidata ai migliori, scelti dalla rivelazione morale del popolo, che soscrive
il contratto. L'antinomia politica e la giustizia si contraddicono in tutti i
punti; l'una dichiara le funzioni pubbliche altrettanti benefizi; la giustizia
li considera doveri; la politica confida nell'egoismo, la giustizia domanda
ascetismo; la prima vuole capacità, l'altra probità; l'una si fonda
sull'autorità di Machiavelli e di Adamo Smith, l'altra invoca la repubblica di
Platone e la Città del Sole.
La metafisica
scorre a traverso le contraddizioni della politica e del diritto, e s'aggira in
un labirinto di ingegnosissime aberrazioni. D'indi que' mille problemi, sempre
agitati e non mai sciolti, sulla natura del governo, degli uomini politici, del
progresso. Si dimanda se sia da preferirsi un governo forte a un governo
giusto; se i capi dello Stato devono essere uomini di affari o uomini di
scienza; poi si chiede se il governo deve essere severo o clemente, veridico o
versatile, fermo e intero nella sua volontà, o pieghevole alle circostanze; se
le cose dello Stato devono essere discusse pubblicamente, o se la secretezza
sia l'anima degli affari; se deve prevalere la morale o la ragione di Stato, la
probità o la corruzione, l'ordine o la libertà, la conservazione o il
progresso. Vuote antitesi, che si combinano in mille modi diversi, senza che vi
sia un limite al loro complicarsi o un'uscita ai loro problemi. Preso l'utile
come termine primo, può congiungersi colla monarchia, colla democrazia, colla
probità; colla corruzione; ed a nome dell'utile si giunge al despotismo di un
individuo, giungeall'eguaglianza democratica, si sanziona l'equilibrio degli
interessi nella monarchia costituzionale, e in pari tempo si fonda la banca di
Saint-Simon sospesa tra la democrazia e la teocrazia. Il governo può esser
forte colla monarchia e colla repubblica, col tiranno e col filosofo; il
tiranno stesso può essere utile, e possiamo scinderlo nell'antitesi della
tirannia, utile e malefica secondo che propugna o combatte il progresso. Le
astrazioni scorrono sì' vuote nel discorso, che i termini di progresso,
d'ordine, di libertà lasciansi intervenire, lasciansi deridere, e vedonsi
usurpati da ogni oratore, da ogni ministro, da ogni governo. Preso poi nel suo
significato rigoroso, ogni termine incontra la sua antitesi che lo paralizza.
Volete esser sincero, intero nel governo? Operate; giunge il momento in cui
convien sottrarre un fatto alla pubblicità, in cui dovete celare un secreto al
nemico, in cui dovete nascondere i preparativi della guerra, le diffidenze
premature; giunge il momento della dissimulazione: e qual'è la linea che separa
la dissimulazione dalla simulazione? Vi sfido di trovarla logicamente: e qui la
logica s'impadronisce di voi, vi impone il secreto, vi parla della salvezza
dello Stato, vi forza a lasciar sussistere l'errore, e se l'errore sussiste,
inganna; e chi vuol ingannare governa colla ragione di Stato, governa
coll'impostura. Volete esser conservatore? sia; conservate lo Stato, resistete
all'innovazione, difendete l'ordine; l'ordine è bene per ciò solo che è; ma col
difenderlo combattete il progresso, la morale, l'umanità nascente; giunge il
momento in cui siete nemico del genere umano, e in pari tempo se vi rimanete
nell'astrattezza dell'ordine, se persistete nel combattere, se state fermo, impavidum
ferient ruinae; la logica trarrà il sublime dall'infamia, che combatte la
morale. Volete esser clemente? La logica vi mostrerà che non sarete rispettato,
che la giustizia non è vostra proprietà, che non ne siete padrone, che è cosa
dello Stato, che la legge deve essere osservata, che chi lascia la legge
impotente distrugge la giustizia, la quale non ammette gradi: quindi la
clemenza negata, l'equità negata, il giudaismo del summum ius che
trionfa, e il summus ius che guida alla somma ingiuria.
In somma,
fuori del rivelato non v'ha guida, nè posa; tutto ondeggia tra i contrari,
tutto scorre tra le antitesi: accettiamo la rivelazione: fuori di essa non
v'ha, non vi sarà mai il nesso che congiunge nei governi l'utile col giusto. Da
una parte l'utile ha sempre creato ogni governo: la forza ha sempre disposto
delle cose e degli uomini: chi vorrebbe, chi potrebbe governare uno Stato se
non avesse la forza, le armi, le ricchezze necessarie per mantenersi? La forza
è all'origine di tutto; le conquiste, le guerre hanno predisposto ogni Stato.
Ogni individuo trova nel suo organismo la forza primitiva, il dato che lo fa
essere quello che è; ingegnoso o debole di mente, fermo o pieghevole, facile
all'ira o paziente per natura. Istessamente ogni Stato eredita dai suoi
primordi la forza, che lo fa essere e stare qual'è. Questo appare, nè può
essere negato. In pari tempo l'idea di affidare il governo ai migliori è
contemporanea del regno della forza, è l'idea di tutti i popoli; non havvi
tribù in cui non siasi manifestata. Tra i selvaggi il capo è il primo de'
guerrieri, il più ardito nella battaglia, il più savio nella pace. Alla China
l'imperatore è figlio del cielo; i libri sacri gli attribuiscono tutte le
virtù, egli è padre de' popoli, tutte le sue azioni predeterminate dalla legge;
esse devono sempre rappresentare l'autorità paterna nella esaltazione più
religiosa. Nel Perù il capo degli Incas prometteva di regolare il corso delle
stagioni, e, ministro del cielo, sosteneva sulla terra la parte di un Dio.
Presso i Musulmani, in Egitto, nell'India, nel Tibet, spetta alla teocrazia il
consacrare il sovrano: tutte le caste dell'antichità discendevano dal cielo;
quelle del medio-evo erano santificate dalla chiesa. Separandosi dalla chiesa cattolica,
i re protestanti si sono dichiarati pontefici; lo czar è in pari tempo papa e
imperatore. Non è da credersi che il censo o l'eredità, scegliendo il sovrano,
neghino il principio di scegliere il più degno; il censo e l'eredità sono mezzi
rozzi di cui già si serviva la società per eleggere i migliori: non si
abbandonava al caso della nascita se non per evitare l'anarchia di una scelta
migliore, riputata impossibile. La giustizia appare adunque quanto l'utile e
indivisa dall'utile. Sola la giustizia non fu mai nella storia: e di che
sarebbe stata la giustizia? I migliori nel senso astratto non hanno mai
regnato: e in che sarebbero stati migliori? in virtù astratte, in tesi
scolastiche; queste condannate a regnare nel recinto della scuola, dovevano rimanere
sottomesse alla virtù del sistema sociale, della religione, dei pontefici,
della guerra. Quanto si dice de' governi si applichi ad ogni partito, ad ogni
setta, ad ogni consorzio d'uomini che abbisogni di governo o aspiri a
governare: qui il governo in potenza è l'uomo d'azione, il quale dev'essere
interessato e ascetico, intelligente e morale, e riunire il maggiore interesse
al trionfo del suo principio, alla più grande abnegazione sugli altri
interessi. Per ciò fu sempre facile la calunnia. L'interesse non è il denaro,
non la fortuna; è la gloria, è l'ambizione, può concentrarsi sul nome solo che
si volesse noto a' posteri; quindi l'accusa passa dall'atto all'interesse,
disconosce il sacrifizio per afferrare l'interesse del sacrifizio, e ad ogni uomo
d'azione si potrà sempre rimproverare di volersi sostituire al governo; ad ogni
profeta si potrà sempre imputare di mettersi in luogo di Cristo. La chiesa non
si stancava di maledire l'orgoglio degli eretici che inviava al rogo. La
facilità della calunnia mostra l'indivisa natura dell'interesse e del dovere
nell'operare, nel combattere, quindi nel governare: scorgesi quindi che il
lavoro della scienza non consiste nel cercare gli uomini più interessati o i
migliori; consiste nel cercare l'interesse e il principio che devono regnare,
trascurando gli uomini, le persone, gli accidenti dell'egoismo e della
simpatia. La scelta degli uomini, la congiunzione dell'interesse e
dell'ascetismo sono fatali, non possiamo signoreggiarle; ogni tentativo per
dominarle è irrito o torna a profitto della fatalità stessa, poichè, volendo
signoreggiare, siamo signoreggiati. Tentate di comporre un governo, le persone
da voi preferite nel mistero di una società secreta o nel secreto di un
gabinetto sono uomini, saranno la materia animata d'un principio che ve li
torrà, li rivolterà contro di voi, li subordinerà ad altri uomini, e
combattendo o propugnando il progresso, troverete sempre che il supremo
elettore di ogni capo è il popolo e che la natura opera colla voce del popolo.
Quali saranno
adunque per noi l'interesse e il principio del governo? L'interesse generale
combatte per la legge agraria; il punto su cui cade nella sua attuazione si è
l'eredità, l'abolizione delle grandi fortune; quindi il governo deve
rappresentare l'interesse e la giustizia della legge agraria; le persone
sortite a governare devono essere assorte per egoismo e per ascetismo
nell'opera che eguaglia le fortune. Ci è difficile esentare il ricco da una
nota di sospetto: lo vediamo qualche volta devoto al popolo; è devoto nella
certezza di non rimanere spogliato dalla stessa legge che proclama, spera di
salvar sè stesso nel trionfo della casta che combatte, è devoto nella fede di
non riuscire. Lo abbiam visto da sessant'anni pronto ad accogliere tutti i
sofismi della metafisica onde sfugga per la tangente di astratte considerazioni
all'imperiosa legge della giustizia, che lo voleva intento all'opera unica
dell'eguaglianza e dedito alla giustizia qualunque fosse l'evento. Abbiam visto
ricchi istupiditi ne' piaceri acquistar d'un tratto l'operosità, la perfidia di
uomini rotti nelle male arti della corruzione, e improvvisati tribuni, mentire,
tradire, malversare, felicissimi d'aver ruinato sè stessi perchè in un con essi
avevano perduto un popolo e acquistato una rinomanza che ondeggiava confusa,
accusandoli d'incapacità o d'infamia. L'avvenimento del proletario deve esser
confidato ad uomini che si separino dall'antica tradizione, che non possano
trovarvi addentellato o ritirate, ricordanze o seduzione. Quindi il regno del
popolo, il vero governo del popolo. In questo senso possiamo dire che il
governo decade come lo Stato. Non è più il dominio sacerdotale o feudale: non
deve esser più il dominio del ricco che difende il ricco contro il popolo, e
che si fonda sulla impostura del prete e sulla forza del soldato; dev'essere
un'amministrazione, non dev'essere governo d'altri su di noi, ma governo di noi
per mezzo di noi; dev'essere, come si dice in Inghilterra, un self-gouvernement,
un popolo sè-reggente.
Un problema
si presenta: se il governo del popolo deve non esser dominio, dove troverà la
forza di dominare la reazione de' ricchi? Se è debole, sarà vinto; se vuol
esser forte e atterrire i suoi nemici, sarà un nuovo dominio, sarà
un'imitazione dell'antico governo. Sembra che l'avvenire dipenda dalla
soluzione di questo problema: traduciamolo in altri termini: ci si dimanda:
come volete abbattere il governo dei ricchi se non imitate il loro governare?
come volete giungere al governo del popolo con un governo che imiti i ricchi?
Il che torna lo stesso che il dire: volete la pace e vi servite della guerra?
volete la libertà e tiranneggiate? volete l'eguaglianza e punite? Rispondo: noi
siamo qui in presenza di un dilemma critico eterno. Guai se si vuole sciogliere
colla metafisica. Bisognerà transire alla libertà di tutti colla libertà di
tutti, compresi i ricchi, compresa la loro clientela, compreso il governo che
si vuol abbattere. Quindi interdetto al governo del popolo d'imitare la
Convenzione all'interno, vietato alla Francia di imitare la propaganda armata
di Napoleone, vietato allo Stato d'imporre l'educazione pubblica, un'istruzione
determinata, un livello alle fortune, una repressione alle leghe de' ricchi,
de' preti, de' retrogradi; quindi l'antica società ricostrutta a nome della
libertà di tutti; e nel fatto non esprimeva essa la libertà di tutti nel
sistema feudale e teocratico? No, non si transisce mai logicamente dal passato
all'avvenire, dal male al bene; il progresso è moto, è alterazione, è
diventare, è essere e non essere ad un tempo; il progresso condurrà alla pace
colla guerra, all'eguaglianza colla dominazione: contraddittorio come ogni cosa
dovrà essere il transito dal governo dei ricchi non è di tutti. Se
non dovesse esser contraddittorio, non dovrebbe apparire, dovremmo disperare
dell'umanità. E la contraddizione sarà vinta e prodotta ad un tempo dal fatto;
il progresso sarà positivo; la necessità di resistere agli uni, di favorire gli
altri, di far regnare un'idea, di morire se non regna, formeranno a poco
a poco quel governo de' migliori che sarebbe un sogno metafisico se noi
volessimo tracciarne le regole a priori, dovendo esso uscire dai
sentimenti e dalla vita che si rivela, ma che non è rivelata.
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