Capitolo XVII
IL DELITTO
Col delitto si viola
il patto sociale, colla pena si difende: il delitto e la pena sono egualmente
determinati dalla doppia rivelazione dell'interesse e del dovere.
Che è il
delitto? In primo luogo è un assalto, una guerra, un danno; sconcerta la
società, se non viene represso, interverte l'ordine sociale, annienta tutti i
valori della legge. In seguito il delitto è una violazione dell'inspirazione
morale; non si limita a danneggiare, provoca una vera indignazione giuridica,
fa scandalo, tollerarlo sarebbe un tollerare l'ingiuria e venire a patti col
male. Ogni delitto è dunque in pari tempo un danno e un insulto. La pena alla
volta sua offre il doppio elemento dell'interesse e del dovere. Ogni pena è una
difesa, un'opera politica; colla pena si dà un esempio, si minaccia un male
maggiore de' vantaggi che il colpevole può sperare dal delitto. Ma il
legislatore, misurando la pena, proporzionandola alla necessità della difesa,
non considera l'assassino come suo eguale, non considera il delitto come uno
sforzo individuale per sè stesso indifferente. Egli è ministro della
indignazione universale, domina il colpevole dall'alto della sua virtù, e
s'impadronisce del malfattore a cui fa espiare la violazione della legge
morale. Il perchè Caino fugge lo sguardo degli uomini: nelle società antiche la
famiglia della vittima poteva perseguitare il colpevole, il sangue sparso
dimandava la riparazione del sangue: volevasi l'occhio per l'occhio, la mano
per la mano; il figlio non aveva riposo finchè viveva l'assassino del padre.
Questo era un sentimento giuridico; e in pari tempo la vendetta atterriva il
malfattore, lo disanimava dall'assalto; e non si osava ferire la famiglia che
le furie d'Oreste avrebbero resa implacabile.
Fu spiegata
la pena coll'unico elemento dell'interesse: la vendetta e l'espiazione furono
biasimate quali inutili elementi della penalità. La vendetta, dicesi, non è
forse inutile? non è forse un delitto aggiunto al delitto che punisce? No; la
vendetta espia, appaga, è reclamata dalla poesia del diritto; se non misurata
dall'interesse, è male inutile; misurata dall'interesse, sola giustifica il
male della pena. Si tolga al legislatore la dignità sacerdotale dell'uomo che
impone un'espiazione, si tolga al giudice la dignità dell'uomo che amministra
la giustizia; il legislatore, il giudice non saranno altro che aiutanti del
carnefice, la penalità sarà trasformata in un giuoco di sangue; non vi sarà più
delitto, nè pena, rimarrà la sola guerra degli interessi. Si sopprima nel cuore
umano quell'istinto d'ira che lo sprona al momento dell'offesa; si tolga la
tendenza irresistibile a far giustizia; in altri termini, si sopprima la
vendetta che vuole espiato il delitto; si distruggerà nella sua origine la
dignità del giudice, quella del legislatore: Caino sfiderà il genere umano.
L'errore che
proscrive la vendetta e l'espiazione nel loro principio nacque da un
pregiudizio metafisico, assecondato da un'ignoranza di fatto. La metafisica
consigliava di dedurre logicamente la penalità da un principio unico;
l'interesse presentavasi obbediente, facile nella pratica, pronto nelle
deduzioni; l'interesse era dunque assunto quale apparenza prima, destinata a
spiegare, a dominare tutte le apparenze; a nome dell'interesse si avversavano
tutte le leggi di vendetta e d'espiazione lasciate dall'antica barbarie alla
moderna Europa; si combattevano le leggi sulla tortura, sui supplizi,
sull'inquisizione; si combatteva l'espiazione imposta al sacrilegio, alla
profanazione, alla bestemmia, agli attentati contro le vuote divinità
dell'Olimpo cristiano. Si trionfava, il popolo applaudiva redento e liberato
dalla tirannia antica. Ma l'interesse valeva solo perchè sostenuto da un nuovo
sentimento, solo perchè concetto in un sistema nuovo; e procedevasi
vittoriosamente in teoria per la sola ragione che s'ignoravano gli interessi
del medio-evo. A buon diritto i filosofi del secolo decimottavo opponevano gli
interessi della civiltà a quelli del papato, i valori della terra a quelli del
cielo, i diritti del popolo a quelli dei signori. Pure l'interesse in altri
tempi aveva giustificato la tortura, la ruota, i più atroci supplizi. La
giurisprudenza della tortura era dedotta dal principio della necessità per cui
si torturava l'innocente nell'intento di togliere l'impunità al colpevole: ed
era necessario torturare lo stesso colpevole confesso, perchè il suo silenzio
non sottraesse i complici alla giustizia; il silenzio era una ribellione. Si
freme, ma il ragionamento della difesa era spietato. Se il giudice condanna il
colpevole ai lavori forzati, se lo condanna al supplizio della solitudine nelle
celle del sistema penitenziario, perchè non potrebbe condannarlo al dolore
della tortura per estorcergli un secreto? Lo stesso si dica di tutti i
supplizi; se la prigione non bastava ad atterrire il colpevole, perchè il
legislatore non l'avrebbe punito colla morte? se la morte non bastava, perchè
non aveva il diritto di spargere un terrore più spaventevole? L'uomo sulla
ruota, il malfattore squartato dai cavalli, i teschi umani esposti alle porte
della città, nelle gabbie, ecco gli spettacoli del medio-evo, giustificati
dalla logica dell'interesse. Nelle università dell'Austria ho inteso professori
che insistevano sull'utilità delle bastonate; le loro dimostrazioni erano
perentorie; secondo essi, l'interesse dell'esercizio consigliava un castigo
breve e terribile, esemplare e non micidiale. Che rispondere? Nulla, a chi non
intende se non quell'utile che s'impone
colla forza del bastone a profitto de' signori. Da ultimo, se la legge
proteggeva Dio, i santi e la chiesa, si è che la chiesa difendeva i signori: la
bestemmia scuoteva la società feudale, ne scuoteva la base. Opponete voi
all'interesse dei signori l'interesse del popolo? Allora la tortura, i
supplizi, il bastone, le leggi d'espiazione sono infamie che proteggono infami
privilegi, l'impostura di una proprietà infeudata in poche famiglie e protetta
col terrore. Ma perchè l'interesse del popolo deve prevalere a quello de'
signori? perchè l'interesse universale deve trionfare su quello di privilegiati?
perchè Voltaire, Beccaria, Filangeri e gli uomini del decimottavo secolo sono i
nostri apostoli, i nostri profeti, mentre aborriamo i difensori della tortura,
della ruota e del bastone, difensori sì odiati che lo spirito del tempo
disdegna di raccoglierne i nomi? Perchè siete cittadino, e non suddito? perchè
volete essere uomo, e non servo? perchè proclamate l'interesse dell'umanità?
Egli è perchè siete uomo nel vostro cuore, nella vostra vita, nel vostro
sentimento; perchè quella vendetta che un tempo spingeva i Buondelmonti e gli
Uberti, i Panciatichi e i Cancellieri a scannarsi a tradimento,
quell'espiazione un tempo riservata a vendicare delitti che non erano delitti,
colpe che oggidì sono meriti, sempre aderente, indivisa dal vostro cuore, indomita
nella vostra coscienza, vi vuol vindici dei delitti di lesa umanità. Misurate
pure questi delitti coll'utile; se non avete cuore, la misura stessa dell'utile
si troverà falsata nelle vostre mani; per difetto di cuore, non avrete
intelligenza.
In oggi la
penalità deve essere misurata dall'interesse e dal sentimento dell'umanità;
questa parola d'umanità, che qui scriviamo, dettata dalla scienza ci è imposta
prima che concetta dal sentimento pubblico, dal linguaggio di tutti. Si vuol
umanità nella legge, umanità nel giudice, umanità nella prigione. Perchè?
Perchè ci sentiamo solidari del delinquente, ci sembra di esser complici del
suo delitto; il delinquente nacque col diritto al lavoro, all'istruzione: gli
abbiamo assicurato il lavoro, l'istruzione? sa scrivere? sa leggere? chi lo ha
lasciato sui trivi? chi lo ha lasciato nell'ozio imprevidente della miseria?
chi lo ha esposto al delitto? chi gli ha dato l'esempio di piaceri, di delizie
insolenti che potevano godersi senza lavoro, senza titolo, senza giustizia? Si,
siamo complici d'ogni delitto che si commette: quindi la pena reclamando
espiazione, si ferma tremante; parla di prigioni penitenziarie, di case di
lavoro; vuole istruire, emendare i giovani detenuti. Tentativi inutili, scempi
palliativi a un male profondo, radicato nel riparto attuale della proprietà, ma
pure testimonianze irrecusabili della giustizia de' sentimenti i quali
reclamano la revisione del patto sociale che distribuì le fortune.
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