Capitolo
II
LA RIVELAZIONE SOPRANNATURALE
Ogni vizio della religione deriva
da un primo vizio: la fede in Dio che governa il mondo. La religione vuol
essere un sistema unico, vuol tutto spiegare storicamente. Sa perchè il mondo
fu creato, perchè il sole c'illumina, conosce il genio che lo muove, sa tutto
in un modo certo e positivo, e la sua scienza è sottoposta agli Dei. Ne
consegue che le forze non sono più forze, sono effetti di una volontà o di un
pensiero superiore alla natura. Gli alberi, gli animali, tutte le creature si
presentano all'uomo quali segni del linguaggio personale degli Dei: si dimanda
al cielo il senso occulto delle cose, si suppone uno scopo, un'intenzione
divina in ogni essere. La disposizione degli astri, la configurazione dei
fiori, degli animali, il corso delle stagioni, tutto è interpretato sotto
l'aspetto degli istinti, dei capricci, dei piaceri attribuiti ai genii che
reggono il mondo: a poco a poco l'idolatra, col moltiplicare le ipotesi e le
congetture, tramuta l'intera natura in una natura imaginaria: la natura non
vive più della sua vita. Dio toglie l'anima ad ogni essere.
Lo stesso
fatto deve cedere al miracolo. Gli idoli son prodigi, la loro vita è un
continuo prodigio; essi dispongono degli astri, degli elementi, di tutto; essi
ci signoreggiano. Soggiogato dalla propria finzione, l'uomo deve invocarli,
adorarli. Rispondono all'invocazione, alla preghiera, all'adorazione? Ecco il
miracolo. Il miracolo li mette in relazione con noi, li rivela; la rivelazione
sacra comincia a formarsi. In pari tempo ogni nostra azione vien travisata;
l'uomo crede di poter modificare il corso delle stagioni, la serie degli eventi
colla preghiera, coll'astinenza o colle invocazioni. D'indi gli esorcismi, gli
amuleti, i circoli magici, le abluzioni, le innumerevoli cerimonie religiose,
il cui scopo è sempre di operare sulla natura influendo sulle forze occulte
elementari e viventi che la governano. I circoli naturali delle cose sono
travolti in circoli fantastici.
La fede nel
miracolo crea la tradizione sacra. Credete voi ai miracoli? Se scrivete la
vostra storia sarà una storia miracolosa, un racconto mescolato di favole. Da
che gli Dei intervengono nella storia degli uomini bisogna attribuir loro il
bene, il male, le vittorie, le sconfitte, le carestie, le pesti, le
inondazioni, il coraggio che addoppia le nostre forze, la paura che le
sopprime, l'ispirazione che illumina il genio, le invenzioni che elevano
l'umanità. Se Ulisse è astuto, è Minerva che lo consiglia; se Ettore trema
dinanzi ad Achille, è Marte che lo atterrisce: sono gli Dei che costruiscono le
città, che dettano le leggi; la Musa detta ad Omero l'Iliade; un Dio ispira Walmiki,
che scrive il Ramayana; Euclide depone i suoi libri di geometria nel tempio di
Delfo. Si fa Dio autore delle nostre opere. La tradizione, questo racconto
favoloso di opere umane, collo scorrere del tempo attribuisce agli Dei
l'origine della nostra società, delle nostre leggi; divinizza il nostro sistema
sociale, trasporta tutta la nostra mente fuori di noi, in Dio e Dio ci toglie
la ragione. Egli è allora che la rivelazione naturale trovasi compiutamente
travisata nelle cose e nei pensieri; e allora la tradizione che l'insulta e
l'uccide chiamasi officialmente la rivelazione soprannaturale, la legge divina,
la buona novella, la via della salvezza.
L'autorità è
il risultato della rivelazione soprannaturale. La tradizione, il libro sacro,
la favola esprimono la volontà irresistibile degli Dei; bisogna obbedire,
bisogna vegliare perchè la legge sia osservata. Ecco il sacerdote. Avete
trasportato la vostra ragione fuori di voi, in cielo; bisogna che altri vi
rappresenti; vi siete perduto, bisogna che altri vi salvi; siete divenuto
schiavo della vostra finzione, riconoscete la necessità di un padrone. Il
sacerdote traccia la pianta delle città, prescrive le preghiere, i digiuni, le
macerazioni; dice se devesi combattere o chiedere la pace, se devesi togliere
od aggiungere una corda alla lira; il sacerdote sarà ministro d'ogni vostro
trovato, sarà la ragione della vostra ragione. Nulla è lasciato al caso: gli
Dei occupano l'intera natura, l'uomo non può vivere se non interpretando di
continuo la legge occulta che governa gli elementi, non può credere a sè stesso
prima d'aver consultato la sua finzione. Qui la ragione sola è follìa,
l'autorità vieta di appellarsi al buon senso, all'esperienza, ai lumi naturali:
essa sacrifica ogni libertà come una ribellione, la ragione naturale come un
attentato contro il regno degli Dei, contro l'umanità, che non è più in noi, ma
in cielo.
La
dominazione dell'uomo sull'uomo è l'ultima conseguenza d'ogni rivelazione
soprannaturale. Gli idoli, gli Dei limitati, vivi, appassionati, vogliono
essere rispettati, venerati, obbediti; conviene indovinare la loro volontà,
conviene adorarla. Ina ltri termini gli idoli sono i re del cielo e della
terra, consacrano il principio della dominazione, voglio dire, di un governo
fondato a profitto di chi governa. Colla loro influenza gli idoli sviluppano
questa dominazione: non proteggono forse i loro adoratori? non accordano forse
i loro favori ai servi più devoti? non si lasciano forse toccare dalle offerte,
dalle orazioni? Da che havvi un idolo, havvi un uomo favorito dall'idolo; i
favoriti dei padroni del cielo saranno necessariamente i padroni della terra;
gli eletti dell'Uomo-Dio, gli eletti dell'umanità alienata e trasportata fuori
dell'uomo saranno i signori dell'uomo, che si è spogliato della sua ragione e
ridotto allo stato di cosa. Alla loro volta i miracoli fortificano la
dominazione dell'uomo sull'uomo: nel fatto il miracolo è un favore, un
privilegio, sospende le leggi dell'universo per proteggere un re, un sacerdote,
una casta, un popolo eletto: esso è essenzialmente eccezionale e direi quasi
aristocratico. Quelli a cui è rifiutato, quelli che lo ignorano, quelli che lo
negano non sono forse legalmente degradati e rejetti fuori della ragione
universale? Dalla degradazione alla servitù in teoria non v'ha differenza: e in
pratica? La religione è la pratica della servitù.
E perchè
accettavasi la religione? Perchè coincide colla fatalità che ci opprimeva. Siam
nati in un mondo ostile, il problema della nostra attività non si svolge
spontaneo come negli animali: non v'hanno valori che ci attraggano a lavori
determinati e continui; il lavoro ripugna al selvaggio, che la natura vuol
vinto da un'inerzia mortale. Non siamo tratti all'azione se non dalla disperata
necessità della guerra: egli deve cacciare per vivere e la caccia è già una
guerra; il selvaggio deve difendere la foresta che racchiude il suo vitto, e
l'inerzia è ancor vinta dalla guerra tra le orde; la guerra gli dà il genio
dell'offesa, della difesa, gli dà l'instancabile energia di Nemrod, gli dà lo
schiavo a cui imporrà il lavoro che odia, gli dà così il primo germe
dell'industria, i primi secreti del governo. La guerra scuote di continuo
l'indolenza, le abitudini, l'imprevidenza; la guerra spinge al progresso sotto
pena di morte: la guerra fa del selvaggio un eroe, un patrizio; la guerra fa
della città guerriera una falange predestinata al dominio della terra. La
natura nemica dell'uomo porta la guerra tra gli uomini, e l'umanità sfugge alla
propria distruzione, sviluppandosi col genio delle conquiste: quindi le grandi
invasioni barbare, i Pelasgi, i Galli, i Tartari, i Germani e i Romani che
furono l'espressione ideale del patriziato conquistatore3. Se
l'ignoranza nativa vincolava l'uomo alla religione, se la mente umana non poteva
sorpassare le necessità imposte al conoscere e al pensare, se la religione era
l'errore teorico che non potevasi evitare, la conquista, sotto mille forme e
nei suoi innumerevoli accidenti, è l'interesse che la religione santificò e
servì. Il suo Dio fu il Dio dell'ingiuria, il Dio del vincitore; il suo
miracolo fu la vittoria, la sua autorità fu l'autorità del padrone; dappertutto
la rivelazione soprannaturale guidò l'avventuriere alla conquista della terra
promessa; dappertutto predicò agli schiavi, ai servi, ai vinti l'obbedienza
come un dovere.
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