Capitolo
III
I FENOMENI RELIGIOSI
La religione è un
sistema, è ragionata come ogni sistema; il canto de' primi poeti, non fu più
libero della Somma di San Tomaso; i profeti che trasportavano a Dio la ragione
dell'uomo furono prudenti quanto lo richiede il metodo di Bacone. Ma la
saggezza dei barbari è follia; e nella rivelazione sacra l'osservazione e
l'induzione si sviluppano inversamente, spinte verso il falso dall'errore di
Dio. Il sacerdote deve provare l'esistenza degli Dei invisibili, indovinare le
loro avventure nelle regioni inaccessibili ai mortali; la sua religione vuole
spiegata istoricamente la potenza divina, che si fa gioco degli ostacoli della
materia. Gli Dei sollevano i flutti del mare, governano le tempeste, penetrano
attraverso le mura dei palazzi, scendono nelle spelonche attraverso le rupi;
gli Dei disperdono gli eserciti, rovesciano le città. Come? Il sacerdote deve
rispondere, e risponde sempre dimostrando la possibilità storica del prodigio,
trasportando di continuo la natura umana fuori dell'uomo. Osserva la potenza
dell'inspirazione, del coraggio, dello sguardo; la concede alla luce, al suono,
all'aria, al fuoco; concede agli elementi più sottili la forza intelligente
della vita e dell'istinto; concede agli Dei la forza di tutti gli elementi,
compenetrati gli uni negli altri, ed esagerata all'infinito. Gli ostacoli
scompaiono, il meccanismo cede, un soldato può combattere un esercito, il
palladio può difendere la città, un incanto può proteggere la patria, Dio può
fare il cielo e la terra. È così che il sacerdote si serve dell'osservazione e
dell'induzione. Egli osserva l'eccezione per negare la legge, osserva la vita
per sopprimere il meccanismo, osserva il fatto per indurre il miracolo. Siano
interrogate tutte le mistagogie dell'Oriente; siano interrogati i mistici del
medio-evo e quelli del risorgimento, Boehm e Postel; siano esaminati
attentamente Roberto Fludd, Swedemborg ed anche Carlo Fourier, si vedrà sempre
lo stesso procedere. I mistagoghi si fondano sull'osservazione e
sull'induzione; ma mettono la logica al servizio di un'ipotesi vitale, la
vogliono istromento di prodigi, e sempre partono dall'eccezione, dall'anomalia,
da un privilegio vitale per trarne un mondo magico, esagerato dalla forza
iperbolica degli Dei. Opponete voi l'inesorabile fatalità del mondo,
l'inflessibile necessità delle leggi meccaniche, in una parola, tutte le leggi
note della natura? Per essi la rivelazione soprannaturale, la vita universale
sono fatti e combattono le leggi della natura coll'eccezione, il reale col
possibile, il meccanico col vitale. Voi potete affascinare, dicono essi, collo
sguardo, potete raggiungere l'età di cento, di duecento anni; colla forza del presentimento
potete indovinare quanto accade lungi da voi; un pastore può uccidere un
gigante, un piccol numero di combattenti può disperdere un grande esercito;
dunque la debolezza può trionfare della forza, dunque il piccolo può essere più
grande del grande, dunque i fenomeni soprannaturali che noi annunciamo
signoreggiano il mondo. Voi li dichiarate impossibili, perchè siete schiavi
della materia; ciecamente sottoposti al fato della fisica, avete gli occhi e
non vedete, avete le orecchie e non intendete. Guardate alla vita, noi
tocchiamo l'albero della vita, il perchè noi promettiamo una panacea
universale, la vita eterna, una potenza sovrumana agli eletti, a tutte le
nazioni, la musica degli istinti nell'associazione universale: promettiamo che
l'eccezione del bene trionferà della regola del male, promettiamo la natura
trasfigurata. Così la rivelazione soprannaturale si sviluppa capovolgendo il
procedere della scienza, per farci vivere in mezzo alla favola a dispetto dei
nostri sensi.
Il nostro
intelletto resisterebbe alla rivelazione soprannaturale, se la natura non si
rendesse complice degli Dei per ingannarci. Ciò accade nella visione. Qui
entriamo veramente nella regione dei miti, il miracolo divien fatto; la natura
si capovolge. Giungiamo alla visione attraverso più fenomeni, in cui
l'interversione delle leggi fisiche si attua a poco a poco, quasi per iniziarci
ai misteri della vita degli Dei.
Il primo
grado della visione si è il sogno. Esso non riducesi ad una ricordanza confusa
della memoria che vaneggia; non è neppure un'opera dell'imaginazione:
coll'imaginazione ci figuriamo gli oggetti, ma non li vediamo; malgrado i
nostri sforzi, essa ci lascia sempre soli colle nostre ricordanze. Nel sogno,
al contrario, la realtà esteriore appare dinanzi a noi penetrante, imprevista,
fatale; sonovi voci che intendiamo, forme che vediamo, esseri che a oppongono
una resistenza. Il sogno oltrepassa la nostra imaginazione; benchè folle,
caratterizza i suoi personaggi fantastici con gesti e parole che, svegliati,
non sapremmo imaginare ne' personaggi sognati. Le leggi fisiche si trovano
dunque sospese nei sogni: ivi la luce splende con tutte le gradazioni del
colore, e non havvi luce, nè colore; l'occhio non è più necessario per vedere,
nè l'orecchio per intendere. Dicesi che il nostro organismo, scosso da una
digestione faticosa o da un'agitazione convulsa, riproduce interiormente gli
stessi movimenti che potrebbero essere eccitati dalle cose esterne. Ma non
appaghiamoci di parole; le leggi fisiche non sono meno violate nel sonno
convulso che separa la visione dalla luce, l'orecchio dal suono, le cose
apparenti dalle stesse apparenze. L'anomalia delle apparizioni notturne nella
camera ottica del dormiente è sì forte, che presso gli antichi il sogno era un
dono degli Dei, come una specie di intuizione sacra che dava all'uomo la vista
sull'avvenire.
L'ebbrezza è
il secondo passo verso la visione. L'oppio, l'haschisch, evocano mille
fantasmi, ed anche qui vedesi ciò che non è, l'uomo sogna benchè desto; la
luce, i colori, i suoni si manifestano senza le loro cause. Nessun rapporto tra
l'ebbrezza e il liquore che la produce. Nel sogno il doppio ostacolo che il
tempo e lo spazio oppongono allo sviluppo dell'azione svanisce; nell'ebbrezza
istessamente il tempo e lo spazio si dileguano, e l'ubbriaco trovasi alleviato
dal fatto della vita materiale; lieto o mesto, tocca quasi per incanto agli
eccessi della gioia e della tristezza. Nel sogno le imagini son vive ed
egualmente nell'ebbrezza talora si manifesta una vivacità organica, che
confonde l'imaginazione. Potente quanto il demone di Socrate, l'oppio dispone
delle apparenze, dei sentimenti, trasfigura la natura, ci trasporta in un mondo
fantastico che trabocca di piaceri. L'Orientale ne cerca, a costo della vita,
le delizie.
Il
sonnambulismo riunisce i due fenomeni del sogno e dell'ebbrezza, e ci trascina
ancor più lungi, perchè il sonnambulo dorme e nel tempo stesso intende; opera,
come l'ebbro, sotto l'impero dell'estasi; ma la sua azione è sicura come se
fosse svegliato. Egli si leva, legge; interrogato, risponde, a condizione di
continuare il suo sogno. La sua stranezza atterrisce: quando appare sulla
scena, impone silenzio; desta un'attenzione superstiziosa, Lady Macbeth, che
lava le mani insanguinate, incute spavento. Fin dove giunge la forza del
sonnambulismo? Lo ignoro; il solo fatto innegabile è la dominazione magnetica
che immerge nel sonno, e dà in balia la mente del magnetizzato al potere
affascinatore di chi magnetizza.
Il quarto
grado che ci avvicina alla visione consiste nell'allucinazione. Questo è, direi
quasi, il momento in cui il sonnambulo si sveglia e lotta col sogno che lo
assedia,: l'allucinato non è demente, sogna, benchè desto, e a suo malgrado. La
sfera dell'allucinazione non ha limiti. Possiamo intendere voci interiori,
discorsi; essere circondati da oggetti imaginari, oppressi da innumerevoli
spettri: tutti i sensi possono essere falsati dall'allucinazione. Lo sforzo
della volontà, l'inedia, le pratiche folli, l'estenuazione fisica congiunta
coll'esaltazione febbrile delle passioni, altri mezzi che si possono vedere ne'
trattati di medicina, formano quell'intreccio d'esaltazione, di ebbrezza e di
vaneggiamento che apre il varco all'allucinazione. Anche qui non havvi rapporto
naturale fra la causa e l'effetto, e l'effetto interverte le leggi della
natura.
La visione
non è il sogno, nè l'ebbrezza, nè il sonnambulismo, nè la semplice
allucinazione: qui havvi un nuovo carattere. Il fenomeno cessa di essere
strano, parla colla voce della ragione, compie il nostro pensiero, ed è il
traslato magico della nostra intelligenza portata fuori di noi. Così la visione
ci dà la prova del nostro pensiero, l'attua, fa camminar di fronte la ragione e
l'apparenza desiderata dalla rivelazione soprannaturale. Nell'esaltamento della
visione la misura del tempo, l'inerzia della materia svaniscono, l'intelligenza
divien rapida, il ragionamento esatto, il trasporto irresistibile; e
l'intelletto opera colla leggerezza del sogno, coll'estasi dell'ebbrezza, colla
precisione del sonnambulismo.
La visione
non si spiega meccanicamente; ma dipende dal ritmo della vita e dal sistema
mistico, ed è un momento plastico, nel quale la poesia interiore prende, non si
sa come, una forma materiale. Poco importa che sia provocata da mezzi meccanici
e bizzarri; poco ci cale che sorga dall'inedia o dal celibato. Un poeta deve
essere ebbro per trovare la sua vena, altri deve scrivere digiuno, altri non
può comporre se non in mezzo al fracasso. Sono condizioni senza rapporto colla
ispirazione poetica esse non lo spiegano punto. Perchè dunque i digiuni e la
continenza forzata toglierebbero il suo carattere alla visione? La voce che
parlava ai profeti dell'Oriente era legislatrice; quella che consigliava la
Pulcella d'Orleans salvava la Francia; Maometto fondava una nuova religione;
Catterina da Siena sapeva parlare ad un condottiero e ad un papa; Ildegard dava
i suoi responsi ai prelati e ai primi principi della cristianità: convien
dunque asserire che il Verbo si fa carne nel delirio, e quindi la visione
conferma gli idoli, i miracoli e le favole del culto, e diventa la prova di
ogni rivelazione soprannaturale. D'indi presso i sacerdoti di tutte le
religioni alcune pratiche destinate a dare al credente la prova decisiva della
rivelazione soprannaturale per trasportarlo così nella sfera delle favole.
Possiam leggere presso i teologi dell'India o presso gli Arabi, le preparazioni
che conducono all'estasi. Essi consigliano i digiuni protratti, che fanno vaneggiare;
lo sforzo dell'imaginazione, che si fissa sopra un oggetto mistico; la
continenza, che esalta le nature febbrili ed estenuate: poi s'aggiunge la
raccomandazione di scegliere un luogo oscuro, remoto, di fissare gli occhi
sopra la punta del naso, di non respirare se non a lunghi ed eguali intervalli;
e non v'ha medico che coi mezzi indicati dalla teologia, non possa promettere
meravigliose allucinazioni. I gesuiti hanno dato ottimi consigli per procurare
artificialmente il delirio della religione. Nel medio-evo la magia, sorgendo
dalle tradizioni pagane ed imitando il cristianesimo nel suo sviluppo, dava
anch'essa la prova del delirio alle sue dottrine. Andavasi al convegno delle
fate; e chi non potrebbe andarvi? Le porte della tregenda sono ancora spalancate,
non havvi alcuno che non possa prender parte alla festa, basta prendere
l'oppio, l'haschisch o la belladonna. Pietro de Lancre ci ha trasmessa la
ricetta del diavolo, dove si trovano la cicuta, il giusquiamo, lo stramonio, la
mandragora, il solastro furioso, il corniolo sanguigno, cioè le sostanze in
oggi riconosciute le più atte a riprodurre la visione. L'iniziato si
ubbriacava, credeva di andare in tregenda; la sua fede nelle fate si confermava
con una prova assolutamente materiale: come poteva dubitare della tregenda,
poichè vi si portava? I deliri delle pitonesse, i sogni nelle sacre caverne non
avevano altra origine che il desiderio di entrare nel regno dei miti, e il
mistero inesplicabile di una natura antimeccanica che si rivela in noi quando
sono sollecitate le forze della vita. E noto che presso i barbari, si
rispettano i pazzi come innocenti che Dio protegge; essi sono visitati dalla
visione, sono supposti in rapporto col mondo dei misteri. In somma la prova del
soprannaturale si compie nel sogno, nell'ebbrezza, nel sonnambulismo,
nell'allucinazione e nella visione, e l'uomo, trasportando fuori di sè la
propria ragione, la rende ebbra, vaneggiante, visionaria.
La menzogna
avvalora tutte le rivelazioni soprannaturali. Nel secolo decimottavo accusavansi
troppo i sacerdoti d'impostura; non s'intendeva a dovere la fatalità
dell'errore religioso; in oggi, per un eccesso opposto, si giustificano le
religioni, e i filosofi son troppo riconciliati coll'errore. La menzogna ha
regnato lungo tempo sul genere umano, regna ancora, ha sostenuto una parte in
tutte le religioni; presso gli antichi gli oracoli attestano l'impostura
permanente dei sacerdoti: quando nascondevansi dietro gli idoli, quando li
facevano parlare, quando ingrossavano la voce coi tubi, potevasi dire che essi
medesimi fossero illusi da un errore involontario? Se a Dodona, se altrove
l'ebbrezza poteva ingannare gli stessi sacerdoti, l'impostura è patente nel
mondo antico, gli auguri non potevano incontrarsi senza sorridere, dappertutto la
menzogna compiva l'opera dell'analogia e dell'allucinazione.
Il buddismo,
il cristianesimo e il maomettismo sono tre religioni senza oracoli, senza
auguri; gli artifizi dell'impostura non vi si ritrovano. Escludono esse la
menzogna? No: la finzione segue i miti, nè può dividersi dal miracolo; non si
trasporta a Loreto la casa della Vergine, se l'errore non è sussidiato dalla
finzione; non si fa liquefare il sangue di san Gennaro, se la fede non ha
complice l'inganno; non si scrive la biografia di santa Filomena, se lo
scrittore non perfeziona la leggenda coll'impostura. Ministro dell'errore, il
sacerdote è condannato ad illudere suo malgrado. Ogni religione ha i suoi
avversari, ogni santuario ha i suoi nemici, ogni chiesa è necessariamente
militante; i miracoli sorgono spontanei nell'imaginazione del credente e se il
teologo non li accetta, se disinganna il popolo, dà ragione al nemico, la
religione pericola. Convien mentire per l'onore di Dio. Di là tutte le leggende
dei santi. Poi, per un movimento regressivo dell'imaginazione, si falsano i
libri sacri di proposito deliberato, il falso ingrandisce il passato; Mosè,
Cristo, Budda, toccano alla grandezza impossibile degli Dei nel mentre che si
attribuisce agli antichi nemici la malvagità soprannaturale dell'inferno.
Così la
rivelazione sacra dà una triplice mentita alla rivelazione naturale; essa mente
osservando i fatti generali come se fossero eccezioni, mente trasportando la
legge nel regno dell'allucinazione, mente ancora compiendo l'allucinazione
colla finzione.
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