Capitolo
II
LA METAFISICA PRESSO I GRECI
Tutta la filosofia
greca rimase sterile, nè mai cessò di essere tiranneggiata dalle implacabili
necessità della metafisica. La storia della filosofia greca dividesi in tre
periodi; il primo comincia con Talete, e finisce coll'apparire di Socrate; il
secondo si estende da Socrate all'origine della scuola d'Alessandria; nel terzo
periodo regna sola la filosofia alessandrina. Nelle tre epoche i più grandi tra
i rivelatori furono tutti egualmente vinti e sopraffatti dall'assurdo
metafisico.
Nel primo
periodo la filosofia pensa a sottrarre la cosmogonia alle divinità dell'Olimpo,
i filosofi prendono possesso della terra e del cielo e diventano rivelatori.
Gli atomi, i germi, l'aria, il fuoco, i numeri, l'essere sono altrettante
scoperte che espellono gli Dei dai penetrali della natura: l'uomo è quasi liberato dal terrore dei
miracoli: qual sarà la sua fortuna? quale la sua potenza? I filosofi possono
dedurre logicamente l'uomo nuovo dall'uomo antico; la famiglia, la patria, la
casta dell'antico mondo si riproducono nella prima metafisica; un fato feroce:
armato d'astrazioni, si sostituisce al regno degli. Il filosofo vuole imitare i
conquistatori, l'uomo redento vuo, essere signore. In qual modo? La metafisica
consiglia un inganno. Si opera ordinando un doppio insegnamento, l'uno
pubblico, l'altro secreto; l'uno interiore, l'altro esteriore. In pubblico la
filosofia è pagana, in secreto è libera; in pubblico venera gli Dei, in secreto
li disprezza; in pubblico si collega coi conquistatori, coi regnanti; nelle
congreghe occulte cospira, ordisce la comunanza degli uomini, tradisce i propri
alleati. Chi profitta della finzione metafisica? I pontefici, i conquistatori.
Pitagora, il più libero degli antichi filosofi, fonda il più sacerdotale tra
gli istituti; Pitagora rispetta gli Dei, il collegio dei pitagorici è
un'aristocrazia di impostori, l'antica società sussiste di diritto e di fatto.
Che accadrà dei redenti? I pitagorici sono isolati dalla fatalità della
metafisica; come filosofi, combattono la religione; come signori, opprimono il
popolo; sono sospetti, sono al bando della proprietà e della religione, del
popolo e de' signori: e un giorno i signori della metafisica soccombono a
un'insurrezione universale. Nessuno de' pitagorici scampa alla strage.
La natura
aveva traditi i filosofi, avevali tratti colla forza dell'affetto alla
famiglia, avevali tratti colla forza della famiglia a costituire una casta, ad
essere signori. Nella patria antica non eravi luogo per essi. La metafisica
cerca lo scampo di una nuova patria. Dove la troverà? Avanzando logicamente
aveva ricostituita la casta, lottando logicamente doveva negare la casta, e
colla casta la patria, la famiglia, l'affetto. Ecco la teoria di Democrito che
dichiara l'uomo ingannato dalla natura, che lo affeziona alla donna, ai
figli, alla famiglia, alla patria; vuole che l'uomo disprezzi le sue
affezioni per diventare cittadino della vera sua patria, il mondo. Erano le
stesse idee della scuola d'Elea, anch'essa intesa a sottrarsi alla tirannia
della patria, della famiglia e dell'affetto. Così, nell'atto in cui la
rivelazione dei filosofi liberava l'uomo dal regno degli Dei, la metafisica gli
imponeva di esser Dio tiranneggiando sè stesso; nell'atto in cui la rivelazione
naturale accusava la religione e la conquista ordinata nella patria, la
metafisica consigliava al filosofo di disertare la causa del vero, di non darsi
cura de' suoi simili; nell'atto in cui la rivelazione naturale spingeva il
redento alla ricerca di una nuova patria, la metafisica toglievalo alla stessa
famiglia, e lo spingeva errante tra i barbari quale avventuriero.
L'avventuriero capita in presenza de' sofisti che gli dicono: «Tu sei la misura
delle cose, tu sei il re dell'universo, tu sei signore, quanto affermi è vero;
fuori della tua affermazione non havvi nè il vero, nè il falso. Cittadino del
mondo, signoreggia adunque gli uomini colla potenza della parola.» Era in
traccia d'una parola, e il redento divien mercante di parole, vende il
ragionamento del giusto e dell'ingiusto, inganna oratoriamente, fa professione
di persuadere ciò che vuole, sostiene ogni tesi, ogni antitesi, alla condizione
d'esser pagato: si trasforma in condottiero al servizio della guerra
universale. Così la metafisica, volendo dedurre logicamente la patria dal mondo
qual era, dall'uomo qual era, giungeva a tradurre in una guerra metafisica tra
i sofisti la guerra universale di tutte le patrie. E a chi profittava la
guerra? Chi non è con noi è contro di noi: il sofista pagato dai ricchi,
serviva ai ricchi, dava di sè spettacolo al sacerdozio, alla conquista; era
fatto buffone del mondo antico, che doveva applaudire, poichè i filosofi, rinunziando
alla giustizia, rinunziavano alla causa dei vinti, che era la loro propria
causa.
La metafisica
sottopone i filosofi della seconda epoca a un nuovo genere di tormenti, quando
Socrate annunzia per il primo che il vero è più potente dell'inganno, più certo
delle armi; ed era questa una rivelazione assolutamente vitale ed istorica. Il
vero demone di Socrate parlava ai cittadini d'Atene: - Fondate il vostro
interesse sul vero, e non sul falso; se volete che lo Stato sia ben retto,
confidatelo ai migliori; che importa l'abilità di chi è corrotto? Se volete
magistrati sicuri, sceglieteli probi e intelligenti, non eleggeteli a sorte,
perchè il caso è cieco; se volete difendere la repubblica, parlate meno di
spade e di corazze; e siate più uniti; che importano gli eserciti quando
l'anarchia strazia lo stato? Se volete capitani che valgano a proteggervi,
prendete quelli che sanno conoscere il soldato; che importa la strategia del
capo che non sa dominare l'esercito? Se volete che l'educazione frutti,
vegliate sulle vocazioni, seguitele, assecondatele; è ad esse che la natura
confida ogni arte, ogni invenzione. Imitate Sparta nel riabilitare la donna;
essa è ragionevole, e se avete la sua amicizia sarete del doppio più forte. -
Ma la metafisica s'impadronisce di Socrate, lo obbliga a dimostrare la potenza
del vero; il rivelatore deve, metafisicando, guadagnare al vero
quell'avventuriere, quell'uomo a cui i sofisti insegnavano che ogni errore è
patria; Socrate lo applaude di cercare il proprio interesse, gli dice d'assicurarlo
sul vero: chi è interessato ad ingannarsi? Gli dice di darsi al lavoro, perchè
il lavoro è utile; gli consiglia di esser temperante, perchè la temperanza,
regolando i piaceri, favorisce il nostro interesse; gli consiglia di
acquistarsi degli amici, perchè ogni amico è un difensore; poi la forza vitale
di Socrate sfugge all'insidia dei sofisti; Socrate non sa la verità, la cerca;
non istruisce, interroga; non insegna, fa partorire le menti. Vedetelo, è in
piazza; il suo occhio splende, il suo gesto s'anima, i curiosi si fermano; egli
accosta il devoto che porta la sua offerta al tempio, l'armaiuolo che ripulisce
le armi, Alcibiade che s'abbandona ai piaceri; il dialogo comincia dagli
interessi più volgari e scompiglia le idee antiche, si scorge che l'antica
morale è immorale, che l'antica religione è impostura. L'amicizia di Socrate
trasforma i costumi, minaccia l'antica patria colla superiorità dell'ironia,
colla dialettica dell'interesse, che svela dappertutto, nei templi e nelle case
la felicità fondata sul falso. Ma la metafisica chiede a Socrate se il vero è
potente, se la natura non favorisce l'inganno; e Socrate, condannato a
rispondere metafisicando, deve dedurre dalla propria mente, dalla propria vita
l'equazione dell'universo; deve dichiarare che la sua ragione, è la ragione del
mondo, che la natura obbedisce all'aspettativa dell'uomo, se i suoi nemici
prevalgono, la provvidenza lo farà salvo nella vita o nella morte. Qui ancora
la fede di Socrate irrompe contro la religione del ricco; ma ad ogni passo
Socrate s'avvolge nei lacci della metafisica, deve dimostrare l'esistenza di
Dio colla prova dell'ordine, poi l'immortalità dell'anima, poi trovasi
aviluppato da una religione metafisica che l'obbliga ad essere religioso. Il
demone di Socrate prende sembianza di genio sovrumano, il tempio di Delfo è
pure il suo tempio, gli Dei della Grecia splendono nel fondo dell'astrazione
metafisica; gli Dei della Grecia proteggono ancora nella mente stessa del
filosofo l'antica patria; la metafisica legava l'uomo nuovo al cadavere
dell'antico cittadino. La rivelazione storica che si manifesta con Socrate scuote l'antica patria, la religione e la
famiglia, l'inganno e la forza accusavano il rivelatore; vien condannato a
morte per avere vilipesi gli Dei e corrotta la gioventù: ma chi versa il
veleno? chi lo porge a Socrate? La metafisica, che gli fa rifiutare lo scampo
della fuga, che lo vuole obbediente alla patria, alla religione, alla famiglia,
perchè l'equazione della ragione gli aveva fatto cercare nel cielo lo scampo
dell'uomo redento, e conveniva rispettare i tiranni della terra. Socrate fu
grande, fu giusto: riunì la doppia ispirazione dell'interesse e della
giustizia, fu storicamente ironico, storicamente tragico; ma spirava nelle reti
della metafisica, trasportando il vero e la giustizia nell'impossibile.
I successori
di Socrate cercano tutti qual deve essere la patria del savio, tutti esplorano
il regno del vero, e la metafisica li trae tutti incatenati nel sistema della
ragione, fuori della storia, nella solitudine delle scuole. Sono più impotenti
di Socrate perchè Socrate era più ignorante di essi. Egli è indeciso, incerto
nel regno dell'impossibile: Socrate vuol essere ignorante, vuol fuggire la
dottrina degli antichi filosofi raccoglie quanto gli bastava a vivere libero di
mente nel mondo della natura. I suoi successori devono trasportare nel campo
delle contraddizioni la signoria dell'uomo redento dalla religione e dalla
conquista, devono sistemare nell'impossibile il regno della ragione. Socrate limitavasi
a fondare gli interessi sul vero: dopo Socrate convien spiegarsi: In che
consiste l'interesse? nel piacere? nella virtù? Perchè la verità deve
rispondere all'aspettativa dell'uomo? Perchè la ragione è la misura
dell'universo? Che cos'è la verità? Dov'è? Come può essere assicurata? La
critica interroga, la metafisica risponde, e continua il martirio di Socrate.
Platone, che
entra il primo nel regno della ragione astratta, l'ordina coi generi,nche
trasforma in tipi, immedesima il bene, col vero e colla forza: ed a che servono
l'equazione? Platone afferma che la natura corrisponde all'aspettativa
dell'uomo, ma è una natura ideale che vi corrisponde, una natura trasmondana.
Platone combatte la patria, che gli avvelenava il suo maestro, ma non parla più
ai cittadini per rigenerarli; non vive in piazza, ma frequenta le corti,
cercando la patria del maestro nel cielo. Combatte le divinità della Grecia, ma
la metafisica gli impone di cercare un segno della patria celeste, e se respinge
il miracolo, crede al delirio, se disdegna i Greci, Platone crede ai barbari,
cita la tradizione di Er l'armeno, trasportato, dicesi, nel mondo invisibile,
dove vide il giusto ricompensato e l'iniquo punito. Inteso alla ricerca del
cielo, Platone accetta la sconfitta di Socrate sulla terra e scrive la
filosofia della morte. Egli continua il dialogo del maestro cogli amici,
continua le interrogazioni, vuol far partorire le menti, ma il dialogo perde
ogni senso terrestre, pratico, tramutasi in una dialettica a doppia direzione,
la quale getta nell'antinomia tutti i beni della terra a profitto del cielo.
Socrate censurava la patria, ne proponeva le riforme, la voleva rigenerata:
Platone continua la censura, compie il disegno delle riforme, e nelle della metafisica, la politica di Socrate
diventa l'ordinamento di una chiesa ideale. La repubblica di Platone espelle
dal suo seno i sacerdoti, i poeti, gli idoli della Grecia, è la città del vero,
la patria del savio, il luogo della terra, dove la forza, la verità e il bene
trovansi identici: ma la repubblica è diretta da un Dio trasmondano, è intenta
ad un bene trasmondano, sottoposta alla favola di Er l'armeno; vi si insegnano
altre favole, i filosofi fanno da pontefici, ingannano i cittadini onde meglio
governarli. La metafisica, accettando la necessità dell'inganno, accettava,
senza volerlo, la mitologia, lasciava il mondo agli antichi pontefici: chi
poteva ingannare meglio di Omero? Socrate combatteva la cupidigia, la
metafisica sopprime la proprietà; Socrate voleva la donna , riabilitata, la
metafisica tramuta la riabilitazione nella comunanza delle donne; Socrate
reclamava che l'educazione assecondasse le vocazioni, che il governo fosse
confidato ai migliori, che gli offici fossero dispensati ai più degni; la metafisica
scorre coll'idea del bene all'educazione comune, all'abolizione della legge, al
regno dell'unica morale che veglia sui pensieri, sulle intenzioni, sovra ogni
cosa senza il vincolo di alcuna legge politica. Non basta: conviene coltivare
la terra, si concede la terra ad una casta degradata, alla casta degradata si
concedono le proprietà, la famiglia, tutto, eccettuate le armi, riservate ai
savi: chè se la chiesa di Platone tollera il mondo, non si fida del vero, e
vuole i filosofi armati in un colle loro metà metafisiche, perchè gli uomini su
cui regnano non li riducano in ischiavitù; Platone pensa che la sua città del
vero e del bene sia la fortissima tra le città? Pensa che possa resistere alle
seduzioni di Atene o di Tiro? No, la vuoi lungi, ben lungi dalla ricchezza, dal
mare, dalla Grecia; ancora è dessa limitata ad un piccol numero di cittadini
filosofi o di filosofi solitari; una volta fondata, Platone è certo che non
resiste a sè stessa; la vede trascinata prima dalla virtù all'ipocrisia di Sparta,
poi alla follìa democratica d'Atene, poi all'anarchia, da ultimo alla tirannia.
Qual'è adunque la forza del vero? Platone rifugge dal volgo, non si mescola
agli affari, disdegna la Grecia, arma i suoi filosofi; anche armati, li vuole
illusi dalle favole, lontani dagli uomini; e nel seno stesso della repubblica
ideale, il vero rimane impotente. Così l'uomo cadeva vittima della metafisica,
che lo faceva retrocedere all'egoismo solitario di Democrito, all'impostura
regnante di Pitagora; l'egoismo e l'impostura non ricevevano altro
perfezionamento che quello della morte, sola eredità de' successori di Socrate.
Quanto dicesi
di Platone, si applica a tutti i filosofi. Così Aristotele è rivelatore, ma la
scienza rifugge dal rinnovare il combattimento di Socrate contro le divinità
della Grecia, rifugge dalla piazza d'Atene, è al servizio di un conquistatore.
Zenone fonda la virtù sull'impossibile, e non la trova nel mondo; Epicuro fonda
la voluttà sull'impossibile, e anch'esso fugge l'antico mondo senza trovare un
asilo: i nuovi scettici predicavano il bene supremo dell'apatia; dappertutto
la metafisica disertava la causa dell'oppresso, o l'opprimeva imitando il fato
della conquista colle sue teorie. La religione soccombeva al progresso dei
popoli; tutte le patrie dell'antichità erano affrante; la conquista romana
ravvicinava, affratellava brutalmente tutte le genti; lo scompiglio del mondo
antico, la crescente rivelazione, l'unità di Roma mostravano urgente di cercare
una nuova patria all'uomo che sfuggiva al dominio degli antichi Dei e degli
antichi signori. Ad ogni passo, ad ogni progresso la filosofia irrigidisce
nelle contraddizioni dell'ordine, del bene, della ragione, radicata nel campo
dell'impossibile, ognor più affievolita, ognor più lontana dal genio di Socrate,
ognor più convinta che non le è concesso abitare la terra.
Nell'ultimo
periodo della filosofia greca i filosofi vedono scosso il mondo da una
religione imminente; pensano di imitare i profeti, e questa volta affrontano
alla fine il problema della loro propria impotenza dinanzi al genere umano. In
qual modo il filosofo potrà agire sugli uomini insensibili al vero? che devesi
pensare de' miti sì strani e sì ciecamente adorati dai popoli? Ecco le
questioni. I neopitagorici danno risposte confuse; Filone è men vago, i
neoplatonici, sono precisi, ed esprimono l'ultimo pensiero della metafisica sui
destini del genere umano.
È concesso al
filosofo si influire sul genere umano? Riconosciuta l'impotenza dei discepoli
di Socrate, che il regno della ragione sfugge al Dio di Platone, al Dio di
Aristotele, alla voluttà di Epicuro, alla volontà di Zenone, all'apatia degli
scettici, le contraddizioni sorgono molteplici: veruna scuola non vale a
vincerle. Che fare? Si cerca un nuovo trovato, una nuova soluzione che abbracci
d'un tratto tutte le antinomie, un'arte che sciolga d'un tratto il duplice
problema della metafisica e della sua influenza. Non si accusa la metafisica,
si accusano ancora i metafisici. Il nuovo trovato consiste nell'estasi, e
l'estasi deve dare la doppia equazione dell'universo e dell'umanità. D'indi in
primo luogo la filosofia alessandrina, in secondo luogo della scuola
alessandrina.
Il Dio di Platone è
vuoto, l'estasi lo rende positivo; la volontà di Zenone è arida, l'estasi le
porge un oggetto; la voluttà di Epicuro è immonda, incerta, l'estasi le dà un
oggetto purissimo, assoluto; l'apatia degli scettici erra nella contraddizione,
nell'estasi divien beatitudine e trascende la contraddizione. Disperate del
vero, perchè la mente è sempre distinta dall'oggetto che conosce? Disperate del
bene, perchè chi gode è distinto dall'oggetto goduto? L'estasi trascende la
mente, trascende l'anima, s'immedesima col proprio oggetto, ci accorda una
rivelazione superiore, un bene infinito, ineffabile, inconcepibile, Dunque con
l'estasi il filosofo giunge ad una potenza inaudita: oltrepassa il
ragionamento, penetra l'ordine nascosto della natura, tocca all'albero della
vita, può divenir profeta, può operare miracoli. Proclo provoca il vento, la
pioggia, libera l'Attica da un calore eccessivo, arresta un terremoto: altri
filosofi operano prodigi, tutti affascinano i discepoli collo slancio
dell'estasi, col delirio dell'entusiasmo. Ecco la teoria; e può tradursi in
queste parole: Il regno della ragione, annunziato da Socrate, sarà onnipotente,
subordinato all'estasi.
Qual sarà
adunque l'azione della scuola alessandrina? Le religioni, risponde la scuola
d'Alessandria, furono fondate dai savi, che l'estasi rendeva onnipotenti sulla
terra: i miti nascondono e raccontano ad un tempo i prodigi dell'antica
saggezza deturpata nel delirio esterno della favola. La missione de' filosofi
sarà di rettificare la tradizione dei savi, di scoprire il senso perduto de'
miti, di fondere tutte le religioni in una sola religione, che sarà il regno
della ragione subordinato all'estasi. I neopitagorici volevano resuscitare la
tradizione sacra di Pitagora, la saggezza antica e i suoi prodigi cosmici.
Filone pensava a ristaurare la saggezza di Mosè, che in sua sentenza la
filosofia greca aveva or interpretata, or travisata. Porfirio è il critico di
tutti i miti; Giuliano riabilita gli idoli; ed è così che gli ultimi filosofi
abbracciano l'umanità. Perciò Filone prometteva un avvenire cui gli uomini
santi si riunirebbero condotti da un fenomeno divino, sensibile ai buoni,
insensibile agli altri; Plotino, dirigendosi a Porfirio, gli dice: tu ti sei
mostrato poeta, filosofo e sacerdote, tu sarai la luce dell'umanità; Proclo si
chiama sommo pontefice dell'universo, tutti si riuniscono per togliere la
distinzione delle razze e de' culti, e per chiamare i barbari come i Greci alla
partecipazione del bene supremo.
Questa era
l'azione promessa; ma qual poteva essere la vera azione della metafisica
alessandrina? Dimandiamolo alle idee. Promettevasi a tutti il regno della
ragione sotto la condizione dell'estasi. Che cos'è l'estasi? È un'allucinazione
che lusinga il sistema mistico, imita la poesia per rivelare la vita alla vita,
travisa l'universo perchè noi possiamo meglio sentire i nostri sentimenti. Quindi
l'estasi doveva condurre dalla vita antica alla vita antica, falsava il mondo
per meglio offrire all'uomo antico la sua propria immagine. Dunque falsava ciò
che è, per negare ciò che diventa, ciò che nasce: e che nasce? il nuovo mondo
positivo, non vuoto, reale, non fantastico, per cui la metafisica antica deve
combattere con l'estasi contro la vita nuova. Nel fatto, l'estasi è un
privilegio: secondo Plotino, è individuale; secondo Porfirio, non è
conosciuta se non dall'estasi, come il sonno dal sonno, il senso dal senso.
Egli è difficile, dice Plotino, di conoscere il padre del mondo;
e quand'è scoperto, è impossibile di farlo conoscere agli altri. Ammonio
Sacca non pubblica i suoi scritti, non vuol profanato il suo entusiasmo dalla
curiosità della moltitudine. L'estasi è adunque un privilegio, doveva
costituire una casta inaccessibile, tre volte santa, inviolabile, e intesa a
fondare il regno della ragione. Abbiamo già detto in che consistesse il regno
della ragione. Promettevasi a tutti la morte di Socrate, la salvezza
individuale nelle regioni della morte; lasciavasi la terra ai signon della
terra, rispettavasi l'antica patria rispettata da Socrate. La salvezza
trasmondana era subordinata all'estasi, e qui l'impossibile metafisico diveniva
eguale al miracolo, la filosofia diveniva religione, poteva obbligare i redenti
a lasciare la terra a chi regna. Rivoluzionaria nell'intento, la filosofia
alessandrina rappresentò di fatto la più grande tra le reazioni. Essa ristaurò
gli idoli sprezzati, i templi deserti, un culto antiquato, credenze
impossibili. Pretendevasi togliere la contraddizione tra la scuola ed il
popolo, la si voleva togliere col simbolo, e il simbolo, equivoco di sua
natura, a doppio senso, era la stessa contraddizione di due dottrine opposte, l'una
secreta, l'altra profana. Nel momento in cui il sommo pontefice dell'universo
voleva riunire l'umanità, nel momento in cui Porfirio voleva esercitare il
sacerdozio universale, nel momento in cui Giuliano prendeva la difesa della
filosofia, questo sacerdozio, questa filosofia non fondavano in realtà se non
il regno dell'impostura; la nuova propaganda era la propaganda dell'antica
conquista. Così nell'estasi il demone di Socrate si divinizza abbracciando
l'universo, il felice inganno a cui Platone voleva subordinata la sua
repubblica si estendeva al genere umano, la speranza o piuttosto la
disperazione, che riduceva Platone a non attendere la sua repubblica fondata se
non da un tiranno, conduceva i sacerdoti dell'universo nella reggia di Cesare:
e se fosse stato concesso alla metafisica di recare in atto l'estasi inane
della scuola, i sacerdoti diventavano esseri soprannaturali, taumaturgi, più
che vicari di Dio.
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