Capitolo
III
LA SCONFITTA DEI METAFISICI
Riassumiamo le
accuse de' Padri della chiesa contro i filosofi della Grecia, traduciamole nel
nostro linguaggio ci spiegheremo la vittoria dell'idolatria cristiana. «Voi
volevate,» direbbero i Padri ai filosofi, «sottoporci alla rivelazione
ineffabile della vostra estasi, noi abbiamo preferite le allucinazioni della
Bibbia, che potevano raccontarsi: voi volevate ingannare coll'equivoco del
simbolo, noi abbiamo preferito l'errore involontario di un popolo. Voi volevate
rimescolare tutti i simboli con un procedere mezzo erudito, mezzo critico, e
lontano da ogni regola, noi abbiamo accettata una tradizione, una, coerente,
semplice, che risaliva arditamente a Dio senza smarrirsi nella notte de' tempi
primitivi: il vostro verbo si faceva carne in un delirio scolastico, il nostro
verbo si faceva carne nel delirio di una gente che attendeva il Messia. - Il
cristianesimo ha fatto quanto volevate tentare, ed ha evitato ogni vostro
errore. Esso ha dato l'estasi, meno l'ineffabilità, che la distrugge, ha dato i
simboli naturali, senza ricorrere alle finzioni, che distruggono il simbolo. Ha
dato il bene di Platone, personificato nel Cristo, l'uomo-Dio vivente nel
Messia, il mondo invisibile che corrisponde all'aspettativa di Socrate, la
repubblica della Chiesa che reca in atto la repubblica di Platone: e
dappertutto si è sottratto alle antinomie della critica con un fatto positivo.
Esso ha opposto alla legge, ai magistrati, alle legioni, ai prefetti
dell'imperatore, a tutti i fantasmi della giustizia antica, la vera legge, i
veri magistrati, le vere legioni, la vera politica, in una parola, il
sacerdozio, che dispone di tutto perchè pensa solo al vero, e non è dominato se
non dall'interesse del vero. Tutto era astratto nella filosofia, tutto divenne
positivo colla favola biblica. - Vi abbiamo ridotti in servitù, ma il simbolo
era sì potente, la filosofia sì impotente, sì compiutamente assorta dal
simbolo, che nella vostra servitù, voi che eravate un popolo d'individui
perduti nella moltitudine, incapaci di interessare una città alle vostre
dispute, incapaci di convertire un tiranno, quando la chiesa vi ha associato
all'opera sua, avete partecipato alla signoria del mondo. Dominati dalla
rivelazione soprannaturale, le vostre discussioni intorno a Dio, intorno alla
libertà hanno sollevato una metà del mondo contro l'altra metà. Schiavi della
religione, non foste mai più potenti che dal momento in cui avete perduta la
vostra libertà; alcuni de' vostri furono da noi santamente esterminati, ma le
vostre rivelazioni hanno trionfato».
E se i Padri
fossero nel cielo di Platone potrebbero soggiungere scusandosi: «Che cosa fu il
nostro Cristo? Fu la continuazione di Socrate, copiò Socrate, e ne fece
un'iperbole. Socrate sdegnava le speculazioni intorno la natura, e non
raccoglieva dagli antichi se non quanto bastavagli a viver libero nella natura
redenta; Cristo disprezzava la filosofia e la scienza, non raccoglieva dalle
rivelazioni del genere, dell'essenza, delle idee, della estasi se non quanto
bastavagli a vivere sicuro nella natura. Cristo visse nella via pubblica, come
Socrate; credette, come Socrate, alla verità; come Socrate disputò coi dottori;
come Socrate mostrò che cercavano l'interesse nel falso. Imitando Socrate,
Cristo fidò nell'ordine generale, lo vide compito in cielo, trascurò la terra,
trascurò la famiglia, fu nemico di sè. Imitatore di Socrate, Cristo si circondò
d'amici, fu accusato per aver voluto rovesciare l'antica patria; moriva
rispettando l'antica patria, rifiutando lo scampo che tutte le potenze
dell'universo combinate non avrebbero potuto impedirgli. Se il vero non fu
potente, se l'antica patria rispettata si perpetuò, se la chiesa non ordinò
l'eguaglianza degli uomini, se non fu di questo mondo, accusatene voi stessi;
voi non avete rivelata l'eguaglianza, voi non l'avete ordinata, voi avete
cercata la redenzione in cielo; la vostra metafisica giungeva per tutte le vie
al suicidio, alla morte del redento; in tutti i modi fuggiva il vincitore, il
conquistatore antico; lasciavagli la patria, e Cristo non potè essere superiore
alla sua rivelazione naturale e alla potenza de' suoi amici; Cristo lasciò il
mondo agli antichi signori e i suoi successori raccomandarono a un tiranno, a
Costantino, la comunione della chiesa, in cui continuavasi il sacrifizio di
Socrate.»
Nè credasi
che il cristianesimo ordinasse il regno della metafisica, errore proclamato da
taluno pur nemico della metafisica. No; la metafisica non ha mai regnato, non
regna, non regnerà mai; la sua essenza sta nell'impossibile, la sua rivelazione
non è rivelazione, è soluzione di una contraddizione eterna. La metafisica non
si vede, non si tocca, non fa vivere, non ispira la giustizia. Il cristianesimo
non tolse agli antichi filosofi se non le vere rivelazioni prese in sé, non
considerate quali soluzioni. La soluzione il cristianesimo l'aveva in sè, non
la toglieva da veruna scuola e trovavasi nella Bibbia, nella aspettativa del
Redentore, nella vita di Cristo, che travisavasi, combinavasi, e poi diveniva
la storia d'un Dio. La potenza e impotenza del cristianesimo non si spiegano
che colla soluzione, colla tradizione cristiana. Se il nuovo Socrate cede alla
patria antica, si è che rispetta il Dio degli antichi antropofagi; è redento,
ma gli crede ancora; vuol redimere, ma alla condizione di soddisfare l'antico
mostro, alla condizione di accettare il patto di Abramo, la storia degli Ebrei,
i profeti, i miracoli. Se il cristianesimo crede al cielo, il suo cielo non è
metafisico, non sorge dalla logica necessità del suicidio e della morte, non si
dimostra cogli argomenti del Fedone: si dimostra positivamente colla storia di
Adamo scacciato dal paradiso terrestre, colla vocazione di Abramo cui Dio
promette il riscatto, coi taumaturghi e coi profeti che non cessano di
rinnovare la promessa, in una parola con una narrazione che vera o falsa scende
dal cielo per risalirvi. Se predica la fraternità degli uomini senza
distinzione di razza o di nazione, la fonda ancora su di una serie di promesse
e di minaccie e si ferma dinanzi all'antica patria che non assale colla forza
nè colla cospirazione e non deve la sua moderazione ad una equazione o ad un
sillogismo ma a' suoi stessi antecedenti istorici per cui l'espulsione dal
cielo, il sacrifizio di Abramo e tutta la storia degli Ebrei impongono di
lasciare a Cesare ciò che è di Cesare e vien pure da Dio. Il cristianesimo non
impegnavasi d'altronde in alcuna tesi, in alcuna antitesi. Ne sia testimonio la
somma ignoranza, l'estrema inferiorità de' Padri, ove si paragonino come
metafisici agli antichi maestri: i Padri erano ottimi fondatori di religioni
precisamente perchè poco iniziati nelle teorie filosofiche. Non affidavano la
salvezza nè al verbo, nè ad alcun sistema in particolare, ma prendevano
all'ingrosso il rivelato, e non mai il pensato, il supposto, il dedotto, quanto
apparteneva all'impossibile. Il cristianesimo non crede al verbo nè come
Platone, nè come Plotino, non crede alla libertà come questa o quella scuola,
non accetta la virtù come Zenone o come Diogene: il cristianesimo scorre sulla
rivelazione naturale, vitale e morale del genere umano; la travolge ove faceva
d'uopo, nel soprannaturale, e il soprannaturale continua a scorrere sulla base
della rivelazione naturale. Se le diverse sette del cristianesimo vengono alle
prese, senza dubbio il metafisico sarà servo del teologo, l'amico
dell'impossibile gioverà all'amico del miracolo: in fondo la discussione
religiosa resta religiosa, oppone fatti a fatti, rivelazione a rivelazione; il
perchè ogni lotta religiosa è la guerra civile della cristianità. Da ultimo, il
cristianesimo e lo stesso cattolicismo tollerano nel loro seno la metafisica: e
come potrebbero proscriverla? Essi sono la rivelazione, sono il prodigio, sono
il miracolo e il fatto; e purchè l'apparente sia rispettato, riverito,
comentato alla maggior gloria di Dio, non si teme la discussione metafisica e
il miracolo si rassicura finchè non vede fuori di sè se non l'impossibile.
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