Capitolo
V
LA METAFISICA DEL SECOLO
DECIMOSETTIMO
Nel decimosettimo
secolo le scienze fisiche raddoppiano il moto della rivelazione, il
cristianesimo è assalito da ogni parte, la storia, i viaggi, le scoperte fanno
sentire l'urgenza di sottrarsi alla sua chiesa e di pensare liberamente. Anche
qui la metafisica, alla vigilia della rivoluzione, trasporta la rivoluzione
nell'impossibile. Si parla del libero esame; Descartes è il metafisico del
libero esame; del dubbio preliminare: Dove cade il dubbio? sulla chiesa? nella
tradizione? sull'autorità che vieta di conoscere il vero? Cade sul pensiero, è
il dubbio per ogni cosa, è la generalità del dubbio, fatta astrazione dalle
cose stesse. Seguiamo Descartes; egli vuole tutto dimostrato, non ammette se
non le verità chiare ed evidenti: la chiara e distinta percezione distruggerà
l'autorità che vieta il libero esame? Descartes si dichiara neutrale; dichiara
che la religione si sottrae al suo dominio: la rivelazione sacra non è chiara,
nè distinta; suppone il dono di una grazia soprannaturale, che il filosofo non
può dispensare. Parla consigliato dalla paura? Non si può asseverarlo; egli
ammette solo le verità assolute, separa seriamente la filosofia dalla storia,
dalla morale, dalla politica: la religione deve subire la sorte della storia,
della morale, della politica: essa non pretende di essere matematica, e il
filosofo la confina tra le cose non matematiche. Qual è la morale di Descartes?
Il metafisico è pure un uomo, un Francese; qual'è dunque la sua vita che
sottrae al rigore della sua metafisica? Leggesi nella terza parte del suo
discorso sul metodo: Descartes dubita di tutto, ma per non rimanere
irresoluto nella sua azione si forma una morale provvisoria, che
consiste nelle massime seguenti: «1° seguire le leggi, i costumi, la religione
del paese in cui si è nati; 2° rimaner fermo quanto è possibile nelle opinioni
adottate, qualunque sia l'evento; 3° tentare di vincere sè stesso piuttosto che
la fortuna». Le tre massime tradotte in buon volgare consigliano di obbedire
alla religione dominante, di vincere noi stessi piuttosto che i nostri
oppressori, di lasciare il mondo qual'è, e di essere irrazionalmente ostinati.
Questo diciamo del metodo di Descartes: che diremo noi del suo dogma? Si riduce
al deismo, e Dio diventa il termine medio per cui la teologia e la filosofia si
conciliano quanto è dato di conciliarsi a due dottrine: Bossuet e Fénélon
adottano il Dio di Descartes, mentre Malebranche e Leibniz adottano il Dio
cristiano: lo scambio è continuo, perfetto, amichevole. Nello scambio il Dio
astratto diviene principio d'una religione generica, che dicesi naturale. La
religione naturale nega o ammette la religione rivelata che essa generalizza?
respinge il cristianesimo, o gli serve d'introduzione? Nessuno può rispondere;
la religione naturale può condurre al cristianesimo, può rovesciarlo, rimane
indecisa, e si cospira onde perpetuare l'indecisione. Una morale naturale
compie il deismo, ed è nuova astrazione in cui i doveri prendono una forma vaga
e generale per abbracciare la morale della monarchia e quella della repubblica,
la morale di Cristo e quella del mondo. Sorgono dubbi sui diritti, sui doveri?
La metafisica vuol deciderli, trasporta ogni questione vivente nel campo delle
contraddizioni eterne; e quivi vuole sciolti i problemi dell'eguaglianza, dello
Stato, dell'umanità, Da ultimo; il libero esame ha emancipato l'individuo nella
sfera della metafisica: ogni individuo è realmente emancipato? No; è stabilito a
priori che la sua ragione gli appartiene; vi si aggiunge che l'individuo
solo è potente per la ragione; le opere collettive sono condannate,
disprezzate; non si rispettano se non sono opera di Licurgo, di Romolo, dei
legislatori; e l'apologia metafisica dell'individuo impone l'obbedienza alle
moltitudini; sottomette la stessa emancipazione all'individuo, consiglia allo
stesso novatore di copiare i pontefici.
La metafisica
perfezionava gli equivoci dei risorgimento; e anche qui il perfezionamento non
era suo, apparteneva alla letteratura del secolo di Luigi XIV. Essa accoglieva
in Francia il classicismo esule d'Italia, lo raffinava: la nuova vita abborriva
le anticaglie dell'Europa, le disprezzava più che non al tempo di Petrarca, e
ammirava l'antichità greco-romana colla nuova convinzione che si poteva
oltrepassarla, Trascurata ognor più la realtà istorica, l'astrazione giunge a
formarsi un linguaggio che è di tutti i tempi, di lutti i luoghi. Gli eroi di
Corneille sono romani che non offendono alcun re, l'Ester di Racine
poteva combattere la revocazione dell'editto di Nantes, e non muovere a sdegno
alcun cattolico; il Telemaco di Fénélon . confonde la mente di chi
vorrebbe indovinarne il pensiero: sì profondo, sì leale è l'equivoco tra la
morale cristiana e la morale della libertà.
Nè si attribuisca
all'equivoco metafisico del deismo la secolarizzazione dell'Europa; essa è
dovuta più all'arte, che alla filosofia, più al Petrarca, che a Descartes. La
secolarizzazione è il cristianesimo, meno la chiesa, il dogma, meno il
sacerdote; essa solleva solo un problema di persone che può ricevere due
soluzioni contraddittorie: il laico può succedere al sacerdote
nell'insegnamento per l'unica considerazione che il bene può esser fatto
egualmente dall'uno e dall'altro: il sacerdote può succedere di nuovo al laico
per la stessa considerazione che il bene può esser fatto egualmente dall'uno e
dall'altro. La secolarizzazione dà al re un diritto sulla religione, la quale
non perde alcun diritto sul re; essa concede alla diplomazia l'uso di una
lingua profana, il francese, che può servire egualmente a propagare le idee
nuove e le antiche. La secolarizzazione corrisponde a dunque alla poesia di
Corneille, di Racine, di Fénélon; s'insinua tra l'antico e il nuovo: e quando
vince l'antico, non produce ragioni metafisiche, dà ragioni positive, sta nel
fatto, oppone legge a legge, e si sottrae tanto all'indeterminato dall'arte
quanto e quello della metafisica.
Concludiamo
colla conclusione stessa del secolo decimosettimo: un uomo sorge, non è
metafisico, è un proscritto del cattolicismo, è un eretico, è Bayle, che scrive
il Dizionario, che scrive l'accusa positiva del cristianesimo, dichiarando,
immorale, iniqua la caduta, la maledizione, tutta la tradizione giudaica. Bayle
rendeva impossibile l'equivoco vitale del classicismo di Luigi XIV: che fa la
metafisica? Scrive la teodicea di Leibnitz. S'impadronisce del libero esame di
Descartes, e trasporta l'accusa di Bayle nella regioni dell'impossibile;
all'iniquità patente dello Genesi oppone tutte le possibilità metafisiche che
trasportano il giusto nell'ingiusto: Fa sorgere dall'impossibile il miracolo;
dal miracolo la leggenda; dalla leggenda la chiesa, l'autorità; difensore di
Cristo, Leibnitz si trova amico di Cesare, e siede nel consiglio aulico
dell'imperatore, e dichiarasi nei migliore de' mondi possibili, e propone la
conciliazione de' cattolici coi protestanti, quasi volesse combinare tutte le
forze della cristianità contro la rivoluzione nascente
|