Capitolo
IV
LA GUERRA ESTERNA
Napoleone
succede alla dittatura di Robespierre, la continua; egli pure vuole la
religione, la proprietà, meno l'antico governo; egli pure sorge dall'idea che
la patria è in pericolo. Non la difende? Non combatte? Non è il rappresentante
della democrazia francese? Qualunque sia la sua intenzione, egli continua la
guerra liberatrice del 92; egli è terribile, come Robespierre, nella grande
repubblica della cristianità. Quando pensiamo a suoi nemici, quando lo vediamo
accusato, odiato, vilipeso da una mano di re che guidano alla strage popoli di
bimani, retti col bastone; quando vediamo l'esercito francese vittorioso contro
sei coalizioni europee, e due milioni di francesi che muoiono gridando: viva
l'imperatore; quando leggiamo i libercoli della vilissima reazione che oggi
ancora scrive, vocifera, tradisce, uccide e s'inebria di sangue in tutta
Europa; quando pensiamo alle innumerevoli infamie dissipate in Italia, in
Piemonte, al solo apparire di Napoleone; quando pensiamo che Napoleone, nemico
fatale dell'antico regime della cristianità, conquassava il papato, l'impero, e
redimeva l'Italia, e la destava a farsi nazione, ed esiliava i vetusti suoi
principi, e creava una generazione nuova che sapeva combattere senza tradire;
come mai non riconoscere in lui il secondo dittatore della rivoluzione?
Ma Napoleone
combatteva l'antico regime, meno la religione e la proprietà, quindi
riproduceva nel seno della cristianità, sotto forme grandi e strane, la
contraddizione che aveva spento Robespierre. Napoleone combatte gli antichi re
della Francia; dunque gli basta essere al governo per assicurare la vittoria,
quindi ordina la reazione, dunque deporta i giacobini, sottoscrive il
concordato con la chiesa, sopprime il tribunato, s'incorona imperatore.
Parimente all'estero, volendo rispettare la proprietà e la religione, Napoleone
mira solo ad esser governo per vincer gli antichi governi.. Dunque è
conquistatore, dunque innalza nuovi troni, infrange le corone, arrogasi il
diritto di Carlomagno, ristaura l'impero a suo profitto. Ne nasce che colla
guerra imperiale Napoleone in Francia è capo e nemico della rivoluzione,
all'estero è liberatore e conquistatore; dovunque riassume la rivoluzione e
Carlomagno, Voltaire e Cristo, la legge agraria e i feudi, la libertà
individuale e la Bastiglia, l'uomo di genio e il re. La guerra imperiale sfuggiva
di continuo alla contraddizione prorogandone lo scioglimento; pure la
contraddizione era patente, continua, ingrandiva ad ogni passo: colla vittoria
deificava il successo, e l'immenso successo non aveva fondamento. Napoleone era
aborrito dal re quanto Robespierre, e dai popoli quanto i loro principi
naturali, a cui la guerra imperiale lasciava gli antichi sostegni della
proprietà e della religione. I popoli non erano più associati alla rivoluzione,
e questa era travisata a tal punto, che gli stessi re potevano imitarla
promettendo le costituzioni. Quindi Napoleone scompare a Waterloo, oppresso da
tutti i re che parlavano in nonne di. Dio, e abbandonato dagli uomini che
parlavano a nome della ragione. Ne risulta però questo doppio insegnamento:
cioè, che il trono e l'altare si fondano sull'ingiustizia e sull'errore, in
guisa che nè il deismo metafisico, nè la guerra imperiale può sradicarli. In
secondo luogo, dopo Napoleone, l'Europa apprende che l'iniziativa della
rivoluzione sta in Francia, in guisa che ogni nemico della iniziativa francese
riesce amico della reazione europea; da Napoleone in poi ogni moto francese è
moto immediatamente europeo; la supremazia francese cresce ad ogni giorno,
cresce talmente, che in Italia, in Germania, dappertutto, il medio ceto, già
nemico dei re, si collega col trono e coll'altare per difendere l'ineguaglianza
e l'eredità.
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