Capitolo
VI
IL GOVERNO DELLA LIBERTÀ
I nostri veri nemici non sono più nè
marchesi, nè principi, nè re, ma si chiamano tutti cittadini e sono borghesi
che vegliano spietatamente alla difesa della proprietà e della religione. La
sera del 24 febbraio Parigi era triste; le vie dei ricchi quartieri erano
deserte; la borghesia sentiva che, espulso Luigi Filippo, diveniva imminente la
rivoluzione del povero. Volle che la rivoluzione si fermasse, e la fermò
immediatamente riducendola alle vaghe generalità che avevano resa impotente la
prima repubblica,copiando a disegno una catastrofe. Il suo principio fu la
libertà, e cominciò dal parlare un linguaggio, a pubblicare decreti che
abbracciavano nella loro generalità la libertà dell'antica e della nuova
società. I poveri e i ricchi, il minuto commercio e la banca, i comunisti e i
legittimisti, tutte le classi si trovavano provvisoriamente protette
dall'equivoco classico della nuova repubblica. Una stupidezza fittizia invade i
giornali; ognuno si fa sollecito di favorire il doppio senso della libertà; si
evitano tutti i problemi, si differiscono tutte le soluzioni. Qualche volta il
governo è costretto a spiegarsi; allora si contraddice a disegno, affinchè la
contraddizione apra la via a nuovi equivoci. L'emancipazione del proletario à
officialmente promessa, i privilegi dei capitale sono officialmente
rassicurati, i repubblicani puri fraternizzano coi banchieri, i gesuiti colla
Sorbona, i vescovi benedicono gli alberi della libertà. Il classicismo, il
formalismo, quel sistema di generalità indefinite, inaugurato dal Petrarca,
sviluppato da Fénélon e da tutti gli uomini che si mettevano tra il medio-evo e
il risorgimento, tra il cattolicismo e il protestantismo, tra la monarchia e la
rivoluzione, è abbracciato, esagerato dal governo, che ben sceglie il suo nome,
e si chiama provvisorio. La sua generalità iperbolica non poteva durare; la
corrente degli affari doveva rovesciarlo, il suo formalismo oltrepassava i
limiti del possibile. D'indi il suo procedimento e la sua caduta.
Il suo procedere fu semplice: la
democrazia fremeva, si rivoltava. Il governo provvisorio la lasciò libera in
piazza, nei circoli, al Luxembourg, fuori dell'amministrazione: lecito ad essa
di continuare nella pubblica via, nelle fabbriche nazionali, poco importavagli
dove, la rivoluzione del povero, purchè non fosse nel governo. In pari tempo
l'orleanismo conservò i suoi impieghi, il legittimismo invase l'assemblea
nazionale, il bonapartismo s'agitò apertamente: non si torse un capello ad
alcuno. Il governo era clemente, generoso, senza occhi, senza orecchi per
quella libertà formale ch'era avversa alla giustizia del popolo.
La caduta del governo provvisorio fu
semplice come il suo procedere. Il primo giorno in cui fu assalito dalla
democrazie si trovò nei campo nemico, la sua libertà era quella della
religione, della proprietà, della borghesia; il suo diritto mitragliò la
democrazia senza pietà, senza misericordia; in giugno superò mille volte le più
nefaste repressioni della monarchia. Allora il governo provvisorio fu
congedato; i tre partiti che le generalità classiche della prima repubblica
avevano lasciato sopravvivere, si collegarono per fissare e utilizzare le
libertà della proprietà e della religione.
Non dobbiamo difendere, dobbiamo
combattere la costituzione del 48: essa involge nelle insidiose sue generalità
la contraddizione tra la libertà del borghese e quella del popolo, tra la
sovranità del ricco e quella del povero. Qual'è il governo che costituisce? È
un governo equivoco, la repubblica soggetta a revisione, cioè una repubblica
che può egualmente retrocedere alla monarchia o progredire nella rivoluzione.
La costituzione chiama un presidente
alla direzione della repubblica; e come non si fonda su alcun dogma, il
presidente potrà esser dittatore, il dittatore potrà essere un dittatore
democratico o un pretendente, un nuovo Robespierre o un antico re.
Perchè non rimanga dubbio sulla
latitudine dell'equivoco, il presidente deve essere eletto direttamente dal
suffragio universale; alla sua volta l'assemblea nazionale deve emanare
direttamente dal suffragio universale. Qui l'equivoca generalità si apre due
uscite, prepara una contraddizione, offre un campo naturale alla guerra tra la
rivoluzione e la controrivoluzione. Se la democrazia è padrona dell'assemblea
nazionale, la reazione sarà alla presidenza; se la democrazia s'impadronisce
della presidenza, la reazione si rifugierà nell'assemblea nazionale. La legge è
a doppio senso.
Il diritto all'assistenza è ancora una
generalità inutile: si riduce al diritto di necessità supposto da tutte le
leggi. Qual'è questa necessità? che reclama la miseria del proletario? che
devesi accordare alla rivoluzione del povero? L'assistenza abbraccia egualmente
la tassa dei poveri e la legge agraria, il work-house e le fabbriche
nazionali.
Sappiamo già qual'è il valore delle tre
parole indeterminate, libertà, eguaglianza, fratellanza: sono derisioni se la
legge non le rende positive, e nessuna legge le determina. La legge si spiega
solo accordando la libertà della stampa, il diritto di riunione, il diritto
d'insurrezione, e si direbbe che è difficile il chiedere di più; la legge
accorda il diritto di parlare, di cospirare e di combattere. Pure ogni
malleveria è anticipatamente subordinata al principio stesso che protegge:
quanto è sacro, quanto è inviolabile, è il principio, non la malleveria. Qual'è
il principio della costituzione? Esso è equivoco; aristocratico e democratico;
quindi il valore della malleveria diviene equivoco; e la malleveria deve
difendere, non la libertà, ma l'equivoco della libertà.
Il governo è
accusato di aver violata la costituzione; egli è certo che soppresse i circoli,
incatenò la stampa; egli è ancor pili certo che il 13 giugno 1849 non rispettò
il diritto d'insurrezione: pure se rimaniamo sul terreno del diritto
indeterminato saremo eternamente vinti, nessuno ignora che la stampa, i
circoli, l'insurrezione sono subordinati alle necessità della guerra: nessuno ignora
che la rivoluzione è un combattimento: nessuno ignora che l'immensa maggioranza
de costituenti decretava lo stato d'assedio, imponeva la costituzione in un
collo stato d'assedio. Era dunque sottinteso che le guarentigie rimanevano
subordinate allo spirito generale della costituzione, alla difesa della
società, quale l'intendevano i vincitori delle giornate di giugno. In una
parola, il formalismo del Petrarca dava ragione ai condottieri; quello del 1848
diede ancor ragione al più forte. Chi combatte sul campo della costituzione
lascia smarrire in questioni tecniche, amministrative, politiche il dogma della
scienza e dcll'eguaglianza; cade nelle insidie della libertà astratta; cade
vittima della libertà dei ricchi.
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