Capitolo
VIII
LA PROPAGANDA DELLA LIBERTÀ
L'astratta
libertà ha rassicurato la libertà : in oggi il borghese di Parigi protegge il
papa, l'imperatore e i re dell'Europa; sacrifica l'Italia all'antico patto
sociale delta cristianità. La spedizione di Roma fu la conseguenze più
ragionata e più insolente della libertà formale; dobbiamo analizzarla nel
principio, perchè dobbiamo troncare dalla radice l'errore che l'ha ordita.
La prima
premessa della spedizione di Roma sta nel manifesto di Lamartine: sotto
l'impero della libertà staccata da ogni dogma, Lamartine cominciava dal
togliere alla rivoluzione il senso e le conseguente della rivoluzione; riduceva
la repubblica a una forma di governo come la monarchia, a un'affare
assolutamente francese e interno: «La proclamazione della repubblica», sono le
sue parole, «non è un atto aggressivo contro veruna forma di governo nel mondo.
Le forme di governo hanno differenze tanto legittime, quanto la differenza di
carattere, di situazione geografica e di sviluppo intellettuale, morale e
materiale presso i popoli: le nazioni, al pari degli individui, hanno le loro
diverse età » . Lamartine distoglie i popoli dalla rivoluzione, li sconforta
dall'imitare la Francia. «Un popolo», secondo lui, «si perde, se non aspetta
l'ora della sua maturità». Il manifesto accusa anticipatamente i rivoluzionari
che volessero subordinare le forme politiche ai principj della rivoluzione. «La
monarchia e la repubblica», dice Lamartine, «non sono agli occhi dei veri
uomini di Stato principi assoluti che si combattano a morte; sono due fatti che
si contrastano, e che possono vivere a fronte l'uno dell'altro comprendendosi e
rispettandosi » . Così il vero uomo di Stato non è d'alcun dogma, vivo dalla
libertà che protegge ogni dogma, vive nel formalismo dell'occasione, della
circostanza; la coscienza non è legata, ogni fede è soppressa.
Dopo di aver
separata la rivoluzione dalla libertà, Lamartine compiva il lavoro ritorcendo
la libertà contro la rivoluzione. Ecco le sue parole: «Tornare dopo mezzo
secolo ai principj del 92 o a quelli della conquista imperiale, non sarebbe
progredire, ma retrocedere nei termini» . Dunque non volevasi il principio del
92 osai confidato a Luigi XVI, ma pur liberatore; confondevasi a disegno
l'intento rivoluzionario del 92 coi traviamento della conquista imperiale:
Lamartine accusava già la propaganda armata della rivoluzione, anzi la
calunniava. «Nel 1792», diceva egli, «era soltanto il ceto-medio che voleva
esercitare la libertà,e goderne. Il suo trionfo era allora egoista, siccome
suole essere il trionfo di ogni oligarchia. Esso voleva tenere per sè solo i
diritti conquistati da tutti, e convenivagli perciò operare una forte
diversione alla signoria popolare col precipitarla sul campo di battaglia per impedirle
di pensare al governo. Questa diversione era la guerra; la guerra fu il
pensiero de' monarchisti e de' girondini». Qui preparavasi l'accusa di
monarchismo e di girondismo contro coloro che volessero combattere il
manifesto; dichiaravansi sospetti coloro che volessero spingere alla guerra
contro la cristianità, accusavansi di voler operare una forte diversione
all'avvenimento del popolo, di voler precipitare il popolo sul campo di
battaglia per impedirgli d'entrare nel proprio governo. Erano sospetti; e
dinanzi a chi? Dinanzi a Lamartine, l'uomo dei borghesi, che volevano quel
governo, che lo tenevano,che volevano conservarlo, che volevano lo statu quo.
Quindi le parole con cui Lamartine dichiara finito ogni dissidio interno. «Nel
1792 una lotta terribile si prolungava . tra le classi spodestate dei loro
privilegi, e le classi che avevano conquistata l'eguaglianza e la libertà. Non
vi sono più oramai classi distinte e diseguali. Nel 1792, il pensiero del
secolo che tramontava era solo nella mente di qualche filosofo; oggi la
filosofia è popolare. Cinquant'anni di libertà di pensare, di parlare, di
scrivere hanno prodotto il loro effetto». Insomma, Lamartine, alla vigilia
della più formidabile lotta generata dalla libertà di pensare, di parlare, di
scrivere, annunziava finita la rivoluzione; e se si restava nella teoria della
libertà formale, era finita; non aveva dogma, non principio d'onde muovere
verso un qualsiasi avvenire, non aveva una coscienza morale e giuridica avversa
alla cristianità, non aveva ragione alcuna di combattere i re, i principi, il
papa, l'imperatore; aveva tutte le ragioni della pace per rientrare nel
concerto europeo. L'astratta libertà dava per conseguenza lo statu quo:
Lamartine non mancava di formulare la consegunza. «I trattati del 1815»,
concludeva egli, non . esistono più di diritto per la repubblica francese,
nondimeno le circoscrizioni territoriali di questi trattati sono un fatto
ch'essa accetta qual punto di partenza ne' suoi rapporti con le altre nazioni».
Esse non potevano chiedere di più; la libertà proponeva alla cristianità le
basi della cristianità; abbandonava le Polonia, il regno Lombardo-Veneto;
limitavasi a reclamare il non intervento in Svizzera e negli Stati
indipendenti d'Italia. La libertà guarentiva la repubblica elvetica e la
teocrazia di Roma, sorrideva ai popoli; e rassicurava i re. Lamartine era
repubblicano come gli eroi del Petrarca; come Petrarca, voleva l'Italia
emancipata sotto il dominio del papa e dell'imperatore; e lo stesso Lamartine,
comentando il proprio manifesto, diceva poi che non creava verun nuovo caso
di guerra e che molti ne faceva sparire.
A malgrado di
Lamartine e de' suoi colleghi nel governo, la rivoluzione si propaga. La
vecchia Europa cade in dissoluzione. La Sicilia dichiara per sempre decaduto il
Borbone; a Napoli la democrazia disdegna la costituzione concessa; a Roma Pio
IX è costretto ad accordare uno statuto, e il granduca deve imitarlo. I
principi di Parma e di Modena sono espulsi; Venezia proclama la repubblica; la
Lombardia si solleva; il re di Sardegna è spinto sul campo di battaglia; la
rivoluzione accende Vienna, Berlino, il Wurtemberg, Baden la Baviera,
l'Assia-Darmstadt, l'Assia-Cassel, Nassau, la Sassonia, Oldenburgo,
Mecklenburgo, Amburgo, Brema, Lubecca. La libertà formale rimansi impassibile;
lascia fare la Germania, che vuol esser una, sotto l'impero; lascia fare
l'Italia , che vuol essere una, sotto il papato; lascia fare i re, che
ingannano i popoli; lascia ordire un'immensa cospirazione di banchieri, di
diplomatici e di soldati, che stordiscono i popoli colla diversione della
guerra, della nazionalità, dell'unità; perchè in nessun luogo il povero intenda
l'imminente protesta del proletario di Francia. Quando la Costituente fu
convocata, il dì 8 maggio, Lamartine monta alla tribuna, e descrive le ventidue
rivoluzioni che hanno risposto all'iniziativa di febbraio; e dice alla
democrazia: «Ecco in settantadue giorni il risultato della nostra politica». La
reazione avrebbe trionfato da Berlino fino a Palermo, i re ed i principi
avrebbero bombardate tutte le città dell'Europa; e Lamartine avrebbe potuto
dire: noi abbiamo rassicurato il papa, l'imperatore, i re, i principi; abbiamo
scoraggiati i popoli, dimenticati i Polacchi, i Lombardi, i Veneziani; noi
abbiamo accettate le divisioni territoriali del 1815; or bene, in onta della
catastrofe di febbraio, in settantadue giorni tutto è ristabilito nell'Europa
intera.
La libertà
formale era adottata in principiò dal governo provvisorio, lo fu dalla
Costituente; e la Costituente vi rimase fedele fino agli ultimi momenti. Ad
ogni spinta verso l'azione, rispondevasi: «Bisogna attendere in armi che
l'Italia e la Germania ci chiamino, per assicurare in comune l'opera della loro
emancipazione . Intanto si lusingava ogni errore, si proteggeva ogni intrigo,
si vezzeggiava il tradimento. E in Italia era manifesto. «Gli amici dell'Italia
si rassicurino», diceva il Petrarca francese; «se si levasse un grido di
dolore, se le circostanze lo rendessero necessario, la Francia interverrebbe al
suo modo e al suo tempo. L'Italia sarà libera ad ogni modo». Si prometteva di
soccorrere l'Italia, quand'ella il volesse; ma il soccorso era sottoposto alle
circostanze, e la Francia doveva accordarlo all'ora e tempo opportuni,
d'accordo coi Tedeschi, d'accordo colla cristianità; promettevasi la libertà,
ma promettevasi ad un tempo ai Tedeschi, ai Polacchi, agli Italiani, a tutti i
popoli più opposti per principj, per interessi, per tendenza, per ambizioni,
per tradizioni, promettevasi la libertà, ma si operava secondo la teoria dei
fatti compiuti; il soccorso doveva giungere dopo la sconfitta, dopo la
sciagura, quando l'oppresso non poteva più invocarlo, quando più non v'erano
assemblee, nè rappresentanti, quando la libertà sarebbe divenuta cristiana,
imperiale e papale. L'assurda promessa fu riassunta dal voto del 24 maggio, che
poneva per principio: il patto fraterno con l'Alemagna, la libertà dell'Italia
ed il ristauramento della Polonia». Il decreto dell'assemblea metteva innanzi
una contraddizione in termini, una doppia, collisione premeditata tra
l'Alemagna e la Polonia, tra l'Alemagna e l'Italia, affinchè tutti gli equivoci
fossero apparecchiati al tradimento della libertà formale.
All'epoca della
capitolazione di Milano si intende un grido di dolore: Cavaignac promette
d'intervenire al suo modo, all'ora sua; promette una soluzione
pacifica coll'Inghilterra, con tutte le potenze; e l'Alta Italia sarà
libera se l'Austria liberamente il consente. Il papa fugge, sopraffatto dalla
democrazia: la libertà vuol proteggerne la sua fuga, vuole ospitarlo in
Francia, vuol liberare gli Stati romani dall'anarchia; vuol entrare in Roma,
assediarvi tutti i repubblicani d'Italia. Si oppose al ministero l'articolo 8°
della costituzione, che proclama la libertà di tutti i popoli. Or bene,
quest'articolo non fu violato; poteva avere solo il valore della costituzione;
chi protestò fece salvo l'onore della democrazia francese, ma combatteva sulla
terra tradita della libertà formale; la vittoria era impossibile di diritto e
di fatto. Lasciamo il fatto, troppo noto, stiamo al diritto. La costituzione ha
definita la libertà? ha proscritto il papato? ha condannato il cattolicismo?
No; anzi ha assicurato la libertà ai cattolici, e quindi al mondo cattolico.
Preso alla lettera, l'articolo 8° della costituzione rende impossibile ogni
azione della Francia all'estero. È possibile di rispettare dappertutto, e
sempre, la libertà di tutti i popoli? è possibile di fraternizzare nello stesso
tempo colla Germania e coll'Italia, colla Russia e colla Polonia? è possibile
agire senza offendere, senza urtare alcun dogma? L'articolo 8° non ha senso,
come la parola classica del Petrarca; deve dunque essere interpretato. Da chi?
Dalla costituzione. Qual'è il dogma della costituzione? Essa pone per primo
principio il Dio di Robespierre, che, vago per sè, deve essere interpretato: la
costituzione stipendia le tre religioni; dunque le tre religioni sono le tre
interpretazioni legali di Dio; dunque ogni culto deve sostenere la parte sua,
onde stabilire il dominio della rivelazione soprannaturale, ciascuno deve
appuntellare il governo nella misura prefissa dalla statistica, dal numero de'
suoi credenti; da ultimo, la statistica della Francia deve unirsi alla
geografia politica dell'Europa per fissare alla maggioranza de' Francesi la
parte da sostenere all'estero. Che diveniva la causa della libertà romana?
Quella del mondo cattolico; era mestieri che la repubblica francese abbattesse
la repubblica romana, poichè questa colle sue insurrezioni distruggeva il principio
primo che tiene alienato nel nome di Cristo il mezzodì dell'Europa e la
maggioranza del popolo francese. Quindi Odilon Barrot parlò di difendere la
causa dei nostri nazionali a Roma, cioè il clero francese; parlò di
sostenere la nostra influenza in Italia, l'influenza cattolica; Oudinot
giunse da fratello sotto le mura di Roma, intendi da fratello cattolico;
M. Lesseps negoziò per la libertà di Roma; intendi la libertà cattolica;
e compita l'opera, i sofisti che l'avevano diretta cedettero la parola a
Falloux, che spiegò la libertà del papato. Che la discussione sugli affari di
Roma fosse piena d'ipocrisia e di cavilli, d'infamie e di pentimenti, non io
certo il negherò; quanto negherò sempre si è, che la costituzione fosse
violata; essa non lo fu, non poteva esserlo, voleva da sè la propria
violazione; e questo dico perchè ciò insegna doversi uscire dal principio
astratto della libertà, se non vogliamo essere traditi ad ogni passo, e
avviluppati in mille frodi. La libertà ci ha fatto genti senza dogmi, senza
regola, senza condotta; le nostre leggi sono insidie, le nostro discussioni
sono sottigliezze bizantine, le nostre costituzioni proteggono i più forti, i
re, i papi, i condottieri. Presso gli antichi, nel medio-evo, le leggi erano
precise, emanavano da un principio, affermavano, negavano i dogmi; l'equivoco
era impossibile, Finchè noi non avremo il coraggio di inscrivere nelle nostre
costituzioni la nostra vera religione, cioè la scienza, i nostri nemici
s'insinueranno sempre nel nostro campo colle armi loro, fornite dalla nostra
viltà7
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