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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

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  • PARTE TERZA   IL SISTEMA DELL'UMANITA'
    • SEZIONE TERZA   LA RIVOLUZIONE
      • Capitolo IX   LA LIBERTA ECONOMICA.
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Capitolo IX

 

LA LIBERTA ECONOMICA.

 

L'astratta libertà che regna in questo momento protegge tutte le libertà, quella del ricco e quella dei povero; per cui l'antica iniquità si riproduce attraverso leggi che promettono giustizia. Or bene, lasciata da parte ogni discussione socialista, non esaminata se non l'economia politica, ci troveremo spinti al nuovo riparto dei beni dai principj stessi degli economisti. La necessità del riparto si mostra progressiva nelle tre teorie successive del lusso, del libero scambio e della libere concorrenza.

La teoria del lusso è la prima riabilitazione scientifica e pratica dell'industria e del commercio; essa nasce negli scritti mezzo politici, mezzo morali della scuola di Hobbes e di Mandeville, e dice alla società teologica e feudale: «Voi predicate l'evangelio; orbene, l'evangelio ci ruina, le sue virtù sono flagelli; se fossero praticate, il commercio e l'industria svanirebbero: voi ci accusate di essere -viziosi, vogliam esserlo; e guai se non lo fossimo; morremmo di fame. ci accusate di sciogliere la società, noi la vincoliamo alla terra e la togliamo al cielo con tutte le forze dei nostri istinti e dei nostri vizi». La teoria, a primo aspetto immorale, vuol la plebe attiva, gli confida la società, incoraggia il lavoro, e l'incoraggia con un vero assalto contro l'antico riparto de' beni. «Signori», dice, «spendete, siate viziosi, dissipate il vostro, ruinatevi, sarete altrettanti benefattori del genere umano». Poi sopravviene il sistema mercantile, e l'invettiva paradossale divien scienza: il sistema mercantile conclude: che convien proteggere l'industria e il commercio; conviene che lo Stato assicuri loro un vantaggio: e chi lo pagherà? Il ricco. Perlochè resta stabilito che il ricco sarà tenuto di preferire l'industria nazionale,di stipendiarla, di pagarle un tributo. Questo è il primo sistema sulla ricchezza e che cosa suppone? Che la proprietà debba cedere all'industria; che il ricco deve cedere al povero.

Giunge un secondo sistema, quello di Quesnay, del libero scambio; mi sia lecito riassumerlo in due parole. Quesnay dice: qual'è il risultato delle leggi proibitive, con cui avete protetta l'industria nazionale? Fu di assicurare al negozianti, ai fabbricanti un premio sui loro prodotti; colle leggi proibitive si costringe il ricco a comperare a doppio prezzo a Parigi una merce che potrebbe far venire da Londra a metà del prezzo; colle leggi proibitive si esagerano i prezzi per arricchire una sola classe della società. Qual'è il risultato dell'esagerazione dei prezzi? È la ruina del ricco, e quindi la ruina della stessa industria. Quesnay propone a dunque una gran transazione tra la proprietà e l'industria; e questa transazione costituisce la sua teoria, la quale necessariamente si divide in due parti, l'una relativa alla proprietà, l'altra all'industria.

La prima teoria di Quesnay considera la proprietà territoriale quale unica sorgente di tutte le ricchezze. Le merci, secondo Quesnay, non sono altro che prodotti agricoli manifatturati; senza terra non havvi prodotto, non manifattura, non lavoro, ricchezza alcuna. I proprietari soli sono i ricchi: padroni dei suolo e di tutte le produzioni, comandano il lavoro; il commercio, l'industria sono in balia dei proprietari: tolto il ricco, è tolto il compratore, le merci non hanno più valore, il commercio più non ha scopo. La società si fonda adunque sulla proprietà; solo il proprietario appartiene alla patria; il mercante non ha patria; chi non è proprietario è un salariato, un uomo per sterile. Questa è l'antica teoria: per conseguenza, che il sovrano non è tale se non perchè signore del suolo. Il contratto con cui ai acquista la proprietà è un atto sottoscritto dinanzi al sovrano, e per esso si diventa comproprietario, consovrano; si riceve una proprietà guarentita. L'ordine pubblico si fonda sul contratto sociale del sovrano e dei proprietario; è lo proprietà che deve governare; il governo dev'essere un despotismo legale. Quesnay, Mercier, De la Rivière, i fisiocratici, difendevano così l'antico regime, traducendo l'antica teoria in un nuovo linguaggio: la parola proprietario applicavasi egualmente al nobile, al borghese, a chi eredita la sua fortuna, a chi la guadagna, e chi cede il proprio fondo, a chi lo prende in affitto, al proprietario ozioso, all'affittaiuolo attivo.

Alla teoria della proprietà Quesnay aggiungevano un'altra dell'industria e del commercio. In sua sentenza, l'uomo che non è proprietario, sia artefice, sia commerciante, non deve ricevere alcuna protezione, e non deve pagare alcuna imposta. Non deve, ricevere protezione: nel fatto egli non è produttivo come il proprietario, egli è sterile; si limita a manifatturare, a scambiare i prodotti della terra; la sua industria, il suo cambio non sono altro che servigi resi al proprietario. Proteggete voi i suoi servigi? esagerate voi i suoi profitti? Esagerate lo stipendio che riceve dal proprietario, proteggete uomini senza patria, che non hanno radice nel suolo, che sono nemici di tutti i veri produttori (i proprietari), e che formano tra di essi una vera lega contro il genere umano. Ogni protezione accordata al commercio è dunque un'imposta stabilita in favore dei negozianti sulla proprietà, una ruina per il proprietario, una pubblica calamità, poichè inaridisce la sorgente della ricchezza, distrugge le ricchezze riproduttive, quelle del suolo. Dunque concludevasi: devono essere abolite le dogane, dev'essere libero il commercio; non si ha a temere che una nazione s'arricchisca a detrimento delle altre. Ogni compratore è venditore, ogni venditore è compratore; le merci si scambiano colle merci, e non si scambiano, in ultima analisi, se non i prodotti del suolo. In secondo luogo, i non proprietari non devono pagare alcuna imposta: e proponevasi l'abolizione di tutte le imposte indirette, le tasse, capitazioni, dazi, ecc.: ciò perchè erano pagate dal proprietario, che pagavale col salario; meglio dunque valeva che l'uomo sterile fosse lasciato a , libero, e che il proprietario pagasse direttamente il sovrano. L'imposta indiretta, secondo Quesnay, incarisce i salari, ricade sulla proprietà, ricade sul sovrano, distrugge la ricchezza riproduttiva, e ruina tutti. Bisogna adunque che ogni imposta sia diretta, che il governo sia pagato dei proprietari, che essi soli portino i pesi dello Stato.

La teoria di Quesnay è una vera reazione incendiaria; mentre combatte con disprezzo la teoria dei lusso e delle protezioni, l'oltrepassa in ogni punto a favore del proletario. Accorda libertà piena, intera, assoluta al commercio ed all'industria; scioglie l'uno e l'altra da ogni vincolo, da ogni imposta, da ogni tassa. Quesnay suppone, per la prima volta, che l'istinto, il quale provoca lo scambio e sostituisce un valore all'altro, è il migliore dei giudici; suppone che bisogna assecondare l'interesse di tutti, che non devesi combatterlo, governarlo. L'interesse consiglia al mercante i migliori spacci, ai consumatori le migliori compre; l'interesse, sviluppando le rivalità tra i mercanti. fa abbassare i prezzi a profitto di tutti. Dunque è la natura stessa che deve dirigerci; la saggezza del legislatore consiste nel far niente, quella del governo consiste nel non governare. Prima di Quesnay non erasi mai confidato tanto negli istinti della vita. E la confidenza trascendeva i limiti dello Stato; mentre Quesnay disdegnosamente accusa i commercianti di esser collegati contro il genere umano, li mostra collegati, mostra nell'industria e nel commercio l'umanità crescente e in opposizione con tutti gli Stati; la mostra più sicura della patria, perchè non ha bisogno di leggi, di governi; sa svilupparsi ed ordinarsi; e raggiunge liberissima l'intento suo, lasciando la patria al despotismo legale. La teoria del libero scambio è rivoluzionaria per la tendenza; ma vuol fermare la rivoluzione, vuol salvare l'antico riparto messo in causa dall'industria: quindi Quesnay lo rassicura affidandogli il governo, subordinando ogni libertà al Dio Termine delle proprietà. I proprietari sono veramente protetti da Quesnay? Sono degradati; regnano, ma subiscono la legge della giustizia; regnano perchè ricchi, ma sostengono soli tutti i pesi dello Stato; regnano, ma senza comandare a verun commerciante, a verun lavorante; regnano, ma ogni arricchito può divenir proprietario, e li titolo della proprietà è solo titolo di nobiltà. Non basta; l'antico riparto è messo in dubbio dalla teoria nell'atto stesso che vien difeso. I fisiocratici difendono i proprietari con tutte le ragioni che nobilitano l'agricoltore. Essi vogliono ignorare che il proprietario è il gran signore, il nobile, il cortigiano, l'ozioso; essi vogliono ignorare che il tipo dei proprietario è l'uomo che non ha mai visti i suoi campi, e che ne trae una rendita senza lavoro, senza cure, senza spese, senza vigilanza; essi affettano d'ignorare che chiamasi pessima proprietà quella che reclama cure assidue, una rigida vigilanza, la presenza del proprietario. Essi vedono solo l'agricoltore, non l'affittaiuolo, non il paesano, non l'operaio della campagna oppressi dal proprietario, e tanto più infelici, quanto più il proprietario è felice. Quesnay e i suoi discepoli si creano un proprietario astratto, un Cincinnato imaginario, un essere di regione che abbraccia le due classi ostili de' proprietari e degli agricoltori; e, grazie all'equivoco, giustificano l'antico regime colle proprietà, e la proprietà colle ragioni che difendono l'artefice.

Non si può rimanere nell'equivoco; ed ecco Adamo Smith che si toglie alle contraddizioni di Quesnay. Smith trascura la reazione, e sviluppa la rivoluzione fisiocratica: in sua sentenza non è la proprietà che crea la ricchezza, è il lavoro: solo il lavoro è principio d'ogni ricchezza, solo è produttivo; tolto il lavoro dell'agricoltura, del commercio, dell'industria, i campi, le merci non hanno più valore alcuno. Quindi la classe produttiva è quella che lavora, la classe sterile, inutile, improduttiva è quella che non lavora, che vive oziando. Qui il proprietario astratto di Quesnay è detronizzato: Quesnay aveva stabilito che si deve lasciar libero il commercio; Smith trae la libertà alle sue ultime conseguenze. Quesnay aveva dimostro che il commerciante non ha patria, è cosmopolita; Smith è cosmopolita, non riconosce alcun monopolio nazionale internazionale, sopprime le colonie; Quesnay aveva fatto l'interesse unico giudice, la natura libera unica guida del moto industriale e commerciale; Smith generalizza il dettato in modo, che il mondo cade in balia dell'artefice, del commerciante, del lavorante, e il proprietario stesso rimane degradato e ridotto allo stato di ostacolo, di parassita. Ma la ragione vuole che il moto tocchi al riparto: il lavorante di Smith è un essere astratto, come il proprietario di Quesnay; la libera concorrenza del lavoro è equivoca, teorica come la libera concorrenza dello scambio. Credete che il lavoro sia creatore? credete che il lavoro debba essere libero? credete alla potenza suprema della rivalità? all'intenzione ultima della natura, la quale, dando libera cariera all'istinto, giunge al meglio in ogni lavoro fisico, intellettuale e morale? Pensate che la libertà animi il lavoro, che confidi ogni funzione all'istinto che la cerca, le invenzioni a chi sa utilizzarle? Bisogna dunque che il lavoro sia libero veramente, che la concorrenza sia reale, naturale, che si sviluppi sulla base dell'eguaglianza. L'uomo deva rivalizzare coll'uomo. Che accade nella società attuale? Gli uni nascono ricchi, gli altri poveri; gli uni vivono nell'opulenza, gli altri nella miseria: ai primi i capitali, le macchine, le fabbriche, la terra, l'educazione, l'istruzione; ai secondi il lavoro senza capitale, senza istruzione, senza macchine, senza istrumenti. Dunque il lavoro dei primi è libero, quello dei secondi è sottoposto alla necessità, in balìa dell'impresario, del capitalista, del funzionario. Dunque la libertà di Adamo Smith è equivoca: sviluppandosi sulla base dell'eguaglianza, sulla premessa della legge agraria, attua la giustizia, e confida ogni funzione all'uomo che vi è predestinato dalla natura; sviluppandosi sulla base dell'ineguaglianza, essa profitta solo ai ricchi, ai capitalisti, ai proprietari. Il lavorante di Smith è un essere equivoco, come il proprietario di Quesnay: qual'è la conseguenza? La libertà di Smith protegge egualmente il forte e il debole, il padrone e il servo; è la libertà equivoca del borghese, corrisponde alla libertà astratta dei culti, si collega colla religione astratta, è la pratica della servitù, è un equivoco che invoca una soluzione colla forza della miseria crescente. Adunque la necessità del nuovo riparto sorge dall'intimo dell'economia politica, è imperiosa come la ragione e la vita dell'uomo, e impone alla comunanza dello Stato la missione di eguagliare le fortune.

Concludiamo. Interrogata sotto ogni aspetto, la filosofia conduce a due inevitabili conseguenze, il regno della scienza, il regno dell'eguaglianza. Questo era l'intento dei primi filosofi, questo è l'intento della rivoluzione. I primi filosofi furono i precursori della rivoluzione: ma traditi dalla metafisica, sentivansi solitari, impotenti, inviluppati da ostacoli infiniti; e invocando i demoni, le favole, un artificio estrinseco, un felice inganno, cadevano sotto il felicissimo inganno della chiesa; Socrate non poteva regnare se non sotto la protezione di Cristo. La rivoluzione liberò Socrate prigione della teologia, ne divulgò la parola, la trasmise a tutti gli uomini, e vuol costituire l'umanità sulla terra colla forza della scienza e con quella del diritto. Da mezzo secolo la metafisica tende un'ultima insidia alla rivoluzione: essa trasporta il problema della scienza nelle antinomie dell'essere, e il problema dell'eguaglianza nelle antinomie del diritto. Ne consegue, che abbiamo il regno della scienza fatta astrazione dalla verità, il regno della libertà fatta astrazione dai dogmi, il regno dell'eguaglianza fatta astrazione dal riparto, il regno dell'industria fatta astrazione dal capitale: e s'incoraggiano le nazionalità senza badare all'umanità; si pensava perfino a fondare un impero meno l'impero, un papato meno il papato, quasi fosse proposito deliberato di predicare la rivoluzione meno la rivoluzione, mantenendoci in eterno nel regno dell'impossibile. I miseri cavilli della metafisica sarebbero morti nel vuoto delle scuole, se leggi equivoche a disegno non li avessero tratti in piazza per stabilire una tregua tra la rivoluzione e la controrivoluzione. Ma la tregua non regge; ad ogni momento vediamo avvicinarsi il giorno della guerra. Gli uomini di poca fede si ricordino che l'impostura aperta non ha mai regnato, e noi viviamo sotto l'impostura del borghese, che governa le religioni: si ricordino che la confidenza negli eventi imprevisti non è cieca, è la fede stessa nel vero, il quale, tradito in ogni punto da una società che si fonda sul falso, promette una ruina imminente, un vicino trionfo; si ricordino che non vi fu mai progresso che non toccasse alla proprietà e alla religione, e che non fosse progresso dell'eguaglianza e della scienza; si ricordino che il dato di Voltaire, di Rousseau, di Weisshaupt ferve in ogni cuore, e, tolto il velo del formalismo, già dall'89 al 93 quattro soli anni bastavano per trascorrere dall'equivoco della libertà al regno della scienza e dell'eguaglianza . Quanto a noi, visto nella critica l'arme che pon fine alla metafisica, visto nella critica decretata a priori la catastrofe di ogni formalismo, visto che la critica ci spinge sul campo della rivelazione naturale. ci rinchiude nel fatto, ci lega alla terra e ci vieta di uscirne; noi abbiamo sentito compiersi d'un tratto nella nostra mente la filosofia della rivoluzione, e da quel punto il dissimulare ci parve tradimento.

 




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