Capitolo
IX
LA LIBERTA ECONOMICA.
L'astratta
libertà che regna in questo momento protegge tutte le libertà, quella del ricco
e quella dei povero; per cui l'antica iniquità si riproduce attraverso leggi
che promettono giustizia. Or bene, lasciata da parte ogni discussione
socialista, non esaminata se non l'economia politica, ci troveremo spinti al
nuovo riparto dei beni dai principj stessi degli economisti. La necessità del
riparto si mostra progressiva nelle tre teorie successive del lusso, del libero
scambio e della libere concorrenza.
La teoria del
lusso è la prima riabilitazione scientifica e pratica dell'industria e del
commercio; essa nasce negli scritti mezzo politici, mezzo morali della scuola
di Hobbes e di Mandeville, e dice alla società teologica e feudale: «Voi
predicate l'evangelio; orbene, l'evangelio ci ruina, le sue virtù sono
flagelli; se fossero praticate, il commercio e l'industria svanirebbero: voi ci
accusate di essere -viziosi, vogliam esserlo; e guai se non lo fossimo;
morremmo di fame. ci accusate di sciogliere la società, noi la vincoliamo alla
terra e la togliamo al cielo con tutte le forze dei nostri istinti e dei nostri
vizi». La teoria, a primo aspetto immorale, vuol la plebe attiva, gli confida
la società, incoraggia il lavoro, e l'incoraggia con un vero assalto contro
l'antico riparto de' beni. «Signori», dice, «spendete, siate viziosi, dissipate
il vostro, ruinatevi, sarete altrettanti benefattori del genere umano». Poi
sopravviene il sistema mercantile, e l'invettiva paradossale divien scienza: il
sistema mercantile conclude: che convien proteggere l'industria e il commercio;
conviene che lo Stato assicuri loro un vantaggio: e chi lo pagherà? Il ricco.
Perlochè resta stabilito che il ricco sarà tenuto di preferire l'industria
nazionale,di stipendiarla, di pagarle un tributo. Questo è il primo sistema
sulla ricchezza e che cosa suppone? Che la proprietà debba cedere all'industria;
che il ricco deve cedere al povero.
Giunge un
secondo sistema, quello di Quesnay, del libero scambio; mi sia lecito
riassumerlo in due parole. Quesnay dice: qual'è il risultato delle leggi
proibitive, con cui avete protetta l'industria nazionale? Fu di assicurare al
negozianti, ai fabbricanti un premio sui loro prodotti; colle leggi proibitive
si costringe il ricco a comperare a doppio prezzo a Parigi una merce che
potrebbe far venire da Londra a metà del prezzo; colle leggi proibitive si
esagerano i prezzi per arricchire una sola classe della società. Qual'è il
risultato dell'esagerazione dei prezzi? È la ruina del ricco, e quindi la ruina
della stessa industria. Quesnay propone a dunque una gran transazione tra la
proprietà e l'industria; e questa transazione costituisce la sua teoria, la
quale necessariamente si divide in due parti, l'una relativa alla proprietà,
l'altra all'industria.
La prima
teoria di Quesnay considera la proprietà territoriale quale unica sorgente di
tutte le ricchezze. Le merci, secondo Quesnay, non sono altro che prodotti
agricoli manifatturati; senza terra non havvi prodotto, non manifattura, non
lavoro, nè ricchezza alcuna. I proprietari soli sono i ricchi: padroni dei
suolo e di tutte le produzioni, comandano il lavoro; il commercio, l'industria
sono in balia dei proprietari: tolto il ricco, è tolto il compratore, le merci
non hanno più valore, il commercio più non ha scopo. La società si fonda
adunque sulla proprietà; solo il proprietario appartiene alla patria; il
mercante non ha patria; chi non è proprietario è un salariato, un uomo
per sè sterile. Questa è l'antica teoria: dà per conseguenza, che il
sovrano non è tale se non perchè signore del suolo. Il contratto con cui ai
acquista la proprietà è un atto sottoscritto dinanzi al sovrano, e per esso si
diventa comproprietario, consovrano; si riceve una proprietà guarentita.
L'ordine pubblico si fonda sul contratto sociale del sovrano e dei
proprietario; è lo proprietà che deve governare; il governo dev'essere un despotismo
legale. Quesnay, Mercier, De la Rivière, i fisiocratici, difendevano così
l'antico regime, traducendo l'antica teoria in un nuovo linguaggio: la parola
proprietario applicavasi egualmente al nobile, al borghese, a chi eredita la
sua fortuna, a chi la guadagna, e chi cede il proprio fondo, a chi lo prende in
affitto, al proprietario ozioso, all'affittaiuolo attivo.
Alla teoria
della proprietà Quesnay aggiungevano un'altra dell'industria e del commercio.
In sua sentenza, l'uomo che non è proprietario, sia artefice, sia commerciante,
non deve ricevere alcuna protezione, e non deve pagare alcuna imposta. Non
deve, ricevere protezione: nel fatto egli non è produttivo come il
proprietario, egli è sterile; si limita a manifatturare, a scambiare i prodotti
della terra; la sua industria, il suo cambio non sono altro che servigi resi al
proprietario. Proteggete voi i suoi servigi? esagerate voi i suoi profitti?
Esagerate lo stipendio che riceve dal proprietario, proteggete uomini senza
patria, che non hanno radice nel suolo, che sono nemici di tutti i veri
produttori (i proprietari), e che formano tra di essi una vera lega contro il
genere umano. Ogni protezione accordata al commercio è dunque un'imposta
stabilita in favore dei negozianti sulla proprietà, una ruina per il proprietario,
una pubblica calamità, poichè inaridisce la sorgente della ricchezza, distrugge
le ricchezze riproduttive, quelle del suolo. Dunque concludevasi: devono essere
abolite le dogane, dev'essere libero il commercio; non si ha a temere che una
nazione s'arricchisca a detrimento delle altre. Ogni compratore è venditore,
ogni venditore è compratore; le merci si scambiano colle merci, e non si
scambiano, in ultima analisi, se non i prodotti del suolo. In secondo luogo, i
non proprietari non devono pagare alcuna imposta: e proponevasi l'abolizione di
tutte le imposte indirette, le tasse, capitazioni, dazi, ecc.: ciò perchè erano
pagate dal proprietario, che pagavale col salario; meglio dunque valeva che
l'uomo sterile fosse lasciato a sè, libero, e che il proprietario pagasse
direttamente il sovrano. L'imposta indiretta, secondo Quesnay, 1° incarisce i
salari, 2° ricade sulla proprietà, 3° ricade sul sovrano, 4° distrugge la
ricchezza riproduttiva, e 5° ruina tutti. Bisogna adunque che ogni imposta sia
diretta, che il governo sia pagato dei proprietari, che essi soli portino i
pesi dello Stato.
La teoria di
Quesnay è una vera reazione incendiaria; mentre combatte con disprezzo la
teoria dei lusso e delle protezioni, l'oltrepassa in ogni punto a favore del proletario.
Accorda libertà piena, intera, assoluta al commercio ed all'industria; scioglie
l'uno e l'altra da ogni vincolo, da ogni imposta, da ogni tassa. Quesnay
suppone, per la prima volta, che l'istinto, il quale provoca lo scambio e
sostituisce un valore all'altro, è il migliore dei giudici; suppone che bisogna
assecondare l'interesse di tutti, che non devesi combatterlo, nè governarlo.
L'interesse consiglia al mercante i migliori spacci, ai consumatori le migliori
compre; l'interesse, sviluppando le rivalità tra i mercanti. fa abbassare i
prezzi a profitto di tutti. Dunque è la natura stessa che deve dirigerci; la
saggezza del legislatore consiste nel far niente, quella del governo consiste
nel non governare. Prima di Quesnay non erasi mai confidato tanto negli istinti
della vita. E la confidenza trascendeva i limiti dello Stato; mentre Quesnay
disdegnosamente accusa i commercianti di esser collegati contro il genere
umano, li mostra collegati, mostra nell'industria e nel commercio l'umanità
crescente e in opposizione con tutti gli Stati; la mostra più sicura della
patria, perchè non ha bisogno di leggi, nè di governi; sa svilupparsi ed
ordinarsi; e raggiunge liberissima l'intento suo, lasciando la patria al
despotismo legale. La teoria del libero scambio è rivoluzionaria per la
tendenza; ma vuol fermare la rivoluzione, vuol salvare l'antico riparto messo
in causa dall'industria: quindi Quesnay lo rassicura affidandogli il governo,
subordinando ogni libertà al Dio Termine delle proprietà. I proprietari sono
veramente protetti da Quesnay? Sono degradati; regnano, ma subiscono la legge
della giustizia; regnano perchè ricchi, ma sostengono soli tutti i pesi dello
Stato; regnano, ma senza comandare a verun commerciante, a verun lavorante;
regnano, ma ogni arricchito può divenir proprietario, e li titolo della
proprietà è solo titolo di nobiltà. Non basta; l'antico riparto è messo in
dubbio dalla teoria nell'atto stesso che vien difeso. I fisiocratici difendono
i proprietari con tutte le ragioni che nobilitano l'agricoltore. Essi vogliono
ignorare che il proprietario è il gran signore, il nobile, il cortigiano,
l'ozioso; essi vogliono ignorare che il tipo dei proprietario è l'uomo che non
ha mai visti i suoi campi, e che ne trae una rendita senza lavoro, senza cure,
senza spese, senza vigilanza; essi affettano d'ignorare che chiamasi pessima
proprietà quella che reclama cure assidue, una rigida vigilanza, la presenza
del proprietario. Essi vedono solo l'agricoltore, non l'affittaiuolo, non il
paesano, non l'operaio della campagna oppressi dal proprietario, e tanto più
infelici, quanto più il proprietario è felice. Quesnay e i suoi discepoli si
creano un proprietario astratto, un Cincinnato imaginario, un essere di regione
che abbraccia le due classi ostili de' proprietari e degli agricoltori; e,
grazie all'equivoco, giustificano l'antico regime colle proprietà, e la
proprietà colle ragioni che difendono l'artefice.
Non si può
rimanere nell'equivoco; ed ecco Adamo Smith che si toglie alle contraddizioni
di Quesnay. Smith trascura la reazione, e sviluppa la rivoluzione fisiocratica:
in sua sentenza non è la proprietà che crea la ricchezza, è il lavoro: solo il
lavoro è principio d'ogni ricchezza, solo è produttivo; tolto il lavoro
dell'agricoltura, del commercio, dell'industria, i campi, le merci non hanno
più valore alcuno. Quindi la classe produttiva è quella che lavora, la classe
sterile, inutile, improduttiva è quella che non lavora, che vive oziando. Qui
il proprietario astratto di Quesnay è detronizzato: Quesnay aveva stabilito che
si deve lasciar libero il commercio; Smith trae la libertà alle sue ultime
conseguenze. Quesnay aveva dimostro che il commerciante non ha patria, è
cosmopolita; Smith è cosmopolita, non riconosce alcun monopolio nazionale nè
internazionale, sopprime le colonie; Quesnay aveva fatto l'interesse unico
giudice, la natura libera unica guida del moto industriale e commerciale; Smith
generalizza il dettato in modo, che il mondo cade in balia dell'artefice, del
commerciante, del lavorante, e il proprietario stesso rimane degradato e
ridotto allo stato di ostacolo, di parassita. Ma la ragione vuole che il moto
tocchi al riparto: il lavorante di Smith è un essere astratto, come il
proprietario di Quesnay; la libera concorrenza del lavoro è equivoca, teorica
come la libera concorrenza dello scambio. Credete che il lavoro sia creatore?
credete che il lavoro debba essere libero? credete alla potenza suprema della
rivalità? all'intenzione ultima della natura, la quale, dando libera cariera
all'istinto, giunge al meglio in ogni lavoro fisico, intellettuale e morale?
Pensate che la libertà animi il lavoro, che confidi ogni funzione all'istinto
che la cerca, le invenzioni a chi sa utilizzarle? Bisogna dunque che il lavoro
sia libero veramente, che la concorrenza sia reale, naturale, che si sviluppi
sulla base dell'eguaglianza. L'uomo deva rivalizzare coll'uomo. Che accade
nella società attuale? Gli uni nascono ricchi, gli altri poveri; gli uni vivono
nell'opulenza, gli altri nella miseria: ai primi i capitali, le macchine, le
fabbriche, la terra, l'educazione, l'istruzione; ai secondi il lavoro senza
capitale, senza istruzione, senza macchine, senza istrumenti. Dunque il lavoro
dei primi è libero, quello dei secondi è sottoposto alla necessità, in balìa
dell'impresario, del capitalista, del funzionario. Dunque la libertà di Adamo
Smith è equivoca: sviluppandosi sulla base dell'eguaglianza, sulla premessa
della legge agraria, attua la giustizia, e confida ogni funzione all'uomo che
vi è predestinato dalla natura; sviluppandosi sulla base dell'ineguaglianza,
essa profitta solo ai ricchi, ai capitalisti, ai proprietari. Il lavorante di
Smith è un essere equivoco, come il proprietario di Quesnay: qual'è la
conseguenza? La libertà di Smith protegge egualmente il forte e il debole, il
padrone e il servo; è la libertà equivoca del borghese, corrisponde alla
libertà astratta dei culti, si collega colla religione astratta, è la pratica
della servitù, è un equivoco che invoca una soluzione colla forza della miseria
crescente. Adunque la necessità del nuovo riparto sorge dall'intimo
dell'economia politica, è imperiosa come la ragione e la vita dell'uomo, e
impone alla comunanza dello Stato la missione di eguagliare le fortune.
Concludiamo.
Interrogata sotto ogni aspetto, la filosofia conduce a due inevitabili
conseguenze, il regno della scienza, il regno dell'eguaglianza. Questo era
l'intento dei primi filosofi, questo è l'intento della rivoluzione. I primi
filosofi furono i precursori della rivoluzione: ma traditi dalla metafisica,
sentivansi solitari, impotenti, inviluppati da ostacoli infiniti; e invocando i
demoni, le favole, un artificio estrinseco, un felice inganno, cadevano
sotto il felicissimo inganno della chiesa; Socrate non poteva regnare se non
sotto la protezione di Cristo. La rivoluzione liberò Socrate prigione della
teologia, ne divulgò la parola, la trasmise a tutti gli uomini, e vuol
costituire l'umanità sulla terra colla forza della scienza e con quella del
diritto. Da mezzo secolo la metafisica tende un'ultima insidia alla
rivoluzione: essa trasporta il problema della scienza nelle antinomie
dell'essere, e il problema dell'eguaglianza nelle antinomie del diritto. Ne
consegue, che abbiamo il regno della scienza fatta astrazione dalla verità, il
regno della libertà fatta astrazione dai dogmi, il regno dell'eguaglianza fatta
astrazione dal riparto, il regno dell'industria fatta astrazione dal capitale:
e s'incoraggiano le nazionalità senza badare all'umanità; si pensava perfino a
fondare un impero meno l'impero, un papato meno il papato, quasi fosse
proposito deliberato di predicare la rivoluzione meno la rivoluzione,
mantenendoci in eterno nel regno dell'impossibile. I miseri cavilli della
metafisica sarebbero morti nel vuoto delle scuole, se leggi equivoche a disegno
non li avessero tratti in piazza per stabilire una tregua tra la rivoluzione e
la controrivoluzione. Ma la tregua non regge; ad ogni momento vediamo
avvicinarsi il giorno della guerra. Gli uomini di poca fede si ricordino che
l'impostura aperta non ha mai regnato, e noi viviamo sotto l'impostura del
borghese, che governa le religioni: si ricordino che la confidenza negli eventi
imprevisti non è cieca, è la fede stessa nel vero, il quale, tradito in ogni
punto da una società che si fonda sul falso, promette una ruina imminente, un
vicino trionfo; si ricordino che non vi fu mai progresso che non toccasse alla
proprietà e alla religione, e che non fosse progresso dell'eguaglianza e della
scienza; si ricordino che il dato di Voltaire, di Rousseau, di Weisshaupt ferve
in ogni cuore, e, tolto il velo del formalismo, già dall'89 al 93 quattro soli
anni bastavano per trascorrere dall'equivoco della libertà al regno della
scienza e dell'eguaglianza . Quanto a noi, visto nella critica l'arme che pon
fine alla metafisica, visto nella critica decretata a priori la
catastrofe di ogni formalismo, visto che la critica ci spinge sul campo della
rivelazione naturale. ci rinchiude nel fatto, ci lega alla terra e ci vieta di
uscirne; noi abbiamo sentito compiersi d'un tratto nella nostra mente la
filosofia della rivoluzione, e da quel punto il dissimulare ci parve
tradimento.
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