Capitolo
II
I RAPPORTI TRA I CORPI RENDONO IMPOSSIBILI
I CORPI
L'azione che i corpi esercitano gli uni sugli altri, è contraddittoria
quanto l'alterazione.
Per sè stessa
l'azione non è che l'alterazione; chi agisce si áltera. Dunque il corpo attivo
cessa di essere identico con sè stesso; esce di sè, si trasporta là dove non è,
la sua individualità è fallita, la sua identità violata. Nell'azione il corpo
cessa di essere eguale a sè stesso; non havvi alcuna equazione tra il corpo e
la sua influenza, tra l'oggetto e le sue proprietà, tra l'ossigeno e la
combustione. Infine le deduzione è anch'essa violata, essendo impossibile di
dedurre da un oggetto qualunque l'azione che esercita: in qual modo il moto
proviene dai muscoli? in qual modo il nervo diventa la premessa della
sensazione? Perchè l'occhio è l'antecedente della visione? L'oggetto e la sua
azione sono termini distinti, termini che si escludono.
Lo stesso
ragionamento si applica al corpo, che subisce l'azione. Esso lasciasi invadere
dall'agente, non è più quello che era, diminuisce, aumenta, si áltera, si
trasforma; e la sua trasformazione non può essere dedotta nè dalla sua essenza,
nè dall'essenza di un oggetto che gli è estraneo.
Se due corpi
sono distinti, se la loro distinzione è logicamente accettata, non possono più
esercitare alcuna influenza l'uno sull'altro. Se io sono separato dagli oggetti
che mi circondano, il mio occhio non può vederli, la mia mano non può toccarli.
Viceversa, se è logicamente stabilito che io li vedo, che li tocco, che essi
sono in rapporto con me, se è riconosciuto che le cose influiscano le une sulle
altre, la logica esige che siano in comunicazione tra esse, e la comunicazione
richiede che esse formino una sola e medesima cosa, e che la distinzione delle
cose sia considerata come un'illusione. O la distinzione dei corpi, o i
rapporti tra i corpi; ecco il dilemma.
Volgarmente si crede
che per mezzo del contatto la contraddizione sparisca e che il contatto,
termine medio tra la separazione e la comunicazione, valga a conciliare i
rapporti colla distinzione delle cose. Illusione! Nel contatto i corpi
rimangono gli uni fuori degli altri, isolati, esterni, stranieri gli uni agli
altri come grani di sabbia; mentre, al contrario, nel rapporto i corpi si
collegano, s'identificano, aderiscono gli uni agli altri. D'altronde, il
contatto non è punto necessario al rapporto: due ferri calamitati si attraggono
prima di toccarsi, i mondi gravitano gli uni verso gli altri a distanze
incommensurate. Vorreste dire che i due ferri calamitati, che i mondi
gravitanti trovansi in contatto, mercè i loro fluidi invisibili? Allora negate
la separazione visibile per supporre un contatto imaginario; la vostra ipotesi
interverte il fatto, suppone falsa la separazione che si vede, e vero il
contatto negato dagli occhi. Chi autorizza questa supposizione? Imaginare un
contatto fittizio tra la terra ed il sole vale quanto affermare un non contatto
ipotetico tra le molecole di un pezzo di ferro. Ne' due casi l'esperienza
trovasi egualmente smentita; poi la contraddizione non è tolta. Il contatto di
due mondi non ne spiega l'attrazione; la separazione di due molecole di ferro
non ne spiega l'adesione. - Il dilemma sussiste; chi ammette i rapporti, nega
la distinzione delle cose; chi distingue le cose, rende impossibili i rapporti.
Consideriamo
i rapporti nella forma più semplice, nell'azione meccanica. Che accade quando
il moto si comunica da un corpo all'altro? Il moto lascia il motore e passa nel
mobile. Come? Possiamo supporre che le forze passano dal motore al mobile; una
stessa forza, dopo di aver portato il motore nella sua corsa, cambierà il suo
carico nel momento dell'urto. Questa ipotesi rispetta la logica; essa separa i
rapporti dalle cose, separa le forze dai corpi, e mantiene, da una parte,
l'esistenza dei rapporti, dall'altra, l'individualità dei corpi; da una parte
ci mostra i rapporti senza corpo, dall'altra i corpi senza rapporto. Tale
ipotesi non può essere seriamente discussa. Le forze, non sono esseri
indipendenti, si manifestano inseparabili dalla materia. Poi supposte
indipendenti, non toglierebbero la contraddizione del rapporto: le forze,
invadendo i corpi, li traverserebbero come se fossero ombre, si
compenetrerebbero momentaneamente con essi, ne distruggerebbero
l'individualità, la distinzione delle cose svanirebbe. Il corpo invaso,
cessando d'essere ciò che era, subirebbe ancora l'alterazione del moto.
D'altronde, il moto identificato colle forze si separerebbe dai corpi quando le
forze se ne separano: si vedrebbe la corsa staccarsi dal cavallo; si potrebbe
dire colla scuola di Megara: havvi il cavallo, havvi la corsa, non havvi il
cavallo che corre. Infine, nell'ipotesi che separa le forze dalle cose, per
rimanere coerenti dobbiamo separare altresì tutte le proprietà da tutte le
sostanze: se si divide materialmente il peso dal ferro, si deve staccare
materialmente il verde dall'albero, e la stranezza del divagare non ha più limite
alcuno.
Ammettiamo
che le forze siano inerenti alla materia: ciò posto, le forze non passano più
da un oggetto all'altro, non possono più essere trasmesse; nell'urto, il motore
non fa che risvegliare le forze latenti del mobile; il mobile non è passivo, si
move per una sua propria energia, per una reazione eguale all'azione del
motore. E tale è la teoria dei fisici; la meccanica si fonda sul principio che
la reazione eguaglia l'azione; ma questo principio scopre appunto la
contraddizione che si vorrebbe dissimulare. Voi dite che la reazione eguaglia
l'azione; voi dite che il mobile si muove traendo il suo moto dall'energia
occulta che esso possiede, e che reagisce; ciò prova che voi sentite la
necessità logica di rispettare l'individualità del mobile, di fare che non sia
invasa, di mantenere la distinzione che la separa da ogni altro oggetto. Spinto
dalla logica, isolate talmente il mobile, che gli supponete tutte le forze che
gli hanno dato e gli daranno il moto. Non è dunque evidente che il fatto della
reazione distrugge la vostra teorica dell'azione? Non volete che le forze del
motore si trasportino nel mobile; volete che stiano nel motore. In qual modo il
motore risveglierà dunque la reazione là dove non è, nel mobile? Che le sue
forze vi si trasportino lasciandolo o non lasciandolo, non cessa egli di
esercitare una azione esteriore al suo essere, all'interno di un altro oggetto;
non cessa di essere là dove non devesi trovare, non cessa di dare una mentita
alla distinzione dei corpi. Che l'essere sottoposto all'azione la subisca
passivamente o reagendo colle proprie forze, egli non di meno è invaso o
distrutto nella sua identità, e questa volta colla differenza che la reazione è
un mistero aggiunto al mistero dell'azione. Dicesi che il mobile è dotato di
forze latenti, che possiede una potenza occulta: qual'è questa potenza? Essa
può tutto ciò che può diventare il mobile; è la potenza della sua rapidità,
della sua lentezza, del suo ingrandire, del suo diminuire; è, come si dice, la
sua forza d'inerzia, la forza della sua immobilità e del suo moto, la
forza dei contrari. Dunque ogni essere contiene in potenza tutte le sue
trasformazioni future; dunque contiene in sè medesimo il suo proprio destino. A
che giova dunque l'azione esteriore? Il motore è inutile, il rapporto esteriore
è annullato, il principio della reazione addentra e nasconde tutti i rapporti
nel fondo di ogni oggetto. - Quando si suppone che ogni mobile contiene in sè
il principio d'ogni suo moto, la logica vuole che contenga in sè il principio
d'ogni sua alterazione, d'ogni sua trasformazione. Si applichi dunque l'ipotesi
della reazione alla coesione, alle affinità chimiche, all'attrazione, a tutte
le forze, siano desse proprietà o qualità. Secondo il principio della reazione,
tutta l'azione che l'universo esercita sopra una data cosa, si troverà a
priori in questa stessa cosa. Si dovrà dire: non è la terra, non è la
pioggia, non è l'aria, non il sole che sviluppano questo germe e ne
fanno un albero; il germe ha creato l'albero colle forze latenti della sua
reazione; l'albero si è formato da sè e in questo modo ogni essere rende
inutile l'universo; su questa via si giunge alla conclusione, che tutto è in
tutto. Restituendo i rapporti alle cose si fa d'ogni cosa un universo, e quindi
sotto altra forma la distinzione degli esseri resta distrutta. Dobbiamo adunque
ripetere con Platone, che il rapporto rende dubbia ogni cosa.
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