Capitolo
II
LA PSICOLOGIA PERFEZIONA LO
SCETTICISMO
Quando
osserviamo la natura, dimenticando noi stessi, scopriamo che la natura è
incoerente, impossibile, pure riconosciamo che esiste: quando ci ripieghiamo
sopra di noi, incontriamo un nuovo fenomeno: l'errore. In forze dell'errore
affermiamo ciò che non è, neghiamo ciò che è, alteriamo la realtà che si
sottrae ai nostri sforzi, e accade che possiamo dubitare dell'universo intero
considerandolo come un errore del nostro pensiero. Come distinguere l'errore
dalla verità? Se non sciogliamo questo problema, nessun problema sarà sciolto.
In presenza
della logica il falso e il vero stanno come i due termini di un eterno dilemma.
Impadronendosi del falso la logica non può giungere al vero; tra l'errore e la
verità non vi ha identità, nè equazione, nè deduzione; la verità, diventa
quindi impossibile. Viceversa, impadronendosi della verità la logica non può
piùarrivare all'errore, ed è l'errore che diventa impossibile. La logica ci
dichiara assolutamente fallibili o assolutamente infallibili, secondo che
prende il suo punto di partenza nel falso o nel vero.
Prendiamo il
dato dell'errore. La nostra fallibilità non avrà limiti. I sensi mettendoci in
comunicazione colla natura, ci ingannano sulle distanze, sui colori, sulle
figure, sui suoni, su tutto; ogni nostro organo è aperto all'illusione. I
sentimenti falsificano le nostre opinioni, cogli interessi álterano il valore
delle cose; l'età, il sesso, il temperamento, la razza, dispongono della nostra
intelligenza, per cui le nostre opinioni dipendono dall'accidente della
nascita, il clima governa i nostri pensieri, la latitudine governa i nostri
dogmi. Dove trovare il clima, il temperamento, il sesso della verità?
L'abitudine ci dà una seconda natura; qual'è questa natura? Essa è tutta
meccanica, cieca, in balia al caso delle leggi, delle religioni,
dell'educazione. L'analogia, quest'abitudine dell'intelligenza si impadronisce
dell'universo per rifarlo a imagine e somiglianza del nostro paese, della
nostra famiglia, di noi stessi; essa attribuisce a Dio le nostre forme, e lo
adora come un re. Possiamo noi chiedere la verità all'abitudine o all'analogia?
La chiederemo noi alle passioni? sarebbe pure lo stesso che chiederla al
pregiudizio, all'amore, al furore, all'imaginazione, predestinata a mentire,
alla follìa, la quale non è se non la malattia delle passioni e
dell'imaginazione. L'errore si propaga colla potenza dello sguardo, della
parola, col fascino dell'imitazione; nulla gli sfugge, nemmeno le percezioni;
l'allucinazione usurpa la parte della natura, e simula cose che non esistono;
il sogno usurpa le parti della nostra persona, ci fa vivere in un io falso e
menzognero; qualche volta ci mostra il nostro io fuori di noi, e c'insegna così
che noi stessi possiamo essere un errore. Dove sarà dunque l'asilo della verità?
Nel giudizio? nel raziocinio? ma le sono facoltà vuote, serve de' nostri sensi,
delle nostre abitudini, delle nostre passioni, di ogni nostro pregiudizio.
Formalmente il Bramino, il Cattolico ragionano come noi: se la verità
dipendesse dal raziocinio, essa regnerebbe sulla terra fin dall'origine del
mondo. Abbandonati da tutte le nostre facoltà ad una fallibilità universale,
non possiamo toccare la terra promessa della verità; posto il dato dell'errore,
la logica ci vieta di uscirne.
Accordiamo
invece alla logica il dato della verità. Evidentemente, se arriviamo alla
verità, se le nostre facoltà, la nostra ragione, le nostre forze, se il
giudizio, la memoria, l'imaginazione non c'ingannano, ne risulterà di primo
tratto che siamo infallibili. L'errore riesce inesplicabile. Descartes cadde
completamente in questo tranello filosofico. A forza di cercare l'assoluto si
persuase di averlo trovato e scopriva un Dio così benevolo, così gentile, che
non poteva supporre in lui la scortesia di volerci ingannare dotandoci di
facoltà erronee. Prima della sua scoperta egli era tormentato dall'errore; ma
dopo fu peggio, perchè fu tormentato della verità; egli non seppe più come
spiegare le nostre illusioni, e le imputò alla volontà, che ne è innocente.
A parte Descartes e
il suo Dio; se tutte le nostre facoltà sono infallibili, l'errore deve
risultare da una combinazione delle nostre facoltà, che innocentemente si
ingannerebbero a vicenda. Quest'ipotesi non è che un fatto, atteso che ci è
facile di giustificare le nostre facoltà, e di mostrare che nessuna
isolatamente può traviarci. La sensazione, l'analogia, gli interessi, le
passioni non possono illuderci? Esse non giudicano, esse rinviano al giudizio
la responsabilità dell'errore. Il giudizio poi non può errare: esso dipende dai
dati che lo dominano; deve affermare i fenomeni che gli sono presentati dalle
altre facoltà. Se le facoltà cospirano per dare una combinazione insidiosa,
perchè accuseremo la ragione? Essa va dove è spinta dalle nostre facoltà; il
giudizio è in balia de' fenomeni, l'induzione è serva dei fatti, le deduzione è
schiava delle premesse; l'intelligenza dell'uomo è sempre infallibile, le altre
facoltà sono innocenti, e l'errore è una disposizione di fenomeni, dove tutti
gli elementi sono veri, mentre il risultato c'inganna. Questa, secondo me, è
l'origine naturale dell'errore. Vogliasi ammetterla o rigettarla, qui poco
importa; io la propongo come mera ipotesi per istabilire che, secondo la
natura, il falso può essere un falso risultamento delle nostre facoltà, tutte
infallibili. Ma la logica ci impedisce di imputare l'errore ad una combinazione
di facoltà infallibili. Aggiungendo il vero al vero non ne può risultare che il
vero, nè si potrebbe comprendere come due o più testimoni infallibili
potrebbero deporre il falso. Ecco dunque l'impossibilità dell'errore dal
momento che si ammette la verità.
Abbiamo
supposto dapprima che tutte le nostre facoltà sono fallibili, in seguito, che
tutte le nostre facoltà sono infallibili; ci resta a imaginare che alcune facoltà
siano infallibili, mentre le altre c'ingannano. Così Epicuro, ci rende
infallibili in forza del senso, e fallibili in forza del giudizio; Locke, Hume,
Condillac, danno la verità all'osservazione, l'errore alla riflessione; i
razionalisti intervertono la teoria, per cui, secondo essi, il senso inganna,
mentre la ragione resta infallibile. Lo stesso cristianesimo costituì la
dualità del vero e del falso, quando concesse alla fede il potere di salvarci,
alla ragione quello di perderci; materializzandosi nel cattolicismo, la dualità
cristiana largisce l'infallibilità ad un uomo che non ragiona, al papa; e
accusa di ribellione gli uomini che sarebbero tentati di far uso della ragione.
Descartes prende al rovescio la teoria cattolica; e, secondo lui, la ragione è
infallibile; ma la fede, cioè la volontà e l'autorità, sono essenzialmente
incerte e arbitrarie. L'ipotesi che spiega l'errore attribuendolo ad alcune
facoltà è frequente sotto forme diverse e opposte nella storia della filosofia;
pure non vale che a fare dell'uomo un essere mezzo infallibile, mezzo
fallibile, mezzo Dio e mezzo demente. Coll'ammettere qualche facoltà erronea,
si ammettono errori fatali, invincibili, ineluttabili; quindi la contraddizione
si ristabilisce più forte di prima, dandosi il sì e il no a due parti della
mente. Concediamo noi che la parte infallibile può correggere la parte
fallibile? questa non sarà più che un vizio organico; conosciuta come erronea,
non potrà più ingannarci, sarà un testimonio disprezzato, l'errore non è spiegato.
L'infermo in un accesso di febbre previsto non s'inganna sul calore
atmosferico; benchè ardente o assiderato, conosce la verità, almeno la
sospetta. Ciò non può essere nell'errore, che quando è sospettato cessa di
essere l'errore. Convien dunque che la parte infallibile della nostra mente non
possa correggere la parte fallibile; ed in questo caso il falso non può essere
distinto dal vero. Poichè ogni facoltà resta nella sua sfera d'azione,
l'orecchio non può rettificare l'occhio, nè il tatto l'orecchio; ogni facoltà è
incompetente fuori della sua sfera d'azione nè può essere consultata
o ascoltata; quindi non verificandosi mutuamente, il testimonio delle une vale
quanto il testimonio delle altre; quindi la volontà non può vincere la ragione,
nè la ragione può trionfare della sensazione, nè la sensazione della
riflessione. Dove sarà dunque l'errore? ingannati, noi non sapremo trovarlo; un
demente avrà il diritto di resistere al consenso del genere umano.
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