SEZIONE TERZA
DEL DEISMO
Capitolo
I
LA DIMOSTRAZIONE DELL'ESISTENZA DI
DIO
Vinta sulla terra, la filosofia cercò la certezza
nel cielo; lasciando la materia e lo spirito in balia della critica, sperò di
trovare in Dio un principio inalterabile e inaccessibile alle contraddizioni.
Per sè stesso il deismo non avrebbe il diritto di qui fermarci, perchè noi
critichiamo l'evidenza dei fatti, nè ci siamo proposti di esaminare alcuna
ipotesi filosofica. Qualche volta i critici combattono l'esistenza di Dio
dandole il valore che si concede alle cose della natura; e confutano ad un
tempo i deisti ed i fisici: ma tanto varrebbe il sottoporre indifferentemente
alla critica l'esistenza della Senna e quella dell'Averno. L'Averno è
contraddittorio quanto la Senna, ma non è evidente, non appare; a che la
critica? Lo stesso si dica di Dio: combatterlo quando si combatte la natura, è
un voler inteso che esiste come la natura, è un transigere moralmente mentre si
lotta logicamente. No, se noi sottomettiamo Dio alla critica, non è che lo
crediamo evidente come la natura, ma è che dobbiamo rivendicare e mantenere
tutte le contraddizioni che si pretendono conciliate dall'ipotesi di Dio.
Il deismo ci
scopre il suo vizio nell'atto stesso in cui vuol costituirsi: esso deve cercare
la dimostrazione del suo idolo, e la dimostrazione deve dare per risultato, non
un'ipotesi, ma l'assoluto. Ecco l'errore. Voi dovete costituire l'assoluto; voi
volete dimostrarlo, voi cercate la dimostrazione per trionfare di ogni
contraddizione. Or bene, su che fondate il vostro assoluto? Su di una
dimostrazione; la quale deve fondarsi sulla natura o sul pensiero, cioè su due
mezzi già riconosciuti contraddittori e condannati dalla logica: dunque Dio
avrà per base l'incertezza della nostra propria esistenza: la scienza infinita
ed eterna avrà per base il dubbio universale. D'altronde, questa scienza si
svilupperà necessariamente nella regione delle idee; quindi la dimostrazione
dell'esistenza di Dio sarà sempre una nostra idea, un nostro concetto
personale, la nostra maniera di vedere; non farà Dio, non uscirà mai da sè per
identificarsi con Dio, non sarà mai una vera dimostrazione. Come ogni nostro
giudizio, essa soccomberà sotto la distinzione fatale del soggetto e
dell'oggetto, del pensiero e della cosa. L'abisso che ci separa dalla natura e
da noi stessi, s'apre altresì tra il nostro pensiero e la Divinità.
S'anco la
dimostrazione dell'esistenza di Dio fosse possibile, il risultato ci
sfuggirebbe ancora. Noi non possiamo pensare se non sotto la
condizione del finito; un limite è indispensabile ad ogni concetto; ora in qual
modo concepiremo noi un essere infinito ed illimitato? Per concepir Dio bisogna
limitarlo, distruggerlo; bisogna perdere il pensiero o perdere Dio, sacrificare
la nostra persona o sacrificare l'assoluto al quale si aspira. Del resto Dio
non è nel mondo, e nulla sulla terra ci può rivelare la sua immagine; Dio non è
la vita, perchè la vita si áltera, cambia e si esaurisce; Dio non è un
pensiero, perchè il pensiero suppone un limite, poi riproduce tutte le
contraddizioni della natura esteriore: in qual modo adunque innalzarci a Dio? I
deisti tentano di spiegarlo pe' suoi attributi, lo proclamano onnipotente,
onnisciente, infinitamente buono, ed ogni attributo ci fa ricadere nella
contraddizione. Noi non possiamo concepire la scienza senza limitarla nel suo
oggetto; non possiamo comprendere la forza, senza lo sforzo, senza la
resistenza; non ci è dato di ammettere una bontà che non sia anch'essa
limitata, lottando col male: a che dunque si riducono gli attributi divini? Si
riducono a parole vuote di senso. Gli stessi deisti, parlando di Dio, sono
sforzati a dichiarare che il loro discorso non è se non una metafora
proporzionata alla nostra debolezza, un traslato falso, relativo, imaginato per
supplire all'invincibile ignoranza della nostra mente. L'assoluto è dunque
inconcepibile, ineffabile, assolutamente al di fuori delle nostre facoltà; e se
col dire che Dio esiste si giunge al più alto grado della scienza e della
certezza, la dimostrazione di Dio ci lascia esattamente al punto di partenza in
mezzo alle contraddizioni. Solo, sulla terra, l'uomo si trova oppresso dal
dubbio; ammesso Dio, si trova tra una natura contraddittoria e un essere
inconcepibile, tra una contingenza inesplicabile ed un'oscura necessità. Così,
al momento stesso in cui speriamo d'innalzarci a Dio, siamo sconfortati dal
mezzo inetto di cui dobbiamo servirci; al momento in cui cerchiamo la premessa
della dimostrazione, ci accorgiamo che sfuggirà eternamente alle nostre
ricerche. Supposto che noi possiamo ottenere la dimostrazione dell'esistenza di
Dio, essa resterebbe confinata nelle nostre idee, nè giammai potrebbe toccar
Dio. Supposta anche la possibilità di uscire dal nostro pensiero, il risultato
della dimostrazione ci farebbe retrocedere al punto di partenza, perchè noi
saremmo dinanzi un essere che non si può comprendere. Pertanto attendiamoci a
vedere in tutte le dimostrazioni che furono date dall'esistenza di Dio, una
contraddizione radicale, in cui la conclusione e le premesse si renderanno a
vicenda impossibili.
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