Capitolo
III
GLI ATTRIBUTI DI DIO RENDONO IL MONDO
IMPOSSIBILE
Stabilita
l'esistenza di Dio, invece di spiegare il mondo, lo rende impossibile. Dio
dista dalla natura quanto la natura da Dio; l'impossibilità di passare dal
creato al creatore, dagli esseri all'essere si riproduce in senso inverso,
volendo passare dal creatore al creato, dall'essere agli esseri. Dio è immenso,
e l'immensità distrugge lo spazio che si divide e si limita; Dio è eterno, e
l'eternità sopprime il tempo; Dio è infinito, e l'infinito esclude il mondo, lo
riduce a un'illusione, e anche come illusione deve sparire per non porre un
limite in Dio. La divinità è inalterabile, e l'inalterabilità osta pure alla
creazione. Come uscirebbe il creato dal seno di ciò che non cambia? Sarebbe
edutto dal nulla; la logica non lo permette, essa rifiuta la potenza
dell'impossibile a Dio come alla natura. Il mondo sarebbe emanato da Dio? Noi
vedremmo Dio diminuirsi, dividersi, annichilarsi. Dio sarebbe la causa
dell'emanazione senza diminuirsi? Come causa si altererebbe, e l'alterazione
non potrebbe combinarsi colla sua identità permanente, senza opporre l'infinito
al finito, il moto all'immobilità, senza respingere e ammettere nell'atto
istesso l'eduzione dal nulla. Il mondo sarebbe eterno? Allora l'infinito sarebbe
nel mondo; non avrebbe più bisogno di Dio. Trascuriamo le ragioni che
interdicono a Dio l'atto del creare; supponiamolo creatore. Per qual motivo
decidevasi ad uscire dall'eterno suo riposo per creare la natura? Perchè non
anticipava, non ritardava di un secolo, di un'ora l'origine delle cose? Perchè
collocava il mondo nel luogo che occupa, e non in altri luoghi più lontani?
Qual era lo scopo di Dio scegliendo tra tutte le creazioni possibili la sua
creazione? Noi cercheremmo inutilmente una ragione alla creazione che esce
dall'infinito; uscendo dall'infinito. La creazione è necessariamente figlia del
caso. Invocasi Dio per trovare una causa alla natura, per trovarle uno scopo;
invocasi Dio per ispiegare l'ordine ed evitare il caso e l'impossibilità di
decider Dio a uscire dalla sua immobilità, in un dato istante, con un dato
scopo, sotto una forma determinata ci respinge ad un tratto nel regno del caso.
Se potessimo rimanervi, avremmo almeno una parola per ispiegarci il mondo. Il
caso si collega colla contingenza, il caso permette alle cose di conservare
quel carattere per cui possono essere e non essere; il caso trovasi nel fondo
del nascere, del perire, dell'universale mobilità, dell'alterazione senza
limiti che invade l'universo. Or bene, Dio rende impossibile perfino il caso e
la contingenza; se Dio è causa, se Dio è scopo deve comunicare la necessità
della sua essenza a tutto ciò che dipende da lui; egli è l'eterno geometra, e
tutti i suoi atti debbono svilupparsi colla necessità della geometria. Se
credesi a Dio, si respinga come un'illusione l'idea della contingenza; si
sottomettano tutti i fenomeni al fato matematico, l'avvenire sarà irrevocabile
quanto il passato, il passato quanto i numeri che lo misurano. E non si parli
della libertà divina. Se la libertà divina consiste nella facoltà di attuare il
pensiero di Dio, si riduce alla necessità più cieca; Dio non è più signore di
sè, che non lo sia il fiume che scorre; aggiuntovi che in Dio il fiume scorre
per una necessità infinita. Se poi la libertà divina è la potenza per cui egli
può opporsi a' suoi propri pensieri, alla sua propria natura, al vero,
all'essere, allora egli cade in balia della propria libertà, Dio tutto intero
diventa contingente, può distruggersi; e noi ricadiamo sotto l'impero di un
caso infinito, condannati a considerare la stessa necessità come un'illusione
dovunque si presenti, anche in Dio. Allora le leggi della geometria, quelle
della logica saranno contingenti, potranno non essere; se un Dio necessario
rende impossibile la contingenza nel mondo, un Dio libero ne rende impossibili
le apparenze necessarie. Invocato per rendere possibile la natura, le toglie il
tempo, lo spazio, la sostanza, tutte le forme logiche alle quali dovrebbe
obbedire.
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