Capitolo
IV
LA PROVVIDENZA RENDE L'ORDINE
ATTUALE IMPOSSIBILE
La
provvidenza subisce la sorte degli altri attributi; invocata per ispiegare
l'ordine, lo rende impossibile. L'ordine sulla terra è indivisibile dal
disordine; dappertutto il bene suppone il male, il piacere dà la mano al
dolore, il gaudio alla tristezza; la guerra degli esseri è universale, la
natura è tutta insanguinata. Volete voi credere alla provvidenza? negate
l'esistenza del mondo.
Si tenta di
conciliare la provvidenza coll'esistenza del male, attribuendolo alla libertà
di Dio. Dio è libero, dicesi; non deve nulla alla sua creatura; superiore alla
distinzione del bene e del male, signore assoluto dell'universo, aveva il
diritto di abbandonarci alla distruzione ed alla morte: la sua bontà splende
nel bene, la sua libertà spiega il male. Questa è la teodicea popolare, essa
benedice la bontà infinita degli Dei più terribili; nelle scuole cristiane si
trovò giusto che nella sua libertà Dio potesse permettere il peccato originale;
si trovò giusto che Dio punisse il genere umano per la colpa di un uomo; si
trovò che avesse predestinato la maggior parte degli uomini a soffrire supplizi
senza fine per avere ceduto a passioni momentanee, a seduzioni, in cui egli
stesso era l'istigatore della colpa. Fu detto che egli aveva il diritto di
moltiplicare le malattie, i flagelli; che poteva servirsi delle stragi, delle
pesti, dei diluvi per raggiungere il fine da lui prefisso. Siamo presi da
spavento seguendo passo passo gli sciagurati casuisti della sua libertà; non un
delitto, non una sventura che non sia giustificata, per farlo superiore alla
morale. Qual'è il risultato della giustificazione? Quello semplicissimo di
tradurre la teodicea in una vera demonologia, celebrando Dio tiranno
dell'universo. Nè la logica dei teologi può fermarsi alla tirannia attuale:
tutto deve essere permesso alla libertà divina; le deve essere accordato di
aggiungere male a male, senza riposo, senza fine, senza termine fino alla
consumazione del dolore, fino alla morte della morte. Dio ha già imposto il
male alla terra. Nel cristianesimo Dio ha condannato il genere umano per la
colpa di un uomo; ci ha condannati al fuoco dell'inferno, ed usava sempre del
diritto della sua libertà infinita. Si prosegua il ragionamento: la demonologia
cristiana sarebbe raddoppiata, il male sarebbe progressivo nell'universo,
sarebbe la legge universale; la vita avvenire dovrebbe essere per tutti un
inferno perfettibile; nessun dolore, nessun disordine avrebbe il diritto di
mettere un limite alla libertà divina. Dunque la libertà divina conduce alla
deificazione del male, suggerita per iscolpare un Dio infinito, detta
l'apologia di un male infinito; e l'uomo che si prosterna davanti un Dio
assolutamente libero, venera un essere infinitamente scellerato per la libertà;
adora un mostro che riassume in una sola persona gli attributi di Ormusd e
quelli di Arimane. Si sfugge così alla contraddizione terrestre del bene e del
male: ma a qual patto? a patto di trasportare la contraddizione nel seno di
Dio.
Una seconda teoria
giustifica la provvidenza colla idea che la potenza di Dio trovasi sottoposta
alla necessità di servirsi di certi mezzi per raggiungere lo scopo
dell'universo. Si dichiara che la bontà divina è infinita, che noi siamo certi
a priori di essere nel migliore dei mondi possibili; che se il male
esiste, se ci opprime, non è male, è mezzo per giungere ad un bene; non è male
assoluto, è inconveniente relativo, inseparabile dal bene generale di tutti gli
esseri. Con simili ragioni si è paragonato Dio a un medico che prescrive
bevande disgustose e salutari; a un re che si serve di un Wallenstein, di un
generale devastatore, per conservare le sue provincie. Non vuole mai il male
per il male, ma lo permette in vista del bene; che ne risulterà? può impedirlo,
ma lascia fare; egli dà il pugnale al sicario, le armi all'assassino, l'essere
alle azioni più spaventevoli; assiste alle guerre dei popoli, le prepara; e
tuttavia non è complice del male, non vi concorre che materialmente per trarne
un più gran bene. Alcun tribunale della terra ammetterebbe simile difesa per
giustificare un accusato; nessun uomo dotato di senso morale approverebbe
questa iniqua ragione di stato, per cui Dio opererebbe come i Borgia, e non
terrebbesi iniquo. Pure ammettiamola, deduciamone l'ultima conseguenza;
trattasi di un essere infinito, e l'infinito c'impone di toccare il fondo
dell'ipotesi. Dio dà il pugnale ai sicari, è un re debole, che governa col
mezzo de' tiranni; i Wallenstein, i Borgia, i Metternich sono i suoi ministri; colle
migliori intenzioni sottoposto alla fatalità dei mezzi, deve permettere le
malattie, le carestie, i diluvi; per la sua impotenza i teologi cristiani hanno
giustificato la maledizione scagliata sulla razza di Adamo, hanno dimostrato
che l'eternità delle pene e la dannazione della immensa maggioranza del genere
umano erano inconvenienti necessari al più gran bene della repubblica
dell'universo. Si compia adunque il ragionamento. Accetteremmo una tradizione
mille volte più terribile di quella degli Ebrei, ma la provvidenza sarebbe
sempre giustificata; il numero dei flagelli nel tempo e nella eternità sarebbe
mille volte più grande; e sempre sicuri della bontà divina dovremmo attribuire
il male alla ignota necessità che limita la potenza di Dio. L'avvenire nel
tempo e nell'eternità sarebbe una decadenza progressiva, illimitata, infernale;
e la provvidenza sarebbe sempre giustificata all'infinito, perchè nessuna
sciagura finita, per quanto spaventevole sia, può diminuire d'un punto una
bontà infinita, la cui potenza può restringersi all'infinito. Eccoci dunque
dinanzi a un Dio che riunisce in una sola persona una bontà infinita e
un'impotenza senza limiti: una misericordia immensa e una incalcolabile
incapacità. Il bene e il male del mondo si conciliano; ma la contraddizione
passa negli attributi di Dio, i quali riproducono quei due ideali della
perfezione e della imperfezione che si sviluppano, combattendosi e
intervertendosi a vicenda, nel nostro spirito.
Per un ultimo
sforzo si vuol eludere la contraddizione tra la provvidenza e l'origine del
male, riducendo il male ad una mera privazione. L'espediente è semplice; il male vien fatto eguale al nulla,
e si scorre a traverso le difficoltà a
forza di sofismi. Si mostra che lo scellerato si avanza verso il nulla, che lavora alla propria distruzione; si tracciano
scene metafisico-fantastiche, in cui
le nozioni del bene vengono svisate
per istabilire poi la bizzarra equazione del male col nulla.
Fatica perduta: ogni scena può intervertirsi, e ci è agevole di presentare gli
eroi più celebri come illustri suicidi, e i fanciulli più innocenti come vere
negazioni. Se la tristezza, se il dolore, se il vizio non sono altro che le
negazioni del piacere, del gaudio, della virtù, perchè alla loro volta il
gaudio, il piacere, la virtù non sarebbero pure negazioni del male, mere
privazioni?
Dimentichiamo
la interversione; sia pure il male eguale al limite, alla privazione, al nulla;
il limite accusa Dio, lo accusa di imperfezione; Dio non è egli giustificato;
la difesa deve ricominciare. Nel fatto i teologi la ricominciano, e stranamente
dicendo che egli non poteva creare altri Dei; che l'infinito non poteva creare
altri infiniti: egli ha dunque creati gli esseri limitandoli, e col limite
generava simultaneamente il male nel mondo. Ma le due nozioni del male e del
limite sono distintissime; il limite è sì distinto dal male, che si applica
egualmente al male e al bene: havvi un termine al dolore, havvene uno al
piacere; distruggansi i limiti, la misura, la proporzione delle cose saranno
violate; il bene stesso sarà trasformato nel male. Dunque per qual ragione il
limite sarebbe il male piuttosto che il bene? Si risponde continuando il
romanzo metafisico. Dicesi: il limite circoscrive il nostro pensiero, lo
confonde, la confusione ci fa cadere nell'errore. Ecco una prima equazione del
limite coll'errore; equazione imaginaria, perchè il pensiero può
circoscriversi, limitarsi fino ai confini del nulla, senza ingannarsi;
l'ignoranza non è l'errore. Poi l'equazione non basta; per sè stesso l'errore
non è un male, può essere un bene, possiamo essere felicemente ingannati, o
felici nell'inganno: d'onde il male? L'errore, si soggiunge, c'induce alla
colpa; facendoci vedere il bene là dove non è; ci seduce, e precipitiamo nel
male. Ecco una nuova equazione dell'errore col delitto; e ancora non basta:
l'omicidio involontario non è punito; l'errore non è che un errore; non è che
un male psicologico, non è un mal morale. Infine si conclude, il delitto
trascina con sè la pena, dimodochè il male fisico non è che una punizione, la
conseguenza naturale di un mal morale. Ma diremo noi che l'ammalato è un
condannato? Come concepire un Dio che punisce gli errori inevitabili dello
spirito, i quali conducono a delitti egualmente inevitabili? Come ammettere che
egli punisca in noi la sua propria colpa, di averci creati fallibili? Qual è il
misfatto commesso dall'infante che nasce preda del dolore? Quale il misfatto
della donna condannata a partorire soffrendo? Nondimeno identifichiamo il male
col limite: stia pure che la donna debba partorire con dolore, che l'uomo sia
condannato al lavoro, che ogni animale debba essere destinato alla morte, che
la terra debba essere invasa dalla peste, dalle carestie, dai diluvi, e sempre
perchè il mondo è creato sotto la condizione del limite, e perchè Dio non
poteva creare altri Dei; ne conseguirà nella bontà divina la colpa di non
essersi astenuta dal creare, di non aver resistito alla ignota forza che la
spingeva a manifestarsi limitandosi, cioè divenendo malefica. - Quanto all'idea
di attenuare il misfatto divino considerando il grandissimo numero de' beni
prodigati nel mondo, quanto alle ambagi teologiche nelle quali si celebrano
mille gioie scempiamente bucoliche per nascondere l'amara tristezza delle umane
sorti, disdegniamo la discussione e passiam oltre. Dinanzi a Dio siamo al
cospetto di un essere matematico; il più, il meno, i palliativi, le transazioni
sono incompatibili colla necessità logica dell'assoluto. Ciò che accusa la
provvidenza è il male, non la quantità del male: poco importa che esso si
riduca alla privazione, che la somma dei piaceri oltrepassi quella dei dolori,
che le virtù siano più numerose dei vizi. Si tenta di consolarci assicurando
che maggiori piaceri ci avrebbero danneggiato, che il dolore ha la sua
missione, che veglia a conservarci, e che la natura ci fu matrigna per esserci
miglior madre. Si tenta di scolpar Dio avvertendo che i dolori degli animali
sono minimi; che forse l'uomo, creatura misera e sacrificata, era necessaria
per empiere un vacuum formarum nell'ordine universale della creazione;
ci vien fatto osservare che dalla terra non si può giudicar l'universo; che se
la terra è infelice, la repubblica universale di tutti gli esseri è forse
felicissima, e che l'universo medesimo è forse in progresso. Son tutte ipotesi
per sè cavillose, meschine, senza valore. In primo luogo si può intervertire e
supporre che più grandi piaceri ci avrebbero resi felici, che il piacere poteva
vegliar solo sulla nostra conservazione, senza che il dolore fosse necessario:
invece di imaginare che la terra sia un'eccezione sventurata nello universo, si
può credere, al contrario, che sia un'eccezione di felicità, che l'universo
decada, che l'uomo sia sacrificato, che nessuna ricompensa lo attenda
nell'altra vita. Ma intralasciamo ogni considerazione accessoria e puramente
secondaria, ogni interversione delle possibilità del dolore: ciò che più rileva
è che dinanzi a Dio è il male, e non la quantità del male che pesa. Se anche un
insetto soffrisse solo e per eccezione nell'universo, basterebbe all'accusa e
questa sarebbe forte come se l'universo fosse un inferno. Posta la bontà
infinita, non si può dare il male; ammesso il male, Dio è limitato, lotta col
mal genio, e noi non sappiamo di chi sarà la vittoria. Se il limite era la
condizione del creato, se imponeva il male all'universo, creando il mondo Dio
si è degradato, la creazione fu una caduta; la provvidenza rendeva il mondo
impossibile.
La filosofia
si volse a Dio per sottrarsi alla contraddizione universale; disperando d'ogni
cosa, volle innalzarsi all'assoluto. Ma la logica, che distruggeva tutti gli
esseri della natura e tutti i pensieri dell'uomo, le impediva di lasciare la
terra, smascherava la contraddizione originaria in tutte le prove
dell'esistenza di Dio; se vuolsi dissimularle, la logica le mostra in Dio per
distruggere la natura per mezzo di Dio, e Dio per mezzo de' suoi stessi
attributi.
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