Capitolo
II
LA CONDIZIONE DEL DOVERE DISTRUGGE IL
DOVERE
Non saremmo mai
giusti se non fossimo liberi; la libertà è la condizione del dovere. Ma siamo
noi liberi? La coscienza ci rivela la nostra libertà, ci attesta l'indipendenza
morale dell'io; nessuno può contestarci il sentimento della nostra
indipendenza; e non pertanto, se si interroga la coscienza tutta intera, si
trova, in un coll'apparenza della libertà, l'apparenza opposta della fatalità.
Se si dice: Io posso scegliere, accettare, rifiutare, si dice altresì: sono
sforzato, i miei interessi m'impongono di accettare, di rifiutare. Se la
libertà è l'una delle mie credenze, la necessità di cercare una causa ad ogni
effetto trovasi egualmente nelle mie credenze. Da una parte l'io si decide per
un atto spontaneo della volontà e tiensi indipendente: dall'altra, la
riflessione domina gli atti della volontà, li subordina alla ragione, e la
libertà svanisce signoreggiata dalla serie delle cause e degli effetti. Prima e
durante l'azione, l'io si crede libero di tutte le alternative del bene e del
male; l'azione è dessa compita? essa è l'effetto di una causa, è dettata da un
motivo, rientra nella serie degli eventi naturali; l'apparenza della fatalità
si sostituisce a quella della libertà. Dunque sotto l'impero della logica ogni
azione è libera e fatale; il merito suppone la libertà, il fatto suppone la
causa; le due ipotesi si escludono; quale preferiremo? Anche qui, come
dovunque, il motivo di scegliere vien meno, e noi siamo in balia di un dilemma.
Ogni legge
riproduce la contraddizione della libertà e della fatalità. La legge approva,
biasima, incoraggia, umilia, crede che l'uomo sia libero, e gli perdona quando
la libertà scompare. Nel medesimo tempo la legge punisce, compensa, calcola i
nostri interessi; ci suppone interessati, e non si crede forte se non quando ha
conosciuti tutti i motivi che determinano la nostra volontà. Lo stesso contrasto
si trova nelle religioni. Esse parlano di merito, di virtù, di libertà:
vogliono scandagliare la coscienza, si dirigono alla parte più spontanea del
nostro essere; e nel tempo stesso ci dominano materialmente con un sistema di
pene e di ricompense a cui non si può resistere senza follìa. I legislatori ed
i profeti ci considerano essi come agenti liberi, o come automi? dobbiamo noi
meritare la nostra sorte? dobbiamo subirla? Siamo noi gli artisti o gli
istrumenti della natura? L'apparenza è doppia.
Poniamo la
libertà, dimentichiamo l'antitesi della fatalità; sotto l'impero della logica
il dovere diventerà impossibile. Il libero arbitrio ci rende indipendenti dalla
natura, superiori ai nostri interessi, alle nostre affezioni, alla nostra
propria ragione; col libero arbitrio le nostre azioni emanano direttamente
dall'io, senza causa, senza motivo, fatta astrazione dalle azioni anteriori.
Quindi col libero arbitrio le nostre azioni diventano altrettanti miracoli, non
hanno antecedenti, escono dal nulla. Se siamo veramente liberi sarà impossibile
di apprezzare l'influenza delle cose sull'uomo, il dolore ed il piacere
cesseranno di governare il mondo, il legislatore non saprà più se le ricompense
possano incoraggiare, se le pene possano atterrire; non ci sarà dato di
prevedere le azioni dei nostri simili. Lungi dallo spiegare il mondo morale, la
libertà lo rende impossibile; per renderci virtuosi ci rende sragionevoli;
invece di essere la condizione del dovere, la libertà si riduce alla facoltà
del male. Finchè l'uomo sceglie il bene, la ragione e la volontà bastano a
spiegarlo; ma quando l'uomo vuol perdersi senza motivo, quando vuol rivoltarsi
senza causa contro l'evidenza de' suoi interessi, allora bisogna supporgli una
nuova facoltà e dargli la libertà per renderlo moralmente irresponsabile.
Così la
libertà segue la regola generale di tutte le condizioni. Sotto l'impero della
logica lo spazio esclude il corpo, il tempo esclude il moto, l'esistenza
esclude l'alterazione; la sostanza e la qualità, la causa e l'effetto, l'io e
il pensiero, il soggetto e l'oggetto si respingono a vicenda. Nella morale, se
la libertà esiste, il dovere è impossibile; la giustizia è distrutta dalla
condizione della giustizia.
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