Capitolo
III
LE CONTRADDIZIONI DELLA GIUSTIZIA
Nella lotta
tra l'interesse ed il dovere, la logica ci domanda qual motivo ci obbliga a
scegliere il dovere? Non già che la logica neghi il dovere, lo riconosce un
fatto primitivo; il dovere si rivela in noi, nostro malgrado; segue, giudica,
approva, biasima le nostre azioni. L'apparenza della giustizia ci è data
evidente quanto le altre apparenze. Però anche l'interesse esiste, nasce colla
vita, la ispira; ci vuole una ragione, un motivo per sottometterlo al dovere, e
questo motivo ci manca.
Obbediremo
noi al dovere per procacciarci le soddisfazioni della moralità, per
risparmiarci la pena del rimorso o della vergogna? Qui il dovere si degrada,
cade nella classe dei nostri interessi; qui non si evita il vizio che per evitare
un dolore, non si cerca la virtù, ma il contento della virtù. Il dovere non è
più che un bisogno, come la fame; vien governato dall'interesse, il quale non
ci obbliga, ci lascia liberi, ammette la varietà dei piaceri, nè pretende
imporci alcuna soddisfazione. Dunque è lecito ad ognuno di seguire il proprio
istinto: l'ambizioso cerchi il successo, il giusto porti la croce, a ciascuno
il suo capriccio. Le vespe vivono di frode, le api di lavoro.
Se il
sentimento del dovere fa vergognare quelli che gli resistono, se rode col
rimorso, anche l'interesse trae al suo seguito una legione di pentimenti e di
dolori; anch'esso ci punisce col suo rimorso, e si vale della vergogna per
farsi obbedire. Guardate ai fatti: quella fanciulla geme, le pesa la sua virginità;
quel re è afflitto, ha commesso l'errore d'esser giusto; quel generale è
dolente perchè non fu perfido; quel ministro è infelice, vorrebbe aver violata
la fede. Tito era mesto il giorno in cui non era stato benefico; il condottiero
Gabrino Fondulo moriva disperato per non aver morto il papa e l'imperatore
quando li aveva ospitati a Cremona. Dobbiamo imitare Tito, o il condottiero? La
logica ci vieta di rispondere.
Al cospetto
della logica i caratteri del dovere e quelli dell'interesse sono eguali. Come
il dovere, l'interesse cambia, cede all'abitudine, all'educazione, alle
circostanze; varia coi costumi, col clima, coll'incilivimento. Qualche volta
l'interesse è dubbio, incerto, riflette; sono gli stessi fenomeni del dovere;
nel medio evo esso invocava la casuistica della Chiesa e quella della
cavalleria; esso riclama dovunque lo studio della giurisprudenza e le decisioni
dei tribunali. L'interesse può scomparire almeno parzialmente: possiamo
diventare insensibili ai piaceri più attraenti, possiamo privarcene lietamente;
nell'amore, un essere vive nell'altro, e l'interesse sospende il regno
dell'interesse. Lo stesso fenomeno si riproduce nel dovere: il rimorso scompare
coll'abitudine del delitto; intere nazioni possono disconoscere i primi
principj dell'umanità; nell'antichità tutto il genere umano ha consacrato
l'ingiustizia della schiavitù; la stessa ingiustizia trovasi ancora consacrata
nelle più vaste regioni del globo. Ivi l'uomo è una macchina; viene flagellato,
ferito, ucciso; le leggi del giusto restano sospese nel santuario stesso della
coscienza: quelle del pudore son vane; lo schiavo non ha sesso per sedurre la
donna libera, nè per farla vergognare. In qual modo obbligheremo noi l'uomo
pervertito a seguire un sentimento che non ha?
I due istinti
dell'interesse e del dovere riduconsi a due impulsi, a due forze; se manca il
motivo per preferire l'una all'altra, la scelta sarà dettata dall'intensità
delle forze. La logica dà ragione alla meccanica. Dunque l'impulsione più forte
avrà il diritto di trarci seco; dunque l'azione, risultato necessario del più
forte impulso, sarà sempre giusta; dunque sarà giusto d'essere ingiusto, quando
la fatalità dell'egoismo prepondera sulla forza del dovere. Non si chieda se
devesi onorare il virtuoso o l'iniquo, se vuolsi imitare Seneca o Nerone. La
quistione non ha più senso; siate ciò che siete, stimate ciò che riesce: il
fatto è il diritto.
Fin qui la
virtù lotta solo coll'interesse; poniamola in presenza del vizio; la
contraddizione sarà ancora più profonda, perchè il vizio è disinteressato,
perchè è ascetico: il vero scellerato non è solamente egoista; la sua coscienza
assapora la gioia dell'ingannare; nel successo sente una soddisfazione
d'artista. Egli vive negli altri. Voi piangete, egli ride; voi siete felici,
egli geme; il suo odio sfida i pericoli del combattimento: accetta la fatica
del nuocere; il suo cinismo costa quanto il pudore; la sua misantropia è
laboriosa quanto la beneficenza. L'interesse ci rende ragione dei popoli che
dimenticano la virtù, non di quelli che adorano il vizio. È il sentimento del
sacrificio che fa passare i popoli da un contrario all'altro; esso dà alla
virtù il nome di vizio, e chiama vizio la virtù: non v'ha gloria che non sia
accagionata d'infamia, nè iniquità che non vanti il suo Erostrato. Coriolano
immolavasi al senato, i Gracchi sacrificavansi alla plebe; noi onoriamo la
ragione, il lavoro, il matrimonio; il monaco è devoto all'autorità, all'ozio,
al celibato. Dov'è la virtù? nel vizio o nella virtù?
La poesia, fida
interprete della coscienza dei popoli, è doppia come il vizio e la virtù. Nel
dramma essa prodiga le sue simpatie all'innocente, nella tragedia ingrandisce
il tiranno, nell'idillio ci invita alla pace, nell'epopea ci chiama alla
guerra. Canta Mario e Silla, Cesare e Bruto, i Musulmani e i Cristiani; Satana
ha i suoi poeti come l'Altissimo; l'inferno i suoi poemi come il cielo. -
Dunque la coscienza non può nè ricompensare, nè punire senza confondersi
coll'interesse; non può predicare l'abnegazione senza confondersi col vizio;
non può svilupparsi nella storia senza alternare a vicenda il bene e il male;
non può splendere nella poesia senza celebrare le proprie contraddizioni.
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