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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE QUARTA   IL DESTINO DELL'UOMO
      • Capitolo III   LE CONTRADDIZIONI DELLA GIUSTIZIA
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Capitolo III

 

LE CONTRADDIZIONI DELLA GIUSTIZIA

 

Nella lotta tra l'interesse ed il dovere, la logica ci domanda qual motivo ci obbliga a scegliere il dovere? Non già che la logica neghi il dovere, lo riconosce un fatto primitivo; il dovere si rivela in noi, nostro malgrado; segue, giudica, approva, biasima le nostre azioni. L'apparenza della giustizia ci è data evidente quanto le altre apparenze. Però anche l'interesse esiste, nasce colla vita, la ispira; ci vuole una ragione, un motivo per sottometterlo al dovere, e questo motivo ci manca.

Obbediremo noi al dovere per procacciarci le soddisfazioni della moralità, per risparmiarci la pena del rimorso o della vergogna? Qui il dovere si degrada, cade nella classe dei nostri interessi; qui non si evita il vizio che per evitare un dolore, non si cerca la virtù, ma il contento della virtù. Il dovere non è più che un bisogno, come la fame; vien governato dall'interesse, il quale non ci obbliga, ci lascia liberi, ammette la varietà dei piaceri, pretende imporci alcuna soddisfazione. Dunque è lecito ad ognuno di seguire il proprio istinto: l'ambizioso cerchi il successo, il giusto porti la croce, a ciascuno il suo capriccio. Le vespe vivono di frode, le api di lavoro.

Se il sentimento del dovere fa vergognare quelli che gli resistono, se rode col rimorso, anche l'interesse trae al suo seguito una legione di pentimenti e di dolori; anch'esso ci punisce col suo rimorso, e si vale della vergogna per farsi obbedire. Guardate ai fatti: quella fanciulla geme, le pesa la sua virginità; quel re è afflitto, ha commesso l'errore d'esser giusto; quel generale è dolente perchè non fu perfido; quel ministro è infelice, vorrebbe aver violata la fede. Tito era mesto il giorno in cui non era stato benefico; il condottiero Gabrino Fondulo moriva disperato per non aver morto il papa e l'imperatore quando li aveva ospitati a Cremona. Dobbiamo imitare Tito, o il condottiero? La logica ci vieta di rispondere.

Al cospetto della logica i caratteri del dovere e quelli dell'interesse sono eguali. Come il dovere, l'interesse cambia, cede all'abitudine, all'educazione, alle circostanze; varia coi costumi, col clima, coll'incilivimento. Qualche volta l'interesse è dubbio, incerto, riflette; sono gli stessi fenomeni del dovere; nel medio evo esso invocava la casuistica della Chiesa e quella della cavalleria; esso riclama dovunque lo studio della giurisprudenza e le decisioni dei tribunali. L'interesse può scomparire almeno parzialmente: possiamo diventare insensibili ai piaceri più attraenti, possiamo privarcene lietamente; nell'amore, un essere vive nell'altro, e l'interesse sospende il regno dell'interesse. Lo stesso fenomeno si riproduce nel dovere: il rimorso scompare coll'abitudine del delitto; intere nazioni possono disconoscere i primi principj dell'umanità; nell'antichità tutto il genere umano ha consacrato l'ingiustizia della schiavitù; la stessa ingiustizia trovasi ancora consacrata nelle più vaste regioni del globo. Ivi l'uomo è una macchina; viene flagellato, ferito, ucciso; le leggi del giusto restano sospese nel santuario stesso della coscienza: quelle del pudore son vane; lo schiavo non ha sesso per sedurre la donna libera, per farla vergognare. In qual modo obbligheremo noi l'uomo pervertito a seguire un sentimento che non ha?

I due istinti dell'interesse e del dovere riduconsi a due impulsi, a due forze; se manca il motivo per preferire l'una all'altra, la scelta sarà dettata dall'intensità delle forze. La logica ragione alla meccanica. Dunque l'impulsione più forte avrà il diritto di trarci seco; dunque l'azione, risultato necessario del più forte impulso, sarà sempre giusta; dunque sarà giusto d'essere ingiusto, quando la fatalità dell'egoismo prepondera sulla forza del dovere. Non si chieda se devesi onorare il virtuoso o l'iniquo, se vuolsi imitare Seneca o Nerone. La quistione non ha più senso; siate ciò che siete, stimate ciò che riesce: il fatto è il diritto.

Fin qui la virtù lotta solo coll'interesse; poniamola in presenza del vizio; la contraddizione sarà ancora più profonda, perchè il vizio è disinteressato, perchè è ascetico: il vero scellerato non è solamente egoista; la sua coscienza assapora la gioia dell'ingannare; nel successo sente una soddisfazione d'artista. Egli vive negli altri. Voi piangete, egli ride; voi siete felici, egli geme; il suo odio sfida i pericoli del combattimento: accetta la fatica del nuocere; il suo cinismo costa quanto il pudore; la sua misantropia è laboriosa quanto la beneficenza. L'interesse ci rende ragione dei popoli che dimenticano la virtù, non di quelli che adorano il vizio. È il sentimento del sacrificio che fa passare i popoli da un contrario all'altro; esso alla virtù il nome di vizio, e chiama vizio la virtù: non v'ha gloria che non sia accagionata d'infamia, iniquità che non vanti il suo Erostrato. Coriolano immolavasi al senato, i Gracchi sacrificavansi alla plebe; noi onoriamo la ragione, il lavoro, il matrimonio; il monaco è devoto all'autorità, all'ozio, al celibato. Dov'è la virtù? nel vizio o nella virtù?

La poesia, fida interprete della coscienza dei popoli, è doppia come il vizio e la virtù. Nel dramma essa prodiga le sue simpatie all'innocente, nella tragedia ingrandisce il tiranno, nell'idillio ci invita alla pace, nell'epopea ci chiama alla guerra. Canta Mario e Silla, Cesare e Bruto, i Musulmani e i Cristiani; Satana ha i suoi poeti come l'Altissimo; l'inferno i suoi poemi come il cielo. - Dunque la coscienza non può ricompensare, punire senza confondersi coll'interesse; non può predicare l'abnegazione senza confondersi col vizio; non può svilupparsi nella storia senza alternare a vicenda il bene e il male; non può splendere nella poesia senza celebrare le proprie contraddizioni.

 

 




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