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Giuseppe Ferrari
Filosofia della rivoluzione

IntraText CT - Lettura del testo

  • PARTE PRIMA   CRITICA DELL'EVIDENZA
    • SEZIONE QUARTA   IL DESTINO DELL'UOMO
      • Capitolo IV   LA RAGIONE DISTRUGGE LA GIUSTIZIA
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Capitolo IV

 

LA RAGIONE DISTRUGGE LA GIUSTIZIA

 

 

La coscienza non può scegliere il bene il male, che trovansi egualmente nel fondo della coscienza . Per fissare la scelta bisogna cercare nella ragione i termini medii, i quali possano dominare l'interesse e la giustizia. Prima d'indicare le equazioni imaginate dai filosofi per ridurre i due contrari della morale, noi possiamo assicurare che la scelta sfuggirà a tutti gli sforzi. Di fatti, la ragione si restringe al conoscere; si riduce ad affermare, a negare: quando il vero è stato distinto dal falso, la ragione ha finito la sua parte. Dunque per essa la lotta del bene e del male non e che l'uno dei mille episodi della guerra universale, delle cose e dei pensieri: il male è vero quanto il bene; non vi ha motivo per preferirlo o per posporlo al bene. Per la ragione, due termini sono concetti ad un tempo; una è la scienza dei contrari: la medicina insegna simultaneamente le due arti di salvare e di perdere; in politica non conosce l'arte della libertà chi ignora quella della tirannide. Con qual diritto la ragione sceglierebbe tra i due contrari dell'interesse e del dovere?

Il primo termine scoperto nella ragione per distinguere il bene dal male, consiste nella stessa verità, che si confuse a disegno colla giustizia. L'ingiustizia, fu detto, mente; essa conosce il bene e lo disconosce, lo confessa e lo nega, l'essere a ciò che non è, e lo toglie a ciò che è. La ragione, la logica identificano il bene colla verità; convien essere giusto, perchè è necessario di essere veridico. Sia.

- Qual'è dunque la vostra regola?

- Quella di non mentire.

- Condannate voi l'uomo che inganna il suo simile?

- Lo condanniamo.

- Condannate voi chi mente per semplice gentilezza, dichiarandosi l'umile servo d'un suo corrispondente?

- Non lo accusiamo, tutto al più, che di leggerezza.

- Condannate voi chi sfugge ai sicari, ingannandoli?

- Lo scusiamo perchè si difende.

- Condannate voi l'uomo che inganna i sicari per salvare una vittima?

- Egli è innocente, deve essere scusato.

- E se per salvare la vittima mentisse coraggiosamente, esponendosi alla collera dei sicari, vi limitereste a scusarlo?

- Dovrebbesi lodare.

Qui la menzogna diventa alternativamente il vizio e la virtù, non essendo per stessa l'uno, l'altra.

Identificando l'ingiustizia colla menzogna, conviene trasformare in delitti le menzogne della poesia, conviene perdonare al cinismo che non mente, bisogna assolvere le scelleratezze in cui la giustizia è schiettamente violata. Per sostenere l'equazione dell'ingiustizia colla menzogna, fu detto che il ladro nega la verità della mia proprietà, che l'assassino mente al diritto della mia vita; si è falsata l'ingiustizia con sottigliezze stolte, in cui si scambia la nozione della verità con quella della sincerità. No: chi mente conosce il vero; chi inganna lo conosce; chi commette un misfatto si fonda sulla verità delle cose quanto l'uomo che pratica la virtù; il conquistatore che viola i diritti di un popolo, deve essere istruito quanto un liberatore. La verità è in tutto ciò che è; trovasi egualmente nel bene e nel male, nella virtù e nel vizio, nel dovere e nell'interesse; non evita, ma riproduce la contraddizione della giustizia e dell'ingiustizia.

La teorica della verità prende una forma più dotta quando ci impone di riconoscere il vero valore delle cose. Si dice essere la ragione che stima i valori, che apprezza l'importanza di ogni oggetto; tolta la ragione non possiamo determinare, paragonare i valori; un bene non accettato, o da noi giudicato sciagura, non sarà mai un bene. Se ne conclude, che devesi ascoltare la ragione, per dare alle cose il verace loro valore, e per vivere secondo la verità: vere vivere. Di l'equazione tra il vero ed il dovere; il vero fissa i valori, il valore fissa l'azione; il dovere è l'azione determinata del valore. Questa è la dottrina degli stoici. Nel suo principio essa non c'impone di preferire il dovere all'interesse; ci impone di apprezzare i valori, di scegliere i bene preferibili; precetto inutile, perchè nessuno vuole il male, nessuno fugge il bene, nessuno vuole ingannarsi a disegno sulla stima dei valori. Dov'è dunque il bene che devesi preferire? Nella giustizia o nell'interesse? Ecco il problema: dinanzi all'interesse la giustizia non ha valore; dinanzi alla giustizia è l'interesse che non lo ha: la giustizia e l'ingiustizia intervertono a vicenda la nozione del valore. Del resto, l'intelligenza, per parlare con precisione, non determina i valori; ma accetta, afferma la stima fatta dal desiderio, dall'istinto, dalle passioni; togliete i miei dolori, i miei piaceri, la mia intelligenza perderà le nozioni stesse del bene e del male; per essa i beni non hanno valore, essa non ha motivo di preferire la gioia all'afflizione, o il destino del genere umano al destino d'un grano d'arena. Concediamo che l'intelligenza possa scegliere il bene, concediamo che l'intelligenza scelga il dovere come il migliore dei beni, l'intelligenza divien folle; ci dice che il sacrificio è un bene, che il dolore è un piacere; inventa la gioia del soffrire, il contento della disperazione, una felicità equivalente ad una sventura. Poi questa sciagurata felicità non è ancora la virtù; offerta come un bene, condurrebbe ad un egoismo altiero, fantastico, ad una vita orgogliosamente impossibile. Essa lotta contro l'istinto, contro il cuore; ci fa rinunciare alla famiglia, alla patria; finisce con l'interventire i sentimenti sotto pretesto di perfezionare l'uomo lo rende immorale. Diffidiamo delle virtù che escono da un sillogismo.

Con un nuovo tentativo si vuol rendere positiva e reale la vuota felicità della giustizia degli stoici, consigliando di porre il bene supremo in Dio, ed esigendo il sacrificio di tutti i beni effimeri dell'interesse. Credesi che il bene assoluto soddisfaccia l'intelligenza e improvvisi l'equazione col dovere, respingendo per sempre l'ingiustizia, che si fa eguale al falso interesse. Ma il bene assoluto, lungi dal soddisfare l'intelligenza, è l'inconcepibile, l'inintelligibile, l'assolutamente impossibile; si riduce a un bene senza beni; sorge superiore ai nostri istinti, ai nostri sentimenti, ai nostri gaudi; non tocca il senso, la coscienza; non impone la giustizia, non respinge l'ingiustizia. Il perchè tutto è permesso al fakir; la sua follìa è santa, e la sua persona santifica l'adulterio. Quando cessa d'essere inconcepibile, il bene assoluto è un genere; lungi dal consigliarci il sacrificio di un interesse qualsiasi, emerge dalla riunione di tutti gli interessi morali e immorali, durabili ed effimeri.

Sia pure possibile di raggiungere il bene assoluto col sacrificio de' beni relativi; ammettiamo, se occorre, tutte le speranze del prete, del devoto e del frate; sia stabilito che rinunziando ai beni, si ottenga il bene. Infinito o finito, assoluto o relativo, celeste o terrestre, il valore è sempre il valore, sempre interessato. Quindi il prete, il monaco, il devoto si ridurranno a cambiare il relativo nell'assoluto, a dare il presente per l'avvenire; non saranno che egoisti trasmondani, i quali mutueranno i loro valori a cento, a mille per uno: dov'è il sacrificio? dov'è la virtù? L'orgoglio dello stoico è più disinteressato dell'umiltà del monaco: che dico? lo stesso libertino è più ascetico del devoto mezzo cupido, mezzo stupido, in traccia de' piaceri per la via del digiuno, della preghiera e della macerazione. Don Giovanni si avventura; nella sua ribellione sfida l'universo; malgrado Dio, egli vuol essere quello che è colla sua natura e colla sua responsabilità; la statua del commendatore non può atterrirlo. Il devoto senza cuore e senza spirito si spiega coll'interesse: il vero scellerato, nella sua degradazione, ci mostra le vestigia di una moralità superiore.

Così nel dilemma del bene e del male la ragione conosce senza scegliere; colla verità illumina il vizio quanto la virtù, apprezzando i valori delle cose stima egualmente il bene ed il male, in traccia del bene assoluto, predica una follía senza forma, e un egoismo senza limiti.

 

 




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