Capitolo
VIII
LA SANZIONE DELLA GIUSTIZIA ESCLUDE LA
GIUSTIZIA
L'irriducibile
distinzione del giusto e dell'utile si presenta una ultima volta se paragoniamo
la legge morale colla sua sanzione. Secondo i nostri sentimenti, ogni virtù
merita il suo premio; secondo la logica, la virtù è un sacrifizio, la
ricompensa è un benefizio; e i due termini, sempre opposti, escludonsi a
vicenda. Assicuriamo un premio alla virtù? essa è venale, non è più virtù.
Perchè accusiamo l'ipocrita? perchè il suo sacrifizio è calcolato, simulato per
conseguire un benefizio e la sua virtù è menzogna. Premiate, punite:
distruggete la nozione stessa del merito; si opera coll'aspettazione del premio
e della pena; si segue l'unico principio dell'interesse: la sanzione annullerà
la giustizia, nella stessa guisa che l'invulnerabilità ridurrebbe a vana
ostentazione il coraggio del soldato.
La sanzione
apre un vero mercato tra i cittadini e la cosa pubblica; mercato in cui è
tacito patto che nulla sarà fatto per nulla. Con qual diritto si parlerà di
merito, di virtù, se ogni azione viene tariffata e mercanteggiata? E chi ha il
diritto di esser pagato non è forse padrone delle sue azioni? Non ha forse la
facoltà di rifiutarsi al mercato, di resistere al legislatore? Se vien punito,
la pena sarà un'ingiustizia: tutta la forza della pena sarà nella forza
meccanica della legge; tutte le parole con cui la legge biasima il vizio della
colpa, esprimeranno l'atroce derisione del legislatore, che punisce chi non si
vuol vendere. Di là una alternativa alla quale non si sfugge: devo esser
ricompensato delle mie azioni? la pena è una profonda ingiustizia: sono io
tenuto ad obbedire? la ricompensa è oziosa e contraddittoria. La pena e il
premio si escludono scambievolmente.
Potrà dirsi
che la sanzione ristabilisce una specie di equilibrio tra il bene e il male,
dando un bene a chi si è privato di un bene, un male a chi si è privato di un
male, rifiutando il sacrifizio. Ma perchè ricompensare il sacrifizio? perchè
punire l'egoismo che non vuol cedere alla legge? se l'utile deve essere l'unica
nostra legge, l'uomo che la segue merita un premio, e non una pena, bisogna
premiare l'egoista: se il dovere è la nostra legge unica, l'uomo che si
sacrifica merita una pena (e non un premio), affinchè il sacrificio continui.
Perchè compensare nella sanzione il bene col male, e il male col bene? Se lo
spostamento del bene e del male era necessario, la sanzione lo viola, ritorna
le cose allo stato primitivo, supposto falso e dannoso. Se lo spostamento era
accidentale, non essendovi legge alcuna che lo reclamasse, la sanzione è un
fatto senza causa e senza motivo. Sarebbe mestieri farci meritare il bene e il
male? Sarebbe forse questo lo scopo dello spostamento operato dalla sanzione?
Allora, noi lo ripetiamo, il merito consisterà nell'opporci a noi stessi, nel
negare la nostra propria natura, nei violare la legge della felicità, e tosto
ristabilirla. Il merito sarebbe un controsenso, e in ogni modo la sanzione e la
legge si escluderebbero vicendevolmente.
Concludasi:
alla fine del dramma della moralità, in presenza della sanzione, troviamo sotto
nuova forma la stessa contraddizione che ci fermava al primo passo, quando il
primo sguardo sul nostro destino ci mostrava il dilemma dell'interesse e del
dovere.
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